MINA E IL GRAN MOGOL
e il PD di Enna
La battaglia dentro e ai margini del PD incalza a suon di versi melodici. Io non ti conosco/ io non so chi sei per Vittorio Di Gangi: Io ti conosco/io so chi sei per Rosalinda Campanile.
Si esibiscono invece senza accompagnamento, rispettivamente, Carbone e Rubino, che sono singolari e non plurali come invece Luca Carboni e Sergio Rubini, ma che danno comunque spettacolo l’un contro l’altro armati.
Non c’entrano poi tanto Mina e Battisti, quanto Mogol, o meglio il Gran Mogol, il capo delle giovani marmotte, quelle di Qui Quo Qua. Il Gran Mogol, che è il convitato di pietra di questa pièce musicale e teatrale, un musical praticamente.
Il dibattito è l’anima della democrazia, ma cantori, coristi e solisti non si addicono alla politica, almeno a quella a cui eravamo abituati noi che veniamo da lontano. La vicenda nazionalpopolare messa in scena da tanti protagonisti sul palcoscenico ennese, è uguale a quella che si sta vivendo a livello nazionale, regionale e variamente locale da qualche tempo a questa parte dentro il PD, dove è più importante sconfiggere se non distruggere il compagno (sic) di partito che non l’avversario politico vero e proprio.
Nella furia iconoclasta di una città e di un partito, che hanno preferito autodistruggersi anziché mettere alla prova chi si sentiva fino ad allora uno e trino (almeno nelle proporzioni), chi ci ha perso fino ad ora sono i cittadini, smarriti da una linea politica che non c’è e non poteva esserci.
L’attuale sindaco (non me ne voglia se parlo dell’amministrazione al singolare) è il frutto di un accordo in stile partita del cuore, o vecchie glorie contro resto del mondo, che lui chiama pomposamente “esperienza civica”; che non è nata per mettere insieme tante sensibilità diverse con lo scopo di offrire alla cittadinanza una prospettiva di governo capace ed onesta, ma per sconfiggere il capo delle giovani marmotte. Si sono infatti coalizzati ex futuri PD, ex futuri Forza Italia, ex futuri autonomisti, ex futuri uomini qualunque, liste civiche e cotillon, tutti contro l’uomo solo al comando.
Il progetto-macedonia poteva pure riuscire (lo vuole il popolo, lo vuole Dio) se solo ci fosse stato un vero progetto. Oggi di tutti quegli enunciati non rimane niente di concreto.
Mi fa specie che l’on.le Carbone veda cose che noi umani non potremmo immaginare: “Dipietro sta facendo un buon lavoro in città”, ha detto. Mancano solo le navi in fiamme al largo dei bastioni di Orione e i raggi B alle porte di Tannhäuser per sentirci protagonisti di Blade Runner.
Solo che il protagonista finisce la frase e il film con le parole: È tempo di morire.
“Mi basta il tempo di morire”, cantava Battisti con la sua motocicletta non esattamente potentissima (solo 10 HP), e chi non sembra più avere nemmeno quelli, come l’attuale Giunta, fida soltanto nella eccessiva (e perciò sospetta) magnanimità del capo degli avversari (ancorché provvisorio e commissario) e della paura di alzarsi dei Consiglieri comunali, che ha afflitto per un’intera legislatura l’intera Assemblea Regionale.
Qualche altro cuore impavido, già amico di “Enrico stai sereno”, ardisce affermare che “La città giudicherà l’operato di una minoranza senza voti e credibilità nella città e ormai fuori dal PD. Solidarietà e sostegno pieno alla giunta Dipietro”. È come se il sindaco fosse stato eletto dal Partito Democratico e questo Braveheart delle dichiarazioni, i voti invece da parte sua li avesse davvero!
Il buon Vittorio, segretario comunale, ex segretario, quasi segretario (è lui o non è lui? visto che spesso viene scavalcato dall’effige di un ex sindaco) dice cose sensate ma senza memoria. Le norme, i regolamenti, gli articoli, i commi, lo statuto, esistevano pure prima e li avete usati contro di noi, gli ricorda Campanile. Che ha ragione praticamente in tutto, anche quando parla di “questi anni”, riferendosi agli anni di commissariamento del PD ennese. E qui ha ragione Di Gangi che non si ricorda che Carbone abbia mai dato un segnale prima d’ora, che abbia dato un colpo in tutto questo tempo, nemmeno durante una seduta spiritica!
In questo troviamo una precisa somiglianza tra commissario e sindaco, di cui non riusciamo a ricordare che qualche timido pronunciamento, quasi mai seguito da azioni concrete (l’ultimo proclama è stato per il viale Caterina Savoca, dove i soldi ci sono, il progetto pure ma non si muove niente, o della povera panoramica dimenticata ed in attesa di nuovi crolli, o dei Benedettini, dove hanno messo l’impalcatura e poi l’hanno tolta).
Un sindaco è il nostro rappresentante, è il rappresentante della città, è il capo condomino di questo ammasso di case che è diventata Enna e se nemmeno lui riesce a chiamare l’idraulico, sistemare il citofono o pulire le scale, che ci sta a fare?
Finora abbiamo visto scaricare tutta la colpa vera o presunta dell’immobilismo comunale agli uffici. Un buon generale guida le truppe che ha, le motiva e le porta all’attacco, inventando strategie nuove; non confonde i suoi uomini con mille ordini strampalati e non li umilia.
La lucida analisi di Rosalinda, per il resto encomiabile per impegno, memoria e coerenza, ha un vuoto solo quando pensa (o si illude) che siamo alla vigilia della soluzione del problema rifiuti, che siamo alla vigilia dell’approvazione del PRG, quando vede un futuro di progetti e investimenti che fino ad ora si sono solo perduti piuttosto che guadagnati!
Se poi pensa ad un nuovo governo regionale, anzi ad un “buon governo della Sicilia” allora abbiamo capito tutto, abbiamo capito da che parte sta, che sta dalla parte giusta del PD, quella buona e costruttiva, quella che aspettiamo a Roma come a Palermo, a Enna come a Risicallà. Solo che noi mortali non sappiamo ancora quale sia.
Perché questa è la guerra che il PD ha giocato e perso in questi cinque anni alla Regione, nella continua alternanza di partitismo e spontaneismo, di struttura e movimento, di maggioranza e opposizione, opposizione interna ed esterna al governo, di megafoni e sassofoni, di proclami decisionisti e vuoto politico, di segretari che non sono segretari e liberi governi che si gloriano dell’autonomia ma subiscono passivamente un bilancio commissariato. Di presidenti che nessuno vuole, né fra i partiti, né fra la gente ma che nessuno ha sfiduciato per una intera, lunghissima, interminabile legislatura.
Una legislatura fatta di proclami e fumose rivoluzioni ma che ci ha precipitati all’inferno, o se volete alle porte di Tannhäuser.
Non vorremmo, nel nostro piccolo, che aspettando le elezioni regionali, e poi le nazionali e poi ancora chissà quale altra congiuntura astrale, aspettando un congresso provinciale o un’assemblea di sezione qualsivoglia, fossimo costretti a tenerci questo sindaco fino a fine legislatura, come un Saretto qualsiasi.
Q – G.L. Borghese
Q è la quindicesima lettera dell’alfabeto italiano e la diciassettesima di quello latino ed è l’unica lettera che nella nostra lingua non si può leggere da sola, se non accompagnata dalla “u”.
In questa ottica Q è una lettera “singolare”, nel senso di particolare, unica, e “plurale” nel senso che non può stare da sola.
Q è pure il titolo di un romanzo scritto da quattro autori sotto lo pseudonimo multiplo di Luther Blisset, e che si definiscono “nucleo di destabilizzatori del senso comune”.
Q è dunque “plurale” anche in un senso più ampio. Lascerà di volta in volta a voi lettori informatici il compito di completare ed interpretare, secondo la vostra libera scelta o inclinazione politica, le provocazioni che vi verranno proposte dall’autore, un ennese che da lontano ma puntualmente segue, attraverso internet, gli eventi che travagliano questa terra.
Q è “plurale” anche in un senso più ampio.