mercoledì , Ottobre 9 2024

SINISTRA E GLOBALIZZAZIONE

La sinistra era… di sinistra (!) fin quando il compito dell’umanità (e dalla sinistra fatto suo) era quello della liberazione dall’assetto economico vigente, in presenza di risorse naturali (che si presumevano) illimitate. O, almeno, indefinite e inesplorate (indefinite perchè inesplorate).
Adesso, dal sorgere del 3^ millennio in avanti, il compito complessivo dell’umanità appare, anche ad un’analisi non particolarmente approfondita, ben diverso. Strutturalmente, forse irreversibilmente diverso. E consiste nella liberazione dall’assetto economico vigente in presenza di risorse naturali limitatissime; di soggettività molteplici e variegate; di responsabilità condivise (e quindi non facilmente scomponibili e attribuibili).
Ne deriva che, se la sinistra vuole tuttora far suo il compito preminente dell’umanità, deve addivenire a un paradigma adeguato a tali nuove diversità e complessità. Quello suo abituale non lo è più (come appare evidente anche dai riscontri politico-elettorali di quasi tutti i paesi, nel corrente decennio).
La sinistra ha sempre avuto, quali suoi ideali e principi-guida, tra gli altri, quelli di progresso, avanzamento, compimento, ampliamento, pienezza, realizzazione, liberazione… Da perseguire, preferibilmente, tramite lo strumento del conflitto (poco importa se violento o pacifico).
Dovremmo chiederci quali e in quali modi tra questi ideali siano realisticamente proponibili, oggi, nelle mutate condizioni che la globalizzazione comporta. E quale sia la strategia più adeguata a perseguirli.
Mi sembra che quest’ultima, possa essere ridefinita, in maniera ovviamente molto approssimativa e schematica, quale una strategia “difensiva”.
Una strategia che abbia quali sue priorità e urgenze, più che gli ideali suesposti, quelli di contenimento, rabberciamento, ricucitura, riadattamento, riallocazione, limitazione dei danni.
E ciò per il semplice (?) motivo che è la comunità mondiale intera, oggi, ad essere costretta a “giocare in difesa”. A ri-dimensionarsi, a limitare i danni (del modello di “sviluppo” attuale).
Partiamo da un presupposto di tipo descrittivo, su cui dovrebbe esserci una notevole convergenza di opinioni e constatazioni, data la sua evidenza fattuale (ancorchè abbondantemente negletta e sottovalutata): siamo sempre di più, ad abitare il mondo, e diventeremo, in pochi anni, molti ancora di più.
Vogliamo sempre più beni e servizi. Ne produciamo, distribuiamo, utilizziamo, accumuliamo, ricicliamo, gettiamo… sempre di più.
Di converso, e di conseguenza, le risorse naturali, non rinnovabili, si riducono a ritmi velocissimi; e con accelerazioni non costanti, cosa che ne rende impossibile una programmazione, anche di medio periodo.
L’ esempio più evidente e significativo è quello dell’acqua. La cui crescente scarsità è spesso improvvisa e a macchie di leopardo, anche in paesi economicamente avanzati, a causa di sovrasfruttamento, urbanizzazione selvaggia, fenomeni climatici estremi, desertificazione, calamità naturali, e altro.
La cui importanza strategica l’ha fatta diventare causa di conflitti armati tra popoli o etnie, elemento di definizione di confini tra Stati, principale preoccupazione e occupazione quotidiana nel procurarsela, tra i poveri del mondo (e non soltanto).
Le risorse non rinnovabili di cui attualmente (ancora) disponiamo, in particolare la terra coltivabile, basterebbero (se fossero più equamente distribuite) a mantenere la popolazione esistente, o anche con un suo aumento moderato, con livelli di vita accettabili, ma non molto più elevati di quelli di adesso.
In altri termini, sarebbe sicuramente possibile uscire dalla ignominia della fame e della povertà assoluta, ma non sarebbe possibile offrire a tutti gli abitanti della Terra (compresi gli occidentali) un livello di vita uguale o più elevato di quello medio attuale delle popolazioni ricche.
Ma le direzioni verso cui si tende, sono esattamente quelle opposte: incremento demografico incontrollato e innalzamento generalizzato del livello di vita.
Si immagina quindi, di fatto, scientemente e incoscientemente, un’umanità sempre più numerosa, che svolge attività sempre più numerose, che dispone di oggetti sempre più numerosi, ingombranti, inquinanti.
Ma la realtà non si limita soltanto, come è noto e frequente, a superare l’immaginazione. Essa corre e precipita – ingovernata – verso punti di rottura molteplici e irreversibili. Appare inutile elencarli qui dettagliatamente. Potrebbe valere, a riassumerli, l’immagine della mela divorata e consunta dai vermi che la abitano.
Essa, per quanto estremamente sgradevole, appare, direbbero i giuristi, “non manifestamente infondata”.
E possiamo concretizzarla, fuor di metafora, nella consapevolezza evidente che il pianeta in cui abitiamo (che, dovremmo ricordarci, è l’unico che abbiamo, anche se di fatto è come se ne utilizzassimo più di uno), è sia saturo che “svuotato”. Saturo in quanto riempito a dismisura di elementi che hanno un forte impatto ambientale negativo; “svuotato” in quanto da esso sono state e vengono prelevate insostenibili quantità di materie prime, metalli pregiati, acqua, terra, cibo, pesci, alberi e quant’altro; che vengono “compensati” con beni, servizi e mezzi di produzione di ogni genere, fabbriche, fabbricati, edifici, case, strade, ferrovie, automobili, mezzi di trasporto, infrastrutture, oggetti, etc…
E, per converso, la Terra brulica di centinaia di milioni di esseri umani che non hanno tuttora possibilità di accedere in modo adeguato ai beni di consumo appena citati, nemmeno per soddisfare i bisogni essenziali.
Anche per essi, dovrebbero essere “disponibili” altri pianeti,con le risorse di questo unico che abbiamo.
Giacchè si tratterebbe, se si volesse arrivare all’eguaglianza tramite l’attuale tipo di crescita economica, di riempire ulteriormente e indefinitamente la terra con analoghe quantità dei beni mobili e immobili suesposti. Cosa che è evidentemente impossibile…
Così come è moralmente impossibile pensare di continuare ad escludere i diseredati e gli ultimi dall’accesso ai beni e ai servizi di prima necessità.
Per cui, delle due l’ una. O si cambia radicalmente il paradigma dell’attuale modello di sviluppo (e con esso quello politico-ideale della sinistra) oppure si accede, di fatto, all’estinzione “tout court” dello sviluppo e del benessere.
E vi si accede, ovviamente, non per libera scelta, ma per implosione, consunzione, essiccazione delle sorgenti di vita bio-organiche e sociali del pianeta.

Giovanni Rotolo

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