La sinistra in quanto contraddizione (2)

La contraddizione – insanabile, esistenziale- degli “intellettuali di sinistra”, appare essere la contraddizione tra ciò che si sceglie per sè e ciò che si sceglie, di fatto, per gli altri. Tra ciò cui si aspira a livello personale e familiare, e ciò per cui ci si schiera e si lotta a livello sociale. Tra senso del dovere e senso di appartenenza.
Si sceglie, per sè e per la propria famiglia, – e ci si adopera in tanti modi per ottenere- una vita borghese e benestante.
Strutturalmente e idealmente borghese. Potremmo dire anche spudoratamente borghese. O borghese fino al midollo!
E si sceglie, al contempo, di stare con gli operai, gli sfruttati, i poveri, gli umili, gli ultimi. Ma continuando a voler essere i primi. Non per livello economico, certo (tranne casi aberrati e deviati), ma per livello socio-culturale.
Si sceglie di primeggiare, rimanendo con gli ultimi; di affratellarsi, mantenendo le distanze; di emergere, stando a fianco dei “sommersi”. La qualcosa è oggettivamente ardua. Fisicamente ardua! (Se è concessa una battuta).
Ciò accade, beninteso, non del tutto intenzionalmente. Giacchè si tratta, probabilmente, di una contraddizione ineliminabile e connaturata alla complessità della scelta, della società, e forse dell’ esistenza stessa così come la conosciamo adesso.
Una contraddizione che, tuttavia, è possibile mitigare, e che di fatto viene mitigata dai tanti esponenti -intellettuali e non – della sinistra seria, fattiva, autentica.
Ne abbiamo esempi storici più che luminosi, in Gesù Cristo, San Francesco d’ Assisi, Ghandi, e altri.
Ma ne abbiamo anche tantissimi attuali, meno estremi, meno estranianti dal mondo, forse anche più umili.
Quel che tuttavia permane, e di cui credo occorra tener conto, è la (sia pur triste) ineludibilità delle differenze tra “noi” e “loro”. Ricordarle non vuol dire enfatizzarle, sottolinearle, o, tanto meno, compiacersene; ma tenerle presenti per non farne un uso improprio.
Ma al contempo, e soprattutto, questa consapevolezza di come e quanto moltissimi esponenti della sinistra si sono -ci siamo!-
allontanati dai lavoratori manuali, dai poveri, dagli ultimi, può aiutarci in un compito importante e urgente. Quello di riavvicinarci a loro nell’ unico modo in cui ci è possibile: la sobrietà negli stili di vita e la fattualità e la solidarietà nei comportamenti concreti.
Non ci è possibile, infatti, fingere di essere gli ultimi in quanto a lavoro, istruzione, scelte esistenziali, modelli di riferimento. Nè tantomeno vagheggiare ipotesi di ritorno all’ ideale del “buon selvaggio”, in cui tutti siamo innocentemente uguali.
Ma, se non possiamo “essere” gli ultimi, possiamo però “fare” gli ultimi, sia pure in ridottissima misura.
E possiamo farlo nell’unica dimensione che, in fondo, è a loro utile. La dimensione della restituzione sociale.
Possiamo ridare loro qualcosa (o anche tanto) di ciò che a loro abbiamo storicamente, più o meno colpevolmente, sottratto. (Non soltanto in termini di beni materiali).
Possiamo non sprecare in modo abnorme i beni essenziali di cui hanno estremo bisogno e scarsissima disponibilità (e che loro, peraltro, per la maggior quantità e percentuale mondiale, producono).
E la sobrietà e la solidarietà sono, di per sè e nei loro effetti concreti, restituzione.

Giovanni Rotolo

 

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