Cari Pastori,
questa volta la lettera è tutta per Voi. Innanzitutto mi sento di esprimervi solidarietà. È giusto protestare contro questa politica di pagarvi il latte una miseria. Sembra superfluo, semplicistico e quasi ingenuo, ma colpisce quello slogan populista che mette in parallelo l’acquisto di un litro di latte da voi e il costo massimo del televoto Sanremese. Forse Sanremo fa sempre gola alla pubblica visibilità. Ma questo ci fa riflettere non tanto sulla discrepanza tra i due beni e quindi i due valori, ma sul nichilismo che ci pone a mettere in parallelo un bene primario quale il latte, fondamento della nostra nutrizione sin da quando nasciamo, e un vile televoto, un bene del tutto inutile, quasi sprecato (per non dire totalmente) per andare ad ingrossare le pance dei pochi soliti noti. Quei soliti che sfruttano le divisioni dei poveri, i sospetti, le incomprensioni e le lotte. Perché, parliamoci chiaro, il comparto della produzione del latte, come quello agroalimentare nella fase della produzione, essendo molto frammentato, non “pesa” molto e quindi chi sta in alto, sfruttando questa situazione, comanda con le conseguenze che vediamo oggi, un risveglio di un assopimento che è stato sotto gli occhi di tutti. Piano piano sto arrivando al punto della situazione per cui ho preso carta e penna e vi ho scritto. Abbiamo parlato di una situazione frammentaria che “scopre il fianco” e che quindi permette i soprusi da parte delle “alte sfere” che comandano il mercato. Ma estendiamo il concetto e vediamo come anche questa frammentarietà tra poveri (e qui definisco poveri tutti noi lontani dalle stanza che contano) permette il nostro docile addomesticamento e quindi anche il ridurci facilmente in “schiavitù” (non ovviamente quella per come siamo abituati ad intenderla, ma qualcosa di più morale che non basterebbe un libro per delinearla). E questa divisione si vede lampante nel vostro modus operandi nella vostra protesta. Voi, infatti, state gettando il latte. Lo state sprecando con il chiaro intento a dire che meglio buttarlo piuttosto che venderlo a quella cifra insulsa che non permette di vivere. Questa è l’unica cosa che vi critico. Perché voi lamentate di non “poter vivere” a causa di chi vi ha ridotto all’osso. Allora perché non vi comportate diversamente da chi voi osteggiate e non permettete di vivere ad altri poveri simili a voi? Quanta gente c’è che si sogna anche quei 61 centesimi per comprare del latte? Quanta gente muore di fame? Perché, allora, non dare l’esempio: al posto di buttare quel latte darlo ai più poveri. Agli ultimi. Ai bisognosi. Lancerete forse due bei messaggi. Il primo che vi farà vedere diversi dai ciechi opportunisti che hanno dato un prezzo anche alla vita umana. Il secondo che gli ultimi, o meglio quelli intesi ultimi dalla società, in realtà sono i primi. Sono quella massa umile e speranzosa di un futuro migliore. Sono quella gente rimasta ancora umana. Sono quella gente, siamo tutti noi, che divisi non possiamo nulla se non fornire una passerella politica a questo o quello sciacallo. Uniti possiamo molto. Anche sperare in un futuro migliore. Sognarlo… per crearlo.
Alain Calò
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