Qualche giorno dopo l’ingresso degli anglo-americani ad Enna, avvenuto il 20 luglio 1943, un tizio avvisa l’amico artigiano, con sartoria nella via Roma, che suo figlio stava seduto sulle ginocchia di un soldato americano di colore. Lo spavento fu tale che il genitore-artigiano impiegò un attimo per raggiungere piazza Balata, con l’intento di “salvare” dalle mani del “nemico” il suo bambino di appena sette anni. Il militare, intuita la preoccupazione di quel padre, subito gli porse il bimbo con un …”ok…ok” e un sorriso a centottantagradi. Un caporale, che seguì la scena, lo rassicurò con uno stentato idioma italo-americano e una pacca sulle spalle, offrì un paio di pacchetti di sigarette al papà e diverse tavolette di cioccolato al figlio che già…s’era fatta una scorpacciata di caramelle.
Fin dalle prime luci dell’alba di quella splendida giornata estiva, un passa parola, porta a porta, annunciò l’imminente arrivo a Enna della colonna motorizzata degli alleati il cui sbarco, com’è noto, avvenne nel litorale tra Gela e Licata il 10 luglio 1943. Il rumore degli automezzi blindati e dei cingolati s’incominciò ad udire in città sin da quando le truppe motorizzate giunsero nei presi del quadrivio S.Anna. Dall’alto, dai quartieri dello Spirito Santo, del Vallone dei Greci, di Valverde e di Lombardia, gli ennesi seguirono il lento incedere della colonna. Al Pisciotto e per tutta la Via Pergusa in pochi si affacciarono dai balconi e dalle finestre, temendo qualche raffica di mitra. Poi, come d’incanto, appena le prime auto blindate giunsero nei pressi di Piazza Balata, diverse diecine di persone e tanti…tanti ragazzi, provenienti da via Vittorio Emanuele, da S.Tommaso e traverse, si radunarono in un battibaleno in quella piazza. Qualcuno iniziò un timido battimano che in un attimo contagiò tutti; inoltre, i soldati seduti sui camion e sulle camionette militari furono accolti con uno sventolio di fazzoletti bianchi. Molti si ricordano di quel 20 luglio del ’43 quando i reparti della I divisione della VII armata del generale Patton entrarono in città. Furono salutati dalla popolazione come ‘liberatori’. I bollettini di guerra alleati indicarono Enna come “avamposto dell’Italia liberata…”. Intanto, le truppe tedesche di stanza a Enna, assieme al comando della VI armata italiana, avevano, per fortuna, già lasciato la città immediatamente dopo lo sbarco con direzione Agira – Ragalbuto dove vi fu un cruento scontro armato con le forze alleate, con perdite d’ambo le parti. Dal Belvedere si udì il fragore dei mortai e si videro i bagliori dell’artiglieria pesante. Il comandante del contingente americano, tenente colonnello Rodd, requisì l’Albergo Belvedere che divenne sede, da subito, dell’ufficio degli affari civili, l’AMCOT (Amministrazione Militare Comando d’Occupazione Territoriale), nonché l’alloggiamento per sè ed i suoi ufficiali. Il 25 luglio il colonnello nomina a Sindaco della città Giuseppe Ferrara (in carica fino all’11 dicembre ’43) al posto del Podestà, abrogando, di fatto, tale figura istituita dal fascismo nel 1925. In seguito, il 24 dicembre 1943, nomina il nuovo Sindaco, in sostituzione del Ferrara, il Cav. Francesco Militello e gli assessori comunali nelle persone di Salvatore Carota, Attilio Consolo, Benedetto Farina, Luigi Fontanazza e Paolo Guglielmaci.
Nei giorni precedenti lo sbarco ed immediatamente dopo, Enna subì diverse incursioni aeree con bombardamenti notturni (10 e 14 luglio), in concomitanza con lo sbarco delle truppe alleate a Gela, che seminarono la morte fra militari e civili e distrussero molte case con le bombe anche incendiarie. La chiesa di Valverde fu quasi tutta distrutta, mentre quella dell’Addolorata subì gravi danni nella copertura. Si ritenne fortunata la circostanza che il comando della VI armata e le truppe tedesche presenti ad Enna, lasciarono la città subito dopo lo sbarco.
Il 18 luglio, in pieno giorno, una squadriglia alleata di aeroplani bombardieri si avvicinò minacciosa in formazione a bassa quota proveniente da mezzogiorno. Qualcuno ebbe il fortunato intuito di esporre un lenzuolo bianco sul tetto della propria casa, subito imitato da tantissimi altri concittadini. Quella “scacchiera” bianca (le lenzuola) e grigia (l’argilla delle tegole) salvò forse la città da un probabile bombardamento a tappeto. I gerarchi e i militanti del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) si affrettarono a distruggere o a far scomparire le divise, i gagliardetti, le tessere, i distintivi e le medaglie così da potersi “dichiarare” agli americani “antifascisti”. Dopo l’otto settembre ad Enna, come in tutti i territori liberati, vennero distrutti a colpi di piccone tutti i simboli e le scritte murali del regime.
Queste “cancellature” sono ancora oggi visibili nelle facciate degli edifici pubblici (Prefettura, Camera di Commercio, Palazzo Comunale di piazza Coppola). Il medaglione a sinistra, (quello a destra raffigura lo stemma della città) facente parte degli affreschi del soffitto del Teatro Garibaldi (opera eseguita nel 1931dal pittore Leopoldo Messina), venne ridipinto in modo da far scomparire il ”fascio del littorio”. Inspiegabilmente però i quattro medaglioni in pietra (lavorati in bassorilievo) raffiguranti anch’essi il Fascio sono rimasti intatti e bene in vista nei due prospetti principali dell’edificio ex GIL (Gioventù Italiana del Littorio) di via IV novembre, angolo via Duca D’Aosta, posti in alto appena sotto la cornice dell’edificio. La lapide di marmo riproducente il testo del telegramma del 6 dicembre 1926 firmato: Benito Mussolini, che annuncia l’elevazione di Castrogiovanni alla dignità di capoluogo di provincia, è rimasta integra e nel suo originario sito: l’androne del Palazzo del Municipio.
Salvatore Presti
Articolo pubblicato nelle pagine de “la cronaca di Enna” di un noto quotidiano a tiratura regionale (G.d.S.) nel 2005 e inserito nel volume dello stesso autore dal titolo “ENNA – Il Filo della Memoria” edito da NovaGraf, Assoro (Enna), 2013, ancora disponibile nelle librerie della città.