Come classificare il voto ai M5S nel Mezzogiorno? E’, questa, la domanda che pone Alfio Mastropaolo sulla rivista “il Mulino”. Non è voto di scambio perché ai 5S non hanno nulla da dare in cambio del voto secondo la logica clientelare ed assistenzialistica. I reddito di cittadinanza con il clientelismo centra poco perché è una misura di welfare di cui si parla anche fuori d’Italia. Non è neppure voto di appartenenza perché i 5S non vogliono essere un partito cementato da uno solido sistema di valori e interessi, ma un luogo d’incontro tra individui. Neanche è un voto di opinione che presuppone un elettore consapevole che si sposta da un partito all’altro sulla base della considerazione del suo interesse. Di sicuro è un voto di protesta contro i partiti di destra e di sinistra di elettori disperati e sfiduciati. E’ un voto di protesta fondato su una ragione semplice: negli ultimi decenni, il Meridione è stato abbandonato. Basta pensare al tasso di disoccupazione che è del 17,2%, il doppio di quello europeo, con punte del 23,2% in Calabria e del 22,1% in Sicilia. Per non parlare della disoccupazione giovanile che, nel Meridione, ha raggiunto l’allarmante quota del 58%. Disoccupazione che ha dato inizio ad una nuova stagione di emigrazione di forza lavoro con un elevato grado di istruzione. Sono aumentate le disuguaglianze tra il Nord ed il Sud del paese. Anche all’interno di queste due aree del paese le disuguaglianze sono aumentate. Non un voto di protesta irrazionale, come sostiene qualcuno. La protesta può essere razionale. Il voto ai 5Stelle nel Meridione esprime una domanda di cambiamento, di sostituzione di classe dirigente. Quel voto ai 5Stelle sembra dire: “li abbiamo sperimentati tutti, governi di centrosinistra e di centrodestra, sperimentiamo anche questi dei 5S”. Il voto ai 5S evoca quel detto popolare troinese “si nu si sfascia, nu si consa” (se non si abbatte, non si costruisce).
Silvano Privitera
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