Il 15 luglio del 1938 venne pubblicato sul Giornale d’Italia il “manifesto della razza”. Un gruppo di Scienziati, professori e intellettuali, insieme al Ministero per la cultura popolare stilò il documento per chiarire qual era la posizione del fascismo nei confronti dell’annosa questione razziale. Il primo dei dieci punti diceva che le razze umane esistono e poi proseguiva: “dire che esistono le razze umane non vuol dire che esistono razze superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti”. Salvini lo ripete tutte le volte che gli si chiede di Fontana. Il manifesto al punto 7 affermava: “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti” e al punto 9 “Gli ebrei non appartengono alla razza italiana”. Cosa si sarebbe potuto fare? Cosa avrebbe potuto fare il Re se non firmare questo manifesto? Avrebbe potuto dire di no. 12 professori su oltre milleduecento accademici lo dissero. Dissero di no ponendosi oltre quella zona grigia che fece tutti fascisti. Non erano “pericolosi sovversivi” Togliatti aveva inviato i compagni professori a prestare giuramento mantenendo la cattedra e pure Benedetto Croce aveva incoraggiato Guido Calogero e Luigi Einaudi a rimanere all’università “per continuare il filo dell’insegnamento secondo l’idea di libertà” e Papa Pio XI ai suoi aveva suggerito di giurare “ma con riserva interiore”. Giurarono nomi illustri dell’antifascismo come Giuseppe Lombardo Radice, Piero Calamandrei, Giuseppe Levi. Firmarono perché consideravano l’insegnamento “il posto di combattimento”, ma molti dissero pure “tengo famiglia” perché non giurare voleva dire perdere la cattedra, una pensione al minimo e controlli serrati e continui. Dodici comunque risposero: “preferirei di no”. Silone avrebbe voluto scriverne i nomi su tutti i muri delle università italiane, in attesa che lo si faccia noi li elenchiamo: Francesco ed Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto, Giorgio Levi Della Vida, Gaetano De Sanctis, Ernesto Buonaiuti, Vito Volterra, Bartolo Nigrisoli, Marco Carrara, Lionello Venturi, Giorgio Errera e Piero Martinetti. Il filosofo Martinetti a Lelio Basso, condannato al confino di Ponza, disse: “Ma io non ho alcun diritto di interrogarla sull’etica kantiana: resistendo a un regime di oppressione lei ha dimostrato di conoscerla molto bene. Qui il maestro è lei. Vada pure, trenta e lode”. Si adeguarono in molti, moltissimi furono giornalisti per i quali venne creato l’ordine: “un gendarme a guardia delle trasgressioni del pensiero unico”. Dodici uomini, intimamente onesti e liberi, in quel momento di sudditanza morale e ideologica, dimostrarono e dimostrano che si può, si può sempre e comunque dire di no. Vuol dire resistere.
Gabriella Grasso
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