Sull’ultimo numero del settimanale “L’Espresso”, quello con la copertina dove c’è una saracinesca abbassata con il simbolo del Pd “il partito che non c’è più”, Marco Damilano, nell’articolo di presentazione dell’inchiesta su questo partito, ne nota l’irrilevanza nella fase politica che l’Italia sta attraversando. E’, il Pd, un partito d’opposizione insignificante di fronte alla Lega di Salvini, in crescita di consensi, che sta al governo e all’opposizione, e al M5S in difficoltà ed in crisi di consensi, “che però non finiscono verso i partiti della minoranza ma vanno a ingrossare le fila dell’astensione o del partner di governo”. Il settimanale che fa parte del gruppo editoriale, che non è ostile al Pd, ne segnala impietosamente l’assenza di cultura politica in molti militanti, rappresentanti locali e in non pochi parlamentari. “Seguendo i lavori dell’ultima assemblea del Pd all’hotel Ergife, devo confessare, quel che più mi ha preoccupato è stata l’imbarazzante pochezza di gran parte degli interventi”, scrive Damilano. E’ difficile dargli torto, se si pensa che questo partito, che ha perso le ultime elezioni politiche del 4 marzo in malo modo, dopo 5 anni consecutivi di governo, non ha fatto un’analisi seria sulle cause della sconfitta e riduce il dibattito congressuale ad una stucchevole contesa sui nomi dei candidati alla segreteria nazionale. Quest’andazzo spinge Valentino Castellani, che fu sindaco di Torino negli anni ’90, a sconsolate conclusioni: “Non riesco ad appassionarmi a queste candidature. Non si capiscono le differenze, mentre un partito dovrebbe produrre anzitutto pensiero. La grossa carenza è proprio lì. Manca un progetto di futuro, e chi lo deve fare?”. Nell’immediato futuro molti prevedono una rottura del contratto di governo Lega-M5S. Per tanti, più che una previsione, è un desiderio. Su molte questioni, non previste dal contratto di governo, ma sulle quali bisogna decidere cosa fare, i due contraenti hanno opinioni diverse al punto che la Lega di Salvini viene vista come un partito populista di destra e il M5S come un movimento ascrivibile ad un populismo di sinistra. E’ quella delle elezioni europee del maggio 2019 la data fatidica in cui questo contratto di governo dovrebbe andare a scadenza. Si attribuisce a Salvini il proposito di arrivare alla rottura, dopo elezioni europee, per capitalizzare, con nuove elezioni politiche nazionali, il consenso alla Lega che tutti i sondaggi danno in crescita strepitosa. Personalmente non credo a queste previsioni e congetture. Come Cacciari, anch’io penso che Salvini non abbia l’interesse a determinare una rottura con il M5S. Ma qualora questa vi verificasse, si determinerebbe una situazione rispetto alla quale come si posizionerebbe il Pd? Guarderebbe a destra verso Fi, Lega e Fratelli d’Italia (Fdi) oppure verso il M5S? Al momento dal Pd non viene data risposta ad una simile domanda. Tutti e tre candidati Minniti, che probabilmente all’ultimo momento si tirerà fuori, Martina e Zingaretti in corsa per la segreteria nazionale dicono che non faranno mai alleanza con il M5S. In un sistema politico tripolare, nessun partito può pensare che da solo possa governare il paese. Allora il Pd dovrà cercare un’intesa o con la sola Fi, intesa alla quale pensa Renzi con i suoi comitati civici, ma Pd e Fi insieme non hanno i numeri per governare. Renzi fa capire che lui, pur standoci con un piede fuori e l’altro dentro, del Pd non gli interessa proprie niente. Lui vuole fare in Italia quello che ha fatto Macron in Francia. E si vede con quali risultati! Oppure il Pd dovrà cercare un’intesa con un centrodestra Fi-Lega-Fdi. Nell’uno e nell’altro caso sarebbe un suicidio per il Pd, che già non è in buona salute.
Silvano Privitera