È importante, soprattutto in questo periodo, in cui stanno riemergendo (o forse non hanno mai smesso di covare) le ideologie nazi-fasciste e i nazionalismi, fare una riflessione ad alta voce, anche se ho la cognizione di essere una vox clamantis in deserto. Il mio è un tentativo culturale per ricordare che il potere non è prerogativa di uno solo o di pochi uomini ma di tutti gli esseri umani chiamati a dominare la terra nella sua globalità.
Gli uomini nel tempo si sono impadroniti di lembi di terra, hanno creato territori più vasti e nazioni, delimitando i confini entro cui rivendicare i propri diritti, impedendo ad altri di entrarvi, come se queste zone fossero di dominio privato. Si è creato il concetto di cittadino quale membro di una collettività organizzata in stato: soggetto di diritti e doveri.
A fondamento del nostro discorso c’è il principio che l’uomo (l’umanità) è cittadino del mondo e il mondo è per lui “casa comune”. A lui, nella creazione, è stata affidata la terra perché la coltivasse “col sudore della fronte” e la rispettasse. L’uomo, quindi, è soggetto e non oggetto o complemento (elemento idoneo ma non essenziale per il funzionamento o la configurazione di un oggetto o di un fenomeno) di tutto il creato. Riprendere questo concetto di umanesimo integrale oggi è prioritario e su questo valore urge lavorare assieme se vogliamo costruire un mondo più giusto e solidale.
Che differenza c’è, allora, tra una creatura e un’altra? Nella dignità nessuna, siamo noi che autonomamente creiamo barriere e in conformità a esse valutiamo uno status sociale diverso dagli altri, sol perché l’uno si trova ad avere un ruolo difforme poiché la vita e le circostanze gli hanno offerto condizioni dissimili. Eppure sovente alcuni li consideriamo numeri, utilizzando per loro termini generici, divenuti sprezzanti: “straniero”, “extracomunitario”, “di colore”, “handicappato” e altri come persone.
Ogni persona, di qualunque etnia, è un compendio sulla terra, non ha solo braccia ma mente e cuore, ha valori e risorse, dissimili dai nostri ma non per questo spregevoli. Anche se oggi le peculiarità sono scomparse e al posto ci sono i disvalori, i partiti, il nulla, non per questo la persona è stata annientata: continua a essere il soggetto primario dell’esistere terrestre.
Il “cittadino” è al centro della società, della quale è parte integrante. Il punto focale non è il politico, l’amministratore, l’educatore, il genitore, il malavitoso e chiunque ha a che fare con un’altra persona, capovolgendo i ruoli. Sembra che spesso tutto è organizzato in funzione di questi ultimi, considerando gli altri strumentali al raggiungimento dello scopo che si prefiggono, facendo cadere in secondo ordine il valore della Politica, della Scuola, della Famiglia e di tante altre Istituzioni.
Anche chi è “difforme” da noi, nel corpo e nella psiche, non per questo dovrà essere trattato in modo dissimile ma l’uguaglianza è un dono indipendente dalle nostre capacità e potere. E allora: come sarebbe un ospedale senza ammalati, una scuola senza alunni, una società senza uomini? Come si potrebbe fare la carità senza i poveri? (S. Agostino).
Assistiamo a una lotta permanente: il metodo della conflittualità piuttosto che essere costruttivo e creativo, è divenuto sopraffattivo, lotta per l’esclusione, arrivismo… Chi “governa” dovrebbe fare un patto con il cittadino perché, ambedue complementari e complici, si sostengano vicendevolmente e si ascoltino per il raggiungimento di un fine comune: il bene-essere di tutti.
Ma dov’è oggi l’ascolto del cittadino con i suoi problemi, i suoi bisogni, le sue urgenze, le sollecitazioni scambievoli per trovare risposte unitarie? Dov’è la gioia condivisa tra gli abitanti di uno stesso quartiere, addirittura tra la stessa famiglia?
Giorgio La Pira, da sindaco di Firenze, ha lasciato una grande lezione ai cittadini, agli amministratori e ai politici. Egli ogni mattina, dopo la partecipazione alla messa, prima di andare a Palazzo Vecchio, si faceva il giro di un quartiere della Città per vivere un momento di condivisione, nel bene e nel male, con i suoi abitanti e ascoltare, di prima mano, le istanze per una vita migliore. E lo stesso La Pira, quando doveva fare un discorso pubblico importante, al fine di essere compreso da tutti, prima lo leggeva ai poveri: «Perché – diceva – se lo capite voi lo capiranno gli altri».
Questo è servizio all’uomo, non quello di esser osannati e serviti ma di servire. «Non chiederti: – dice F. Caramagna – Chi sono gli altri per essere aiutati? Chiediti: Chi sono io per non aiutarli?». Cristo stesso dice: “Se uno tra voi vuole essere il grande, si faccia servo di tutti; e se uno vuol essere il primo, si faccia servitore di tutti. Infatti anche il Figlio dell’uomo è venuto non per farsi servire, ma per servire e per dare la propria vita come riscatto per la liberazione degli uomini” (Mc 10, 43-46). Gesù volle dare l’esempio e lavare i piedi ai suoi discepoli (Gv 13, 5) prima di mandarli “Come pecore in mezzo ai lupi” (Mt 10, 16). Anche se “Gli uomini di questo mondo, nei loro rapporti con gli altri, sono più astuti dei figli della luce” (Lc 16, 8), è dovere di tutti servire perché nessuno abbia il diritto di sentirsi superiore agli altri poiché tutti proveniamo dalla polvere e nella polvere ritorneremo.
Salvatore Agueci
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