Su “La Stampa” dell’11 gennaio, nell’articolo di fondo dal titolo “Il laboratorio che accende il centrodestra”, Giovanni Orsina sostiene che, nelle democrazie avanzate, alla divisione fra destra e sinistra si sia sovrapposta una frattura nuova tra partiti e forze populiste. Tra le forze populiste esistenti in Italia ce ne sono due che, per il notevole consenso elettorale di cui godono, hanno un peso non trascurabile nella politica italiana: il Movimento 5 stelle (M5s), che ambisce a governare il paese da solo senza allearsi con altre forze politiche, e la Lega di Matteo Salvini, che invece al governo del paese ci vuole andare in compagnia con Forza Italia di Berlusconi, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni ed altre formazioni minori di centrodestra. Per Giovanni Orsina, l’accordo tra Berlusconi e Salvini, potrebbe essere un esperimento politico di grande interesse in una prospettiva che non è solo nazionale. Ma non è certo che sarà così. Di sicuro è un esperimento che suscita anche inquietudine per via delle deriva neofascista della Lega. Ma di questo l’establishment non si preoccupa più di tanto. A preoccuparlo è invece il M5s, che è di fatto il primo partito italiano per consenso elettorale. Dietro quella legge elettorale, un ibrido di proporzionale e maggioritario, frutto dell’accordo Pd e FI, con la quale voteremo il 4 marzo, c’è il proposito di Pd e Fi di fugare questa preoccupazione. Entrambi questi due partiti sono percepiti come componenti di rilievo dell’establishment. Due episodi recenti, le dichiarazione di voto di Carlo De Benedetti e di Eugenio Scalfari, che hanno avuto un’ampia eco sui media vecchi e nuovi, inducono molti elettori a percepire Pd e Fi come partiti d’establishment. Nel gioco della torre, tra Luigi Di Maio, leader del M5s, e Silvio Berlusconi, leader di Fi, Eugenio Scalfari butta giù Di Maio dalla torre e lascia Berlusconi annunciando che voterà Pd il 4 marzo. Anche Carlo De Bendetti ha annunciato che voterà Pd, ma al gioco della torre non ci sta perché per lui Di Maio e Berlusconi pari sono. Non ha detto cosa avrebbe fatto se ci avesse giocato, ma ha fatto capire che li avrebbe buttati tutti e due dalla torre. Non sono fuori dall’establishment Scalfari e De Bendetti, tra i quali non corre più buon sangue, i cui nomi sono legati al giornale “la Repubblica”, che è stato per molto tempo un “giornale-partito” di centrosinistra. Ad accreditare il M5S come partito antiestablishment ci si mette pure Berlusconi che, essendo un pezzo grosso dell’establishment, dice di essere lui e il suo partito l’argine contro cui si infrangerà l’ondata populista del M5s. In questa singolare gara non si sottrae il Pd di Renzi, che pensa molto alle banche e poco o per nulla ai problemi del mondo del lavoro. Eppure non ci vuole molto a capire che questa strana gara del “dagli all’untore”, ingaggiata contro il M5s dai partiti di centrosinistra come FI e di centrosinistra come il Pd di Renzi, non fa altro che avvantaggiare il M5s, che avrà buon gioco a presentarsi come movimento antiestablishment contro l’élite di centrodestra e l’élite di centrosinistra.
Silvano Privitera
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