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Il doppio valore del 25 aprile

Il 25 Aprile è in Italia la festa della “liberazione”. È la festa che, quasi per fede mistica, ricorda la vittoria dei partigiani contro i nazi fascisti. E siccome la storia è scritta dai vincitori, continuiamo a sottostare a questa “credenza” popolare. Attenzione, l’obiettivo di tale articolo non è quello di rinnegare il valore del 25 aprile come data storica o la figura del movimento partigiano, ma valutarla per quello che è: cioè la data che sancisce, simbolicamente, la fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia. Passare da questo fatto oggettivo e arrivare alla mitizzazione della figura di “quei signori” che si sono presi l’investitura di “partigiani” ma che con il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) avevano ben poco che spartire (e ce ne sono stati), non solo è deleteria per la nostra coscienza critica, ma è un falso. Ovviamente la premessa essenziale è che tra questi “liberatori” vi sono stati personaggi spinti dall’amor patrio. Ma vi è stata, obiettivamente, una parte che comprendeva una massa di briganti che non sono stati definiti tali (e quindi processati realmente per i loro crimini) solo perché le loro azioni criminali sono riuscite a prevalere su altre azioni criminali che in quel tempo erano perpetrate dai nazi fascisti. Un esempio fra tutti può essere Marzabotto per i Nazisti, ma c’è, ad esempio, la strage di Oderzo per questi pseudo-partigiani. Prima discrepanza: come mai la prima ha maggiore risonanza della seconda? No, così, tanto per chiedere. Forse i morti causati dai perdenti sono morti di prima categoria, frutto di inenarrabili violenze e bla bla bla, mentre gli altri (quando qualcuno, indagando, li scopre) sono morti necessarie per la causa? E non sono degni neanche di essere ricordati, perché morti di serie B? I morti sono morti e basta. Non abbiamo neanche l’idea di quante vittime innocenti sono state fatte da questi presunti partigiani e quanti ragazzi e bambini sono morti per mano loro, frutto tutto non per chissà quale alto valore nazionale ma per un mero “regolamento di conti”. Per non parlare poi degli stupri. Però, nei libri di storia su cui studiano i nostri ragazzi, tutto questo non c’è (se non vagamente accennato). È troppo chiedere non tanto un giudizio ma quantomeno l’oggettività storica? Non è revisionismo, è denuncia di una presa in giro che ormai da decenni ha avvelenato e intossicato la coscienza italiana. Una presa in giro che ha avvelenato anche la figura di quei veri Partigiani, quelli con la “P” maiuscola, che si sono spesi, hanno messo a repentaglio la propria vita per amor di Patria.
Un altro esempio: quale valore ha avuto la morte di Mussolini? La caduta del tiranno o, se andiamo a vedere, l’uccisione di un uomo che, seppur macchiato di diverse colpe, meritava quanto meno un processo (non sarebbe stato quantomeno più “giusto” vederlo a Norimberga?). Forse Mussolini è un esempio troppo “forte” e provocatorio. Ma vabbè, non ci mancano sicuramente tanti altri esempi, magari anche di semplici sconosciuti, caduti per mano di questa gente senza alcun processo e sentenza di condanna (ammettendo che la pena capitale sia una condanna “corretta”). Che differenza c’è allora tra questi presunti partigiani e i nazi fascisti?
Proviamo a tornare a quei giorni. Proviamo ad andare in quei paesi dove la furia e la criminalità di questi briganti che si mischiavano tra i veri partigiani imperversava. Vediamo padri e madri che vedono i propri figli trucidati da briganti. Come possono definirli liberatori? Come possono pensare che quell’uccisione fosse giustificata in nome dell’Italia e del bene degli Italiani? Il bene di qualcuno non è dato dall’omicidio efferato, soprattutto se di vittime innocenti. E se ancora insistiamo a mitizzare questa gente: come possiamo sentirci Italiani? Come possiamo festeggiare il 25 Aprile come nostra “liberazione” se per “liberarci” sono stati versati fiumi di sangue senza colpa? Con quale dignità culturale mostriamo riverenza (anche) a briganti, assassini e stupratori (è l’oggettività storica a dirlo!)?
Magari, e come detto sin dall’inizio, lungi dal fare di tutta l’erba un fascio, non tutti i partigiani si sono mossi in questa maniera e abbiamo avuto esempi di “corretto” amor patrio. Anzi, siamo sicuri che stiamo parlando di un fenomeno che nelle percentuali del totale non è alto. Ma c’è. E proprio perché c’è, soprattutto nell’interesse di chi ha agito correttamente, va denunciato e va fatto un distinguo. E allora, si permetta quantomeno la salvaguardia della nostra obiettività storica, facendo sempre più luce sulle innumerevoli ombre del movimento partigiano italiano festeggiando il 25 Aprile “con cognizione”. Non abolirla, ma usarla come spunto di riflessione per come fatto da noi. Partire dal dato oggettivo che il 25 Aprile è la data simbolo per noi italiani della fine della Seconda Guerra Mondiale e che il CLN ha avuto un ruolo cruciale per quest’obbiettivo. E da qui saper ben distinguere chi ci ha “liberato” da chi, sfruttando questa “liberazione”, ha fatto crimini peggiori di chi ci “opprimeva”. Perché, fino a che non ci sarà un’analisi “fredda” e obiettiva senza pregiudizi politici, avremo sempre una Storia a senso unico. E ciò è sconfitta morale di un popolo, il nostro, e di un movimento, quello Partigiano, vinto dall’ipocrita Storia cieca e acritica scritta dai vincitori.

Alain Calò

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