22 Novembre 1963. Dallas. Viene ucciso John Fitzgerald Kennedy, 35mo Presidente degli Stati Uniti d’America. Non è la prima volta che gli Usa consegnano alla storia l’assassinio di un Presidente, Lincoln ne è un esempio. Eppure questo episodio ha particolarmente colpito. Forse perché abbiamo i filmati che ritraggono il momento esatto dell’assassinio. Forse perché sono anche gli anni ’60 del secolo scorso, un periodo storico in cui forte è la presenza della storia e del mondo, diviso nei due blocchi di USA e URSS e che proprio negli anni ’60 hanno messo in campo diverse mosse nello scacchiere internazionale le cui ripercussioni si sentono forti ancora oggi. Gli spari di Oswald, un nome che ormai fa il paio con Gavrillo Princip o Francois Ravaillac o John Wilkes Booth, scossero il mondo rivelando la debolezza e la fragilità umana del cuore di uno dei due blocchi. Vuoi anche per la complicità della morte in giovane età, Kennedy è oggi una figura quasi osannata, al pari di un Che Guevara. Sicuramente un Presidente che con il proprio savoir faire e con la sua giovinezza sapeva bucare lo schermo televisivo ed entrare nelle case degli americani e del mondo intero come il bravo ragazzo. Quello “nuovo”, dopo 8 anni di presidenza repubblicana appannaggio del generale Eisenhower. E mettendo insieme a tutto ciò anche il fatto che il suo competitor era Richard Nixon, l’unico Presidente (perché poi ci diventò) americano a doversi dimettere a seguito dello scandalo Watergate, ma che anche a quei tempi non era molto “simpatico”, bè… la strada alla Presidenza era praticamente in discesa. Qualche voto lo avrà raccolto anche il sorriso della moglie Jacqueline, praticamente una “cornuta e contenta” (sappiamo bene come Kennedy amasse l’avventura amorosa da quella più lunga a quella di una notte e via), con la quale ebbe due figli. Sicuramente di Kennedy, più delle azioni, alcune veramente fallimentari e da stendere un velo pietoso come lo sbarco della Baia dei Porci, resterà viva e nei ricordi di tutti i discorsi carichi una retorica da far impallidire Cicerone. Da quel “non chiedetevi cosa possa fare lo Stato per voi, ma cosa voi possiate per lo Stato” fino a quel “ich bin ein berliner”, i discorsi del Presidente erano un misto di slogan-frasi effetto che, nonostante tutto, riuscivano a fare breccia. Era un uomo che sapeva sognare e far sognare con quella promessa di portare l’Uomo sulla Luna. Un uomo pragmatico che è riuscito a cavalcare bene l’onda dei diritti civili e quindi di Martin Luther King. Un uomo, a suo modo, legato alla famiglia, avendo tra i suoi ministri il fratello Robert Kennedy accomunati anche dal fatal destino dell’assassinio (non fu una famiglia fortuna su questo aspetto…). Il periodo storico in cui visse e operò Kennedy fu comunque forse il più teso e il più interessante di tutto il ‘900 dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Fu durante la sua Presidenza che la controparte sovietica, guidata da Nikita Kruscev, fece erigere il muro di Berlino, lo spartiacque per eccellenza dei due blocchi. Fu il momento in cui gli Usa intensificarono l’impegno nel Vietnam (e sappiamo tutti come finì quella guerra). Fu il momento di Cuba, del castrismo e della già citata Baia dei Porci. Ma anche dei missili installati dai sovietici. Eravamo veramente vicini ad un conflitto mondiale e conoscendo le potenzialità nucleari di entrambi gli schieramenti, c’era ben poco da salvare in caso di guerra calda. Eppure la lungimiranza, o forse la paura, o ancor meglio la ragionevolezza di entrambi i leader, Kennedy e Kruscev, riuscì a evitare la Terza Guerra Mondiale. E questo, certamente, è un punto a favore di Kennedy. Forse quello fondamentale che seppur una rosa tra tante spine, può farci gridare al “grande” e ricordare ancora questo Presidente.
Alain Calò
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