Sfogliando i giornali o ascoltando i notiziari di radio e televisione di questi giorni si rimane colpiti dal contrasto tra le dichiarazioni di ottimismo sulla crescita a passo consolidato di 1,8 l’anno del Pil e dell’occupazione di esponenti del governo Gentiloni e del suo partito, il Pd, e sul richiamo del vice presidente della Commissione Europea (CE), Jyrki Katainen, sui conti dell’Italia. Il numero due della CE avverte che la situazione in Italia non sta migliorando e che tutti gli italiani sanno qual è la situazione. Questa mattina, l’autorevole giornale inglese Financial Times per di più titolava l’articolo sulla situazione dell’Italia con queste parole: “Italian emigration continues despite strong economic recovery” (L’emigrazione italiana continua nonostante la forte ripresa economica). Non molto diversi sono il senso e il tono dell’articolo dal titolo “Questa politica è lontana dai problemi reali del Paese” di Mauro Magatti comparso sul Corriere della Sera di domenica. Magatti pensa che l’ottimismo della classe dirigente sulla crescita rischia di creare rabbia soprattutto tra le nuove generazioni più colpite dal declino. Ritengo che questo rischio ci sia. Basta pensare ai risultati della ricerca sullo stato del welfare italiano presentata alla Camera dei Deputati dall’Osservatorio sul bilancio delle famiglie italiane. Cresce il numero delle famiglie che, a causa delle condizioni di debolezza economica in cui versano, rinunciano a prestazioni essenziali: il 58,9% delle famiglie alle cure sanitarie o ne limita il ricorso, il 76,2% all’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti, il 54,8% ai servizi per i figli e il 57,7% alle attività integrative per l’istruzione. Sono il 30% le famiglie in condizioni economiche solide da potersi permettere di pagare questi servizi. Questi dati misurano l’estensione e la profondità del processo di erosione che investe implacabilmente il ceto medio e del peggioramento delle condizioni di disagio in cui versano gli ampi strati sociali popolari. Si contano a milioni i pensionati che vivacchiano con pensioni a limite della sopravvivenza, le famiglie monogenitoriali (vedovi, separati e single) che si arrabattano in una vita complicata, e i giovani che non riescono a tirarsi fuori da situazioni di estrema precarietà. L’indebolimento dei legami familiari non fa altro che acuire il loro stato di disagio. Le dichiarazioni di ottimismo di ministri e di politici che dicono che le cose vanno bene e meglio, hanno l‘effetto di suscitare il risentimento di quelli, e sono tanti, che nella loro vita quotidiana sono sommersi dalle difficoltà. Se il Pil è cresciuto, come dicono, ma la stragrande maggioranza degli italiani non ne ha ricavato alcun beneficio, viene il sospetto che la ricchezza prodotta si sia concentrata nelle mani di pochi, i soliti noti, che evadono facilmente le tasse portando ingenti quantità di soldi nei paradisi fiscali. La rabbia e il risentimento di ampi settori della società, che scaturiscono da questa situazione di oggettive difficoltà a tirare avanti, cercano un capro espiatorio su cui scaricarsi. Sono sempre i soggetti più deboli il bersaglio di questo groviglio di rabbia e risentimento. E i soggetti più deboli, nella difficile fase che stiamo attraversando, sono i migranti. Ed è per questo motivo che la questione dei migranti sta diventando esplosiva. In una situazione del genere nella quale si inseriscono facilmente i gruppi di estrema destra, che si richiamano esplicitamente al fascismo, occorre avere il coraggio di parlare con chiarezza il linguaggio della verità: non bastano le ottimistiche dichiarazioni sulla crescita per placare la rabbia di quanti non ne traggano alcun beneficio, sono invece necessarie politiche mirate a ridurre drasticamente la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e la volontà politica di applicarle. La disuguaglianza è l’effetto di scelte politiche, come sostiene l’economista americano Joseph Stigliz.
Silvano Privitera
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