Potenziare le guardie mediche per decongestionare il Pronto soccorso
di Massimo Greco
Alzi la mano chi non ha mai dovuto fare ricorso alla cure dei sanitari di un Pronto soccorso ospedaliero. Alzi la mano anche chi ha dovuto attendere meno di 60 minuti prima di essere visitato. Il problema delle lunghe attese nei presìdi di emergenza degli ospedali è cronico e non riguarda solo il nosocomio ennese. Temiamo però che la questione non si voglia affrontare adeguatamente visto che, ancora oggi, non si registra alcuna inversione di tendenza. I dati su cui ragionare non possono che essere quelli ufficiali. A livello nazionale le statistiche riportano queste percentuali di accesso ai Pronto soccorso: 1-1,5% di codici rossi, 13-16% di codici gialli; il restante degli accessi sono equamente distribuiti fra verdi e bianchi, con distinzioni labili e soggettive legate a molte variabili, in base al paziente e alle sue varie comorbidità croniche (cioè le altre patologie dalle quali è affetto). Da queste percentuali appare evidente che l’intasamento al triage non è provocato dai codici rossi e gialli, i soli a richiedere una tipica prestazione urgente e indifferibile, ma dall’eccessivo numero di codici verdi e bianchi, cioè da quei codici che richiedono prestazioni sanitarie riconducibili a quelle di una mera prestazione ambulatoriale. A questo punto, una buona politica sanitaria che si pone l’obiettivo del decongestionamento e dell’appropriatezza delle prestazioni, se non ha certo il bisogno di potenziare le dotazioni organiche dei Pronto soccorso, ha però buoni motivi per puntare l’attenzione sui servizi alternativi territoriali e in particolare sui punti di primo intervento (Ppi) che dovrebbero trovarsi sui punti territoriali di assistenza (Pta). Cioè su quei presìdi sanitari presenti sul territorio e capaci di affrontare i piccoli interventi. E qui “casca l’asino”. Ammesso che questi punti di primo intervento siano formalmente attivi, si dubita sulla loro effettiva efficacia. E a dubitare sono proprio i pazienti, che preferiscono la scorciatoia del Pronto soccorso, anche a costo di vedersi dimettere con codice bianco pagando il prescritto ticket. Non ci risulta infatti che una guardia medica sia dotata degli strumenti per fornire un primo soccorso, per somministrare un farmaco mediante flebo o per effettuare un elettro cardiogramma, insomma per dare sicurezza al paziente e ai suoi cari. Al contrario, si registrano numerosi casi in cui è proprio la stessa guardia medica a suggerire il ricorso al Pronto soccorso per incapacità di assicurare un’assistenza adeguata. In sostanza, c’è certamente un problema di carenza del personale medico e sanitario ma non nei Pronto soccorso degli ospedali ma nelle guardie mediche del territorio.
Ci auguriamo che il nuovo Governo della Regione non si limiti ad incrementare solo il numero delle ore per le guardie mediche, come fatto in passato, ma intervenga in modo strutturale, potenziando sia le risorse umane che le risorse strumentali di questi fondamentali presìdi di cura ed assistenza sanitaria ancora oggi presenti solo sulla carta.