Nell’ennese un imprenditore con precedenti per truffa, evasione fiscale e usura è stato assolto dai social.
“Hai sentito? L’hanno detto pure al telegiornale!” “Io lo sapevo già” “Lo sapevamo tutti”.
Accade che nulla da noi sfugge all’occhio vigile della gente, ma ci sono cose che è meglio non vedere, sentire o capire. Tutti sanno tutto, ma quando esplode un bubbone meglio è mostrare scandalo, sorpresa, disagio.
“Sembriamo tutti bravi” “io non potevo immaginare mai, mai” e la conoscenza di tutto e tutti diventa oblio: “cosi ca a mia nun m’intaressinu” e se proprio devi dire la tua lo fai sottovoce perché anche i muri hanno orecchie e in certe cose è meglio non immischiarsi, tanto la Giustizia nulla può e passato questo momento tutto tornerà come prima perciò “a mia cu mu fa fari?”.
L’abitudine al malaffare da noi è una consuetudine al punto che non è più condannabile, socialmente. Furbi vengono detti i capaci di aggirare la Legge, ammirati e circondati da pletore di questuanti.
Abbiamo accettato tutti la normalizzazione del malaffare al punto che i savonarola da tastiera hanno preferito tacere perché “a megghia parola è chidda can un si dici”. In un mondo in cui se hai danaro sei moralmente assolto gli unici colpevoli sono i poveri, che non hanno alcun potere ricattatorio o seduttivo, ma per il ricco una giustificazione all’evasine delle regole comuni si trova sempre.
Il controllo sociale si sposta su panze e corna e il rispetto per l’onestà diventa cosa risibile perché per pretendere l’onestà bisogna essere onesti e non basta postarne l’autocertificazione su Facebook.
Gabriella Grasso
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