“Cogghiu pi San Giuseppe, soccu mi runa?”. Queste parole accompagnano fin dopo Natale il lungo via vai delle donne per le case e le strade di molti paesi siciliani per la preparazione della tavolata da offrire al Santo.
Il 19 marzo le tavole, chiamate anche “cene” o “altari”, imbandite con abbondanza di pani e pietanze, con grande varietà di primizie, sia di frutta che di ortaggi, adorne di fiori e luci, accolgono la Sacra Famiglia: San Giuseppe, la Madonna e il Bambino, per lo più impersonati da tre poveri del paese. Ma prima c’è un lungo e faticoso lavoro portato avanti dalle donne che hanno chiesto una grazia al Santo e che, per ringraziarlo, vanno di casa in casa, di via in via, a fare la questua: un lavoro di pazienza e di umiltà fatto in e per nome del Santo. Agli uomini è dato il compito di occuparsi delle modalità pubbliche del banchetto quando esso si svolge su un palco o in piazza oppure di organizzare la “retina con i muli”, cioè la raccolta delle offerte votive di frumento, e ogni altro momento legato alla celebrazione comunitaria.
I momenti, sia pubblici che privati della festa di San Giuseppe, coinvolgono l’intera comunità: uomini e donne, vecchi e bambini, ricchi e poveri sono chiamati a svolgervi un ruolo. Il banchetto offerto in voto da una famiglia è un rito a cui prendono parte tre personaggi – che impersonano la Sacra Famiglia in fuga verso l’Egitto e che, dopo un lungo peregrinare, trova riparo e ristoro nella casa del devoto – ai quali, una volta all’anno, è consentito godere di quelle pietanze e raffinatezze proibite nell’arco dell’anno. E per questo ci si fa merito, nell’allestire una tavola, di esporvi le pietanze più varie e i cibi più pregiati: tutto deve dare l’idea della sovrabbondanza e dello spreco.
L’immagine del Santo, illuminata con lampadine e ornata con fronde di alloro, di palma e di mortella, domina le tavole, grandi quanto una stanza, dove fanno bella mostra i vassoi ricolmi di fave verdi, finocchio, lattuga e ogni altra primizia vegetale: tra i piatti a base di legumi e di cereali, fra le frittate e vassoi ricolmi di carni e pesci variamente cucinati, si espongono i pani confezionati con grande abilità e decorati con seme di papavero. Ci sono i “cucciddata”, le grosse ciambelle che si regalano alla Sacra Famiglia, i pani che rappresentano fiori e animali, ortaggi e frutta, oppure “a manu”, “a varva”, “u marteddu”, “a scala”, “a tinaglia” di “San Giuseppi”.
Nino Costanzo