27 gennaio. Giorno del ricordo legato al genocidio degli ebrei attuato dal Nazismo. E, perché no, ricordo di tutti quei genocidi di cui la storia è piena. Conosciuti, sconosciuti, volutamente ignorati perché scomodi come quello perpetrato nei confronti degli Indiani d’America o degli Armeni. Ma torniamo a quel 27 gennaio, quando l’Armata Rossa sovietica liberò campo di sterminio di Auschwitz (27 gennaio 1945). Che il popolo tedesco e tutto il mondo ignorasse lo sterminio degli ebrei è una barzelletta storica, quantomeno in parte, perché chi aveva letto il Mein Kampf di Hitler sapeva bene che questi non nascondeva assolutamente il suo antisemitismo. Certo, abituati ai politici di oggi che non mantengono le promesse, qualcuno potrebbe dire che dall’antisemitismo allo sterminio attuato passa un “mare”. Vero. Ma un dato di fatto c’è ed era sotto l’occhio di tutti con le violenze e le segregazioni, la Notte dei Cristalli, anticamere dello sterminio! Ma evitiamo, perché non è rispettoso, il gioco di colpe. Il genocidio c’è stato. Punto. E ancora oggi il popolo ebraico non è qualcosa di “ben voluto” in certe parti del mondo e ancora qualche “diversamente intelligente” per giunta parlamentare osa citare quel falso pazzesco dei Protocolli dei Savi di Sion per parlare di cospirazione mondiale ebraica. Questo esempio deprecabile, da punire in maniera efficace e esemplare perché dato, come scandalo, da un rappresentante del popolo, pone ancora forte l’interrogativo che ogni anno ci viene da fare: sarà anche questa giornata condannata al relativismo? Il revisionismo e il negazionismo, sempre più imperanti, ne sono forti testimoni. Ma ancor più forte sta diventando la strumentalizzazione dei morti, quasi ridotti a testimonial di questo o quel partito, di questa o quell’ideologia. Come se il 27 fosse una giornata tutta di morti causati dalle destre e le foibe morti causati dalle sinistre. E solo per fare un esempio sotto gli occhi di tutti. Bisogna tenere a mente che tutte queste persone citate sono vittime in egual misura. E li uccidiamo due volte moralmente anche noi quando dinnanzi ad ipocrite manifestazioni e ad ancor più ipocrite statue, utilizziamo la sofferenza altrui come bandiera. Senza capire che le imponenti statue con scritti tutti quei nomi non servono a nulla. Anche quei nomi sono, purtroppo, anonimi. Senza una lacrima vera. Ma solo una burocratica manifestazione da svolgere ogni anno, un contenitore vuoto, una memoria dimenticata perché le pagine di storia sono ormai fredde o chiuse. Se solo capissimo che ogni nome in quella statua, monumento, targa rappresenta una persona umana, con partenti, amici e una storia alle spalle. Se solo capissimo che quella persona è stata pianta come noi piangiamo per la morte di un parente, di un amico, di un conoscente. Allora capiremmo che ogni morto di questi genocidi aveva parenti, amici e conoscenti. E che quindi la sua morte ha sconvolto altre persone. Questo primo livello potrebbe essere un buon inizio, ma è giusto che ci spingiamo più in alto: pensiamo che questa morte non è avvenuta in maniera naturale ma perché un altro nostro simile, che non conosceva queste persone, ha deciso solo per partito preso. Al dolore si unirebbe rabbia. Sconforto. Paura, perché scopriremo che domani un altro uomo, pur non conoscendoci, potrebbe decretare la nostra morte per partito preso. E allora lo sconforto e la paura ci portano davanti ad una strada e pensare: -Mai più-. Perché domani non sappiamo in quale versante, tra le vittime o i carnefici, potremmo trovarci. Nel dubbio (non parliamo di umanitarismo e di alti precetti morali… purtroppo questi concetti sono facile a raffreddarsi) meglio evitare che si crei questa distinzione. Il vero ricordo, quindi, non sta nel “dovere” di una corona o di una strombettata di silenzio. Che cosa se ne fanno i morti di tutto ciò? Il vero ricordo è provare a cercare di comprendere appieno la sofferenza sia di chi è morto, sia di chi ha sofferto e sia di chi gli è stato accanto. O quantomeno, dato che questa società ormai non vive più di emozioni, comprendere che i carnefici sono prima o poi diventati vittime. È un dato di fatto scolpito nei libri di storia. E se davvero leggessimo quei libri capiremmo che, pur cambiando date e nomi, la storia si ripete sempre.
Alain Calò
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