Non rinunciamo a rivolgere un sincero pensiero alle mamme, nel giorno ad esse dedicato, diversamente prescelto nei Paesi di origine, per la loro generosa donazione della vita e le tante sacrificate “buone“ giornate testimoniate ai figli del mondo.
Ed esprimiamo gratitudine a coloro che, per talenti, studi, ricerche, creatività artistica, osano coraggiosamente, trasmettere, saggi, liriche, musiche, opere pittoriche, sculture, progetti, scelte e vocazioni sociali, civili e religiose, sui tempi e gli eventi della loro storia e produttività culturale, dedicati alle mamme e da loro spesso ispirate ed ereditate.
Li abbiamo osservati nelle foto e nei post degli imprenditori, dei lavoratori, dei poeti, dei pittori, degli scrittori e dei giornalisti, che su FB, nei motori e nei siti specializzati, nelle Mostre, nelle Gallerie e nei Palazzi storici, come ora lungo le strade dei centri storici, dialogano e provocano alla riflessione i visitatori o i viandanti del turismo che arrivano nelle città della ”cultura” dai Paesi più lontani.
Il nostro comune pensiero corre grato, per naturale sentimento di riconoscenza, alle mamme, che ci hanno donato la vita, non solo per un giorno, con il lavoro senza remunerazioni, per allevarci, sostenerci, nell’apprendimento, per introdurci alla fede con le loro preghiere e testimonianze, per trasmetterci valori, che la società ritarda a condividere o ruba, per interessi consumistici, alle tante o poche famiglie odierne, non sufficientemente curate nei loro bisogni esistenziali.
A tutte le mamme pervengano attenzioni amorose di un conforto dinamico, da parte dei figli, anche vicini o lontani per il lavoro mancante e cercato nella patria resa sempre più diffusa e più comune, per le aggregazioni istituzionali necessarie delle società della post-modernità.
Alle mamme, che ci hanno lasciato, un pensiero carico di ricordi e di insegnamenti, una preghiera da credenti, una parola sul diario segreto di ciascuno dei figli, o un’opera lasciata su ispirazione artistica, dedicata alla loro bellezza, velata e abbrunita nelle foto amate, dai pittori e dai poeti, non distratti dalle difficoltà dei tempi.
E negli anni invitati alle opere di “Misericordia“ da Papa Francesco, troviamoci vicini ai bambini ed alle mamme, per poco conosciute, o per generosi o forzati uteri in affitto, o perché lasciati nei mari
burrascosi delle materne speranze, tese a donare un futuro ai figli ed alla società dell’Occidente impaurita dalla denatalità incombente.
Almeno, ma non solo per un giorno di festività, l’Occidente dei popoli ricchi, abbia un sussulto di generosità su tutte le frontiere nell’accoglienza di profughi e di migranti ed i cittadini apprezzino l’amore delle nuove mamme, che, attraverso gli Organismi umanitari della carità e gli Stati, hanno permesso, favorito e voluto, le adozioni, hanno, e non provvisoriamente, adottato i figli desiderati e li curano, in attesa di giorni migliori per la loro umana completa integrazione nel segno della fraternità universale e di un nuovo auspicato umanesimo tra i popoli dei diversi continenti.
Ferdinando Russo
onnandorusso@alice.it
Pani ccu l’ògghiu
Pi-pìu pìu, un cantu d’acidduzzi.
Agghiorna, fora abbàianu li cani.
La notti si ni torna dintrê puzzi.
Mi sbìgghiu cc’un gran çiàuru di pani.
È càudu, mi lu conzu d’ògghiu e sali.
Me matri s’arrisetta u cantaranu.
È vicchiaredda, un àncilu senz’ali.
Iu mi l’abbrazzu e cci vasu li manu.
Idda si scanza: «S’âv’a travagghjari…»
Vì, quant’è nica! pari na stidduzza
ca brilla nfacci a luna suprô mari.
Doppu ca s’a chiamò la Madunnuzza,
lu pani càudu a mia mi fa prïari:
m’a sentu ancora cca, la me mammuzza.
Pane con l’olio Pipìo pìo, un canto di uccellini…/ Si fa giorno, fuori abbaiano i cani./ La notte se ne ritorna dentro dei pozzi./ Mi sveglio con un intenso odor di pane.// È caldo, lo condisco con olio e sale./ Mia madre rassetta il cassettone./ È vecchierella, un angelo senz’ali./ Io l’abbraccio e le bacio le mani.// Lei si schermisce: “Devo lavorare…”/ Vedi, quant’è piccola! sembra una stellina/ che brilla di fronte alla luna sopra il mare.// Dopo che se l’è chiamata la Madonnina,/ il pane caldo mi fa gioire:/ me la sento ancora qui, la mia mammina.//
G. Pappalardo
foto a cura di DANIELE CARNABUCI