Bellissima testimonianza questa di Pino Signorelli, fratello maggiore del compianto Angelo Signorelli. Lui ricorda perfettamente con tanti particolari avendo compiuto, quell’anno dello sbarco (1943), 14 anni di età. In quei giorni di occupazione degli anglo-americani gli episodi di generosità dei soldati verso gli ennesi e dei giovani in particolare furono tanti… Ma non ci fu ad Enna accanita repressione da parte delle autorità militari d’occupazione. Ci fu molto intrallazzo e mercato nero, questo si, tanto che Umberto Domina nel suo libro “L’Enna del ’39” ribattezzò ironicamente Piazza Umberto I° in “Piazza dell’intrallazzo”…. (Salvatore Presti)
Nella foto Pino Signorelli durante la partecipazione alla trasmissione “I fatti vostri” di Magalli
Enna. L’inventore Giuseppe Signorelli è tornato a Rai2 “i fatti vostri” con il ferro da stiro che cucina
Negli edifici adibiti ad attività fasciste come la GIL (Gioventtù Italiana del Littorio) c’era un gran fermento. La gente portava via di tutto, sedie, attaccapanni, divise da avanguardista, scarpe ecc. ecc. Per terra si scorgeva qualche quadro di Mussolini, dei gagliardetti, e altri emblemi fascisti.
Non sò dire cosa provai, forse non riuscivo ad approvare il misfatto a causa di qualche residuo effetto della propaganda fascista che avevo subito nel passato.
Mi accinsi a portare la cavalla e l’asino a Cozzo Impiso. Vi trovai dei soldati americani, alcuni scrutavano l’orizzonte con dei binocoli per seguire le fasi della guerra da quella posizione collinare, altri stavano sotto un grosso ulivo e giocavano a carte. Sinceramente provavo simpatia per loro anche se erano indifferenti nei miei riguardi, ma ciò era dovuto al fatto che erano molto occupati. Mi avvicinai al gruppo che giocava a carte e mi meravigliai nel vedere che usavano delle cartucce anziché soldi. Era la prima volta che vedevo giocare a poker con l’uso di fiches, allo scopo utilizzavano le cartucce di vario calibro.
D’un tratto si udirono delle grida strazianti, erano voci di uomini e donne e subito una fortissima esplosione. Era esplosa la vicina polveriera.
Le esplosioni si susseguivano a breve distanza di tempo. Intorno a noi cadevano delle grosse schegge, gli americani, in gran fretta, raccolsero le cose più importanti e fuggirono con la Jeep lasciando per terra una coperta, le cartucce e le carte da gioco. Io fuggii verso l’accorciatoia per Enna.
All’incrocio con la strada statale arrivammo insieme. Loro avevano perso tempo perché il percorso per arrivare in strada era molto impervio.
Mi guardarono e si misero a ridere.
Le esplosioni della polveriera si susseguirono a catena per due giorni e due notti. Delle persone che provocarono il disastro nessuno si salvò, forse volevano saccheggiarla. Alcune esplosioni erano così potenti che mandarono in frantumi tutti i vetri delle case di Enna a vista della polveriera.
Mc.BRYNE
Quando i vari depositi di munizioni furono saltati in aria, decisi di tornare a Cozzo Impiso e vi trovai gli Americani che mi avevano preceduto. Uno di loro ridendo si avvicinò e mi parlò in inglese, io non capii una parola (alla scuola media avevo studiato solo tedesco) e lui riprese a parlare gesticolando, il risultato fu ugualmente negativo. Mi fece cenno di seguirlo sotto l’ulivo dove c’erano armi appoggiate al tronco e zaini attaccati ai rami. Aprì uno zaino e tirò fuori delle tavolette di cioccolato che mi porse esclamando qualcosa. Ne mangiai una e la trovai gustosissima, anche perché avevo dimenticato il gusto per il lungo tempo trascorso dall’ultima volta che l’avevo assaggiato.
Mentre portavo la cavalla e l’asino al pascolo, gli americani si avvicinarono e ridendo mi chiesero con gesti di poter cavalcare la cavalla. Feci capir loro che era pericoloso poiché essa non gradiva estranei e feci cavalcare l’asino. Si divertirono un mondo e ne furono molto riconoscenti.
Verso mezzogiorno, in procinto di andar via, mi invitarono ad andare con loro in Jeep. Gradii molto quell’invito e mi portarono al loro campo che si trovava a un paio di km., dentro una piccola foresta ai margini della stazione ferroviaria. Non ero mai stato in un campo militare, certo fu una bella esperienza. Il sergente Mc.Bryne, questo era il nome di colui che mi aveva offerto la cioccolata, mi mostrò la sua tenda la cucina da campo l’infermeria e una tenda più grande dove c’era un altarino e una branda. Era la tenda del cappellano Mc.Tano certamente di origine Siciliana che sapeva qualche parola del nostro dialetto. Lo capivo e mi capiva.
Più che un campo militare mi sembrava un campo di Boy Scout. C’era molta confidenza tra soldati e ufficiali ed erano tutti molto scherzosi.
Nel pomeriggio, con l’ausilio dell’improvvisato interpretre, dissi a Mc Bryne che dovevo andare a casa e questi si offrì di accompagnarmi con la Jeep, venne anche Mc.Tano; Mc. Bryne caricò sul fuoristrada una grossa scatola di alimentari e salimmo a Enna
Mamma accolse con molta cordialità i due militari e fu contenta di sentire che Mc Tano era un pastore. Ciò la tranquillizzò da una tacita preoccupazione che aveva avuto per la presenza delle mie sorelle. C’era un certo pregiudizio per i militari stranieri a seguito di qualche fatto accaduto in Sicilia con i tedeschi. L’omaggio di Mc Bryne fu molto gradito, si trattava di alimentari in scatola ma c’era di tutto: carne semplice, con piselli, con fagioli, burro e c’era anche una latta da 5 kg.di ottimo formaggio fuso di color giallo.
Stavano per andar via, ma Mc Bryne tornò indietro per chiedere a mamma se io potevo tornare con loro. Fu necessario l’aiuto di Mc.Tano a ciò che fosse chiarita la richiesta e mamma acconsentì, senza riuscire a nascondere un pò di preoccupazione al che io passassi la notte fuori casa, anche se qualche volta lo avevo fatto per lavoro. Spesso d’estate avevo trascorso la notte a dormire nell’aia assieme ai mezzadri per controllare il raccolto del grano durante la lavorazione che a volte durava qualche giorno per mancanza di vento necessario per la spagliatura.
Giunti al campo mi sistemai nella branda del compagno di Mc.Bryne che andò a dormire con Mc.Tano, Mc.Bryne divenne per me un grande amico anche se parlavamo due lingue diverse. Mi stava sempre vicino premuroso per tutto, specie per colazione, pranzo e cena.
Rimasi in quel campo per diversi giorni e ne serbo un bellissimo ricordo. Ero contento di fare la vita che facevano i militari americani.
Al mattino mi alzavo presto, facevo ginnastica con loro vestivo come loro, avendomi Mc.Bryne procurato un paio di pantaloni e una maglietta. Di certo non ero alla moda dato che i pantaloni mi stavano un pò larghi e li avevo piegati e stretti bene con la cinta per non cadermi.
A pochi Km di distanza c’era un’altro campo dove avevano creato un’enorme deposito di carburanti in bidoni da 20 litri disposti su tre lunghe file, e noi andavamo lì a rifornire gli automezzi, e c’era anche una tenda grandissima piena di derrate alimentari e sigarette ed era lì che facevamo rifornimento di quanto necessario al nostro campo. Io aiutavo nel carico e scarico.
IN COMA
Una mattina all’alba mi svegliai e mi sentivo molto strano, come se avevo la testa vuota, ero tutto indolenzito e Mc.Bryne era al mio fianco e mi strofinava una pomata incolore, dopo mi sonno reso conto che era penicillina, su tutto il mio fianco sinistro. Ero un bel pò scorticato. In modo particolare alla tempia. Non ricordavo niente, tutt’ora non sò dove, quando e come fui ferito.
Mc. Bryne cercava di spiegarmi l’accaduto ma non ci riuscì. L’aiuto di Mc.Tano non fu possibile perché si era trasferito all’altro campo. Potevo camminare ed andai fuori per vedere se vi erano segni di bombardamento, ma era tutto in ordine come prima. Non riuscivo a ricordare niente di tutto il giorno prima.
Volli salire a Enna, avevo tanto desiderio di vedere i miei. Mamma si spaventò non poco a vedermi così conciato e cominciò a fare domande e la risposta era sempre quella: NON SO !.
Quello che so, anche a distanza di tempo, è che mi manca un giorno della mia vita.
L’indomani tornai al campo e fu sgradevolissima sorpresa non trovare più nessuno. Nella notte avevano smontato le tende ed erano andati via. Andai subito nell’altro campo con la paura di non trovare più neanche quello, che invece era intatto E c’era Mc.Tano il quale mi disse che la formazione dell’altro campo era partita all’improvviso in rinforzo dei soldati che si trovavano al fronte e che, se volevo, potevo rimanere con lui, non me lo feci dire due volte, mi sistemai nella sua tenda anche se mi dava l’impressione di una chiesetta la presenza dell’altarino.
Trascorsi qualche giorno in quest’altro campo quando fui svegliato da un fruscio di rami dell’ulivo accanto alla tenda, non era ancora giorno ma mancava poco all’alba, vidi nella penombra un uomo che cercava di rubare uno zaino attaccato ad un ramo. Era un uomo molto basso ed arrivò ad afferrare la refurtiva solo con un salto, il ramo si spezzò e lui cadde per terra, si rialzò, mise lo zaino a spalla e si mise a correre. Svegliai subito Mc.Tano che si alzò immediatamente, prese un fucile e si diede all’inseguimento. Io lo seguii.
Il ladro si era allontanato un bel pò e, anche se noi avevamo un passo più lungo, ci volle un bel pò prima di raggiungerlo. Intanto, si era fatto giorno, quando la distanza si era ridotta ad una cinquantina di metri Mc.Tano intimò l’alt, ma il ladro fece finta di non sentire e continuava a correre. Mc allora stese le braccia verso il basso, allargò le dita in segno di delusione, sfilò il fucile che aveva a tracollo e sparò due colpi in aria, ma il ladro non si fermò ugualmente. Allora sparò due colpi, uno a destra ed uno a sinistra ad uguale distanza dalle gambe del ladro. Mi meravigliai che un prete sparasse e per di più con tale precisione. Il ladro si fermò con le mani in alto. Sotto la minaccia dell’arma fu portato al campo, fu fatto sedere sotto l’albero. Mc.aprì lo zaino trafugato, ne tirò fuori il contenuto che consisteva in una maschera da gas e gliela appoggiò al viso. Fu una risata collettiva di tutti i soldati che nel frattempo si erano radunati attorno a noi per godersi la scena, ignari di cosa era accaduto. Dopodiché Mc.Tano prese due scatolette di carne e un pacchetto di sigarette, glieli mise nella tasca della giacca e lo mandò via con una pacca nel sedere.
Come prevedibile, quella che per me era una bella vita non poteva durare. Ben presto gli alleati controllavano tutta la Sicilia e avanzarono verso la penisola. Il campo fu smontato, ma questa volta mi fu possibile salutare il mio amico e non mancava la commozione, tanto che mi chiedevo se fosse stato meglio se l’addio fosse accaduto come Mc.Bryne.
PINO SIGNORELLI