domenica , Febbraio 9 2025

Non ci sono attenuanti etiche perché la società non è pronta

Non ci sono attenuanti etiche perché la società non è pronta. Così la Corte ha sentenziato e dunque l’83enne che, il 22 marzo del 2014 uccise la moglie di 88 anni malata da Alzheimer, è stato condannato a 8 anni e 7 mesi. A nulla è valso ricordare ai supremi giudici la solitudine del malato e la disperazione di chi lo assiste, anziano e malato anch’egli. A nulla è valso ribadire l’assenza di adeguate strutture assistenziali. L’uxoricidio è reato, ma viene da domandare: “ L’assenza dello Stato che cos’è?” Lo Stato in questo caso pare essere solamente Giudice e Carnefice o anche complice di una ipocrisia che suggerisce l’indicibile, senza assumersene la responsabilità. Molti sono i casi di eutanasia saputa e taciuta perché sulla dolce morte non si registra ancora “un generale apprezzamento positivo” ed anzi ci sono “ampie correnti di pensiero che la contrastano” cosa questa “che impone” di non concedere l’attenuante etica. Porre fine alle sofferenze di una persona amata, conformemente ai suoi desideri, è reato per la società che dei malati di Alzheimer non ha che farsene. E allora ci si arrangia come si può, da soli, perché il malato di Alzheimer è imbarazzante, violento, “cammurriusu”, insopportabile e le piaghe da decubito e il catetere e il pannolone e le puzze e il protocollo. La morte di un malato di Alzheimer è un sollievo per la società del si fa ma non si dice, che preferisce credere alla morte evocata e salvifica, chiudendo gli occhi sulle sedazioni terminali o la sospensione dei trattamenti e naturalmente la disparità economica è determinante anche in questi casi perché chi può pagare una struttura adeguata è fortunato. Può non vedere agonizzare l’amata senza ricorrere a una sciarpa per strozzarla.

Gabriella Grasso

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