Fotovoltaico. Grosso regalo di Pasqua per l’Amministrazione Dipietro, ribaltato verdetto, condannata la Società

Enna. Ribaltato il verdetto, condannata la Società agricola Cascio Mario e C. al pagamento delle spese del doppio grado in favore del Comune di Enna.
Grosso regalo di Pasqua per l’Amministrazione Dipietro
Un respiro di sollievo per i cittadini, il Comune rischiava il default!
Il Comune – difeso dagli avvocati Salvatore e Luigi Raimondi ed Ornella Sarcuto – era stato condannato in primo grado a pagare un risarcimento da 10,5 milioni all’azienda agricola Cascio Mario&C per la mancata autorizzazione alla realizzazione di un impianto di energia fotovoltaica su serra. L’autorizzazione era stata chiesta nel 2010 e fu subito negata una prima volta. Poi fu chiesta una seconda volta nel 2012, grazie a una pronunzia del Tar, e concessa nel 2013 da un commissario ad acta nominato dal Tribunale amministrativo. Ma nel frattempo la ditta aveva perso gli incentivi per l’impianto. Da qui la perdita di interesse e la richiesta di un maxi risarcimento del danno (10,5 milioni) che il Tar di Catania aveva concesso. Il Cga ha inoltre segnalato al consiglio dell’Ordine degli avvocati il legale dell’azienda, Salvatore Virzì, perché era stato componente della sezione consultiva del Cga e ciononostante ha accettato l’incarico.

 

Il testo integrale della sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 760 del 2017, proposto dal Comune di Enna, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Salvatore Raimondi e Luigi Raimondi, con domicilio eletto presso il loro studio in Palermo, via G. Abela, 10;

contro

Soc. Agr. Cascio Mario & C., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Rita Barbera, con domicilio eletto presso il suo studio in Giustizia, Pec Registri;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SICILIA – sezione staccata di CATANIA, sezione I, 8 giugno 2017 n. 1333, resa tra le parti, concernente il risarcimento del danno da ritardo nel rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione di un impianto fotovoltaico su serra.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Soc. Agr. Cascio Mario & C.;

Vista l’ordinanza n. 20/2018 con cui è stata sospesa l’esecutività della sentenza e disposta verificazione;

Vista la relazione di verificazione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 marzo 2019 il Cons. Hadrian Simonetti, uditi per le parti gli Avvocati Salvatore Raimondi, Luigi Raimondi e Salvatore Virzì su delega di Rita Barbera;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. La società agricola “Cascio Mario & C. in data 11.5.2010 chiese il rilascio dell’autorizzazione alla installazione di un impianto di energia fotovoltaica per serre di coltivazione; l’autorizzazione le fu negata con un primo atto dell’11.10.2010.

Proposto ricorso avverso tale diniego, a seguito dell’ordinanza cautelare del Tar, fu riaperto il procedimento adottando all’esito un nuovo diniego, con provvedimento del 6.3.2012.

  1. Con sentenza n. 861 del 2013 il Tar annullò il secondo diniego, fissando un termine all’Amministrazione per il rilascio dell’autorizzazione e nominando da subito un Commissario ad actache, con delibera 3.6.2013, rilasciò l’autorizzazione.
  2. Con successivo ricorso la ditta Cascio ha chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni derivati dal tardivo rilascio dell’autorizzazione, assumendo che a causa del ritardo accumulato la realizzazione dell’impianto fosse divenuta antieconomica, essendo stata eliminata la tariffa incentivante precedentemente in vigore.
  3. Il Tar, disposta istruttoria mediante CTU, con sentenza n. 1333/2017 ha accolto la domanda condannando il Comune al pagamento di euro 10.526.205,61 per danno da mancato utile.
  4. Il Comune di Enna ha proposto appello avverso la sentenza, censurandone l’erroneità sotto vari profili.

In punto di fatto ha sottolineato come il progetto assentito nel 2013 fosse radicalmente diverso da quello originario, di cui all’istanza dell’11.5.2010, come dimostrerebbe anche la riduzione del numero delle serre (da 11 a 9), e tutto questo impedirebbe di assumere tale data quale dies a quo per misurare il ritardo procedimentale imputabile all’amministrazione; nel senso che solamente in epoca successiva, per l’esattezza il 21.10.2011, la ditta avrebbe prodotto tutta la documentazione necessaria e che in origine era invece mancante.

Di conseguenza, da tale ultima data sarebbe decorso il termine di 150 giorni prescritto per legge per la conclusione del procedimento, e quindi dal 19.3.2012 occorrerebbe calcolare i giorni necessari alla costruzione dell’impianto, come anche il tempo necessario per ottenere la connessione dall’Enel che, stando alla nota di tale Ente dell’11.5.2010, sarebbe stato pari addirittura a 670 giorni lavorativi.

Sicché, anche qualora il rilascio dell’autorizzazione a fronte del nuovo progetto fosse stato tempestivo, l’impianto non sarebbe entrato in funzione prima del 12.11.2014, quando oramai gli incentivi erano già venuti meno da oltre un anno (il 6.7.2013).

  1. Si è costituita l’originaria ricorrente, inizialmente assistita e difesa dall’avv. Virzì, replicando diffusamente con articolata memoria difensiva, in primo luogo, in ordine alla decorrenza del ritardo procedimentale imputabile all’Amministrazione, all’uopo qualificando la nota di riapertura del 24.5.2011 nei termini di un implicito provvedimento di autotutela e ribadendo come il (primo) progetto a suo tempo proposto andasse accolto entro la data del 24.8.2010.
  2. Rinviato al merito l’esame della domanda cautelare, all’udienza pubblica dell’11.1.2018 è stata disposta con ordinanza 20/2018 istruttoria mediante verificazione demandata al MISE, Direzione per il mercato elettrico e le rinnovabili, per accertare se in caso di tempestivo rilascio dell’autorizzazione la società sarebbe riuscita ad accedere al beneficio in scadenza il 6.7.2013, nelle more sospendendo l’esecuzione della sentenza. Acquisita la relazione del verificatore, scambiate tra le parti memorie illustrative, disposto un primo rinvio in ragione dell’impedimento dell’avv. Rita Barbera, subentrata all’avv. Virzì, all’udienza pubblica del 20.3.2019 la causa è passata in decisione.
  3. Il Collegio deve premettere, per una migliore intelligenza dei fatti di causa, talune considerazioni.

La prima è che in questa sede si controverte, non già sull’autorizzazione, che è stata rilasciata in data 3.6.2013, in esecuzione della sentenza 861/2013 confermata in appello dalla sentenza del CGA 162/2014, quanto sul danno da ritardato rilascio della medesima e che la prima questione da affrontare – prima ancora di procedere alla quantificazione del danno – concerne l’accertamento e la prova del nesso di causalità tra il fatto omissivo, rappresentato dal ritardo procedimentale del Comune, e l’evento di danno.

Sul punto vale precisare come, quanto all’evento dannoso, il bene della vita invocato dall’originaria parte ricorrente – e che il Comune, con il suo ritardo, avrebbe pregiudicato – sia dato non tanto (o meglio non solo) dall’autorizzazione all’installazione dell’impianto di energia fotovoltaica in sé e per sé ma, piuttosto (o più esattamente), dall’accesso alla tariffa incentivante legata al V conto energia.

Infatti, nella prospettazione della società Cascio, il rilascio dell’autorizzazione e la questione dei tempi per ottenerla erano del tutto funzionali alla volontà di accedere alla tariffa incentivante senza della quale, sempre secondo l’assunto di parte, l’autorizzazione non sarebbe più stata utile ed, infatti, non consta che, venuta meno la tariffa incentivante, sia stata in concreto utilizzata.

Su questo presupposto, questo CGA ha ritenuto di integrare e di estendere l’istruttoria – che, nel giudizio di primo grado, era stata limitata alla sola quantificazione del danno-conseguenza, assumendo provato per tabulas ogni altro elemento dell’illecito – all’accertamento del nesso di causalità. In tal senso, al cospetto delle puntuali e argomentate allegazioni della difesa del Comune racchiuse nell’atto di appello (sui tempi medi di realizzazione di questo tipo di impianti, sulle difficoltà della società Cascio), si è reputato necessario disporre una verificazione con il compito di verificare, appunto, se, trattandosi di causalità omissiva, qualora il procedimento amministrativo fosse stato invece tempestivo (comportamento alternativo), l’originaria ricorrente avrebbe avuto una seria e qualificata possibilità di accedere al V conto energia, e quindi non avrebbe perduto la relativa tariffa incentivante (evento di danno).

L’indagine istruttoria ha demandato al verificatore, individuato nella competente Direzione del Ministero per lo sviluppo economico, il compito di stabilire di quanto tempo la società Cascio avrebbe avuto bisogno, ove avesse avuto tempestivamente l’autorizzazione dal Comune, per avviare il proprio investimento e quindi se sarebbe riuscita ad accedere alla tariffa incentivante; in ciò seguendo anche il precedente (più prossimo) in materia costituito dalla sentenza del Consiglio di stato n. 1376/2016 (v. in specie il punto 2.4. della parte motiva).

  1. Per compiere un simile accertamento si ha bisogno di individuare il momento in cui, nella vicenda che stiamo esaminando, è maturato il ritardo procedimentale, ovvero è scaduto il termine di conclusione del procedimento autorizzatorio, sul rilievo che è solo da tale momento che può calcolarsi il tempo occorrente per l’avvio dell’opera.

Ebbene su questo punto le posizioni delle parti divergono nettamente.

La difesa della società Cascio assume che debba fare testo la data di presentazione dell’originaria istanza di autorizzazione, l’11.5.2010, e che da tale momento vada calcolato il termine procedimentale (che indica in 105 giorni, laddove però il termine di cui alla l.r. 10/1991 è pari a 150 giorni).

La difesa del Comune sostiene invece che questo termine decorresse dalla data del 21.10.2011, allorché venne presentato un secondo progetto, in variazione di quello originario, recante un’estensione di superficie e un numero di serre minori.

Il Giudice di primo grado ha sposato la tesi del privato sull’assunto – cfr. p. 4 – che “l’Amministrazione non avrebbe potuto fin dall’origine denegare il titolo autorizzatorio alla società Cascio, sussistendo i presupposti per il rilascio, come rilevato da questo Tribunale nella sentenza n. 861/2013”.

Su questo si impone un chiarimento.

Come ricordato nella ricostruzione dei fatti, la società Cascio fu destinataria di un primo diniego in data 18.10.2010 che impugnò con ricorso al Tar iscritto al nr. 3553/2010, ottenendone la sospensione in sede cautelare con ordinanza n. 473 del 6.4.2011.

Tale ordinanza fu motivata, quanto al fumus, in ragione “della carenza di motivazione” e ad essa fece seguito la sentenza n. 2229/2012 con la quale si dichiarava nel merito l’improcedibilità del ricorso alla luce del fatto che, (proprio) in esecuzione dell’ordinanza cautelare 473/2011, fosse stata convocata una nuova conferenza di servizi e preso atto di quanto dichiarato da parte ricorrente, nel senso “di non avere più interesse alla decisione del ricorso, poiché la pretesa sostanziale al rilascio del titolo abilitativo si è spostata sugli ulteriori provvedimenti adottati dall’ente resistente, impugnato con separato ricorso, insistendo, tuttavia, per la condanna alle spese”.

Tutto questo per evidenziare come il Tar, in quel momento, non si fosse pronunciato funditus sull’illegittimità del primo diniego – la sospensiva costituisce come noto una delibazione sommaria e provvisoria, allo stato degli atti, e quella allora adottata faceva leva su un vizio della motivazione più che su elementi (ed errori) di fatto – e comunque nulla avesse detto quanto alla spettanza della pretesa autorizzatoria in capo alla società Cascio, come è confermato anche dalla statuizione relativa alle spese processuali, che era stata nel senso della compensazione tra le parti, senza quindi applicare il criterio della soccombenza virtuale ma anzi evidenziando il “complessivo esito processuale”.

Si può solo aggiungere come, ove la società Cascio avesse voluto conseguire un accertamento in ordine alla spettanza della propria pretesa, anche solo ai fini del risarcimento del danno (cfr. art. 34, co. 3, c.p.a.), sarebbe stato suo onere richiederlo e, semmai, impugnare la sentenza che tale accertamento avesse escluso o anche soltanto omesso.

Non vi è quindi, nella vicenda in esame, un giudicato che abbia accertato mai la spettanza della pretesa, ossia che l’autorizzazione fosse da rilasciare, in relazione alla domanda e al progetto presentati l’11.5.2010.

Né vale richiamare la successiva sentenza 861/2013, valorizzata dal Tar nel 2017, dal momento che la n. 861 reca anch’essa una pronuncia di improcedibilità, quanto all’impugnato silenzio (ove fosse mai da riferire alla originaria istanza dell’11.5.2010, peraltro alla data di questo ricorso già integrata e modificata in maniera significativa), mentre la statuizione di annullamento va riferita al solo provvedimento sopravvenuto, di diniego, del 6.3.2012. Ed è solo in riferimento a tale atto che nella motivazione della sentenza è scritto che “il Collegio ritiene che in capo al Comune non residui alcun margine di discrezionalità amministrativa e/o tecnica, né possibile ulteriore attività istruttoria, con la conseguenza che l’esecuzione della presente sentenza non può che concretizzarsi nel rilasciare la richiesta autorizzazione per la realizzazione delle serre fotovoltaiche, entro il termine, ritenuto congruo, di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza”, a tal fine nominando anche quale commissario ad acta l’arch. Sebastiano Alesci.

Per concludere su questo punto, l’assunto secondo cui l’Amministrazione comunale non avrebbe potuto che accogliere l’originaria istanza dell’11.5.2010 non solo non è coperto da nessun giudicato, ma è contraddetto dalla dinamica dei fatti, in particolare dalla complessiva condotta posta in essere dalla società Cascio, sia sul piano procedimentale (integrando e modificando il proprio progetto originario, accettando che su di esso di procedesse ad una nuova valutazione) che sul piano processuale (dove per quanto detto, ha espressamente rinunciato a qualunque accertamento sulla fondatezza ovvero sulla legittimità del primo diniego).

Di contro, il dies a quo per misurare il ritardo imputabile al Comune va individuato in epoca successiva, al 21.10.2011, quale data di presentazione da parte del privato di un progetto aggiornato che, nel ridurre sensibilmente l’estensione e la dimensione dell’intervento, finiva per rendere non più necessari i nulla-osta della Soprintendenza e dell’Ispettorato delle foreste.

Di conseguenza il termine di conclusione del procedimento, pari a 150 giorni, è da intendersi scaduto il 19.3.2012 ed è da tale momento che va calcolato il tempo occorrente alla società per realizzare e mettere a frutto l’impianto.

  1. Ciò posto, si passa ora ad esaminare il risultato della verificazione del 27.6.2018, redatta dalla Direzione generale per il mercato elettrico, le rinnovabili e l’efficienza energetica del MISE, cui questo CGA si è rivolto anche sulla scorta del precedente, già ricordato, di cui alla sentenza CDS, IV sez., 1376/2016 (dove in primo grado l’istruttoria era stata condotta ricorrendo al MISE).

Il verificatore, la dott.ssa Fusco, premesso che il V conto energia di cui al D.M. 5.7.2012 ha costituito l’ultimo dei vari provvedimenti di incentivazione tariffaria dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici, ha illustrato quali fossero i requisiti necessari per accedervi, indicandone in particolare tre, ossia:

1) il possesso dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio dell’impianto;

2) determinate caratteristiche tecnico-costruttive dell’impianto medesimo;

3) la necessità che l’impianto entrasse in esercizio entro un anno dalla data di pubblicazione della graduatoria dei relativi bandi pubblicati in attuazione del citato D.M. (le graduatorie furono pubblicate dal GSE il 28.9.2012 e il 23.5.2013) .

Alla luce di tali requisiti, nel rispondere ai quesiti posti nell’ordinanza 20/2018, il verificatore ha accertato che:

  1. a) data la complessità delle opere da realizzare, il tempo medio necessario per la loro autorizzazione (intendendosi non solo il titolo edilizio ma anche, se non soprattutto -nel caso in esame – l’autorizzazione per le opere di rete, che chiamano in causa altresì le competenze di Enel e Terna) sarebbe stato pari a (non meno di) 18 mesi;
  2. b) l’impianto non avrebbe rispettato le condizioni tecnico-costruttive per l’accesso al beneficio, con riferimento alle caratteristiche di permeabilità solare richiesta alla serra (v. p. 16 della relazione);
  3. c) sempre la complessità delle opere da realizzare non avrebbe permesso l’entrata in esercizio dell’impianto entro un anno dalla pubblicazione della graduatoria, considerato che i tempi di realizzazione della soluzione tecnica sulla rete di distribuzione di ED (E-Distribuzione), stimati in 350 giorni lavorativi, mentre quelli indicati da Terna in circa 16 mesi.

A fronte di questa relazione, sorretta da motivazioni analitiche e nella quale è dato conto del contraddittorio intercorso con le parti, in particolare con la parte resistente le cui osservazioni sono state acquisite, esaminate e confutate, la società Cascio, attraverso il nuovo difensore costituitosi il 22.12.2018 avv. Rita Barbera (del precedente difensore si dirà in seguito), ha depositato il 26.12.2018 la relazione del proprio consulente di parte l’ing. Carmelo Viavattene, contestando le conclusioni del verificatore e con memoria del 5.1.2019 chiedendone la rinnovazione ovvero la sostituzione con “altro CTU”.

Le allegazioni e la consulenza di parte sono incentrate sull’assunto che fosse necessario essenzialmente il titolo edilizio e che dal suo rilascio (al massimo entro il 19.3.2012, si legge a p. 13 della relazione del CTP, affermazione che la difesa parrebbe aver fatto propria attraverso il richiamo per relationem ad essa nella nota di deposito del 26.12.2018) sarebbero bastati sette mesi per ultimare i lavori, che sarebbero quindi potuti finire entro il 20.10.2012; e che gli altri atti o permessi da acquisire (ad esempio l’autorizzazione di cui al r.d. 1775/1933 e la connessione alla rete non avrebbero ritardato l’avvio dell’impianto che sarebbe stato pronto per l’esercizio al più tardi alla fine di novembre del 2012).

Questa ricostruzione – che, comunque, già sposta in avanti la data di conclusione dell’opera, avvicinandola alla scadenza del beneficio, rispetto ai tempi indicati nella sentenza qui appellata, dove è indicato il 10.6.2011 – è già motivatamente confutata dal verificatore nella sua relazione. In particolare è confutato l’assunto che il privato non avesse bisogno del potenziamento della rete di trasmissione e di distribuzione ad opera di Enel e di Terna, interventi che avrebbero richiesto un tempo di esecuzione nell’ordine di 12 e 18 mesi.

Reputa il Collegio che, in punto di rito l’eccezione di nullità nei confronti della verificazione per violazione del contraddittorio sia infondata, non applicandosi alla verificazione le modalità del contraddittorio orale proprie della CTU (come si ricava da un confronto tra gli artt. 66 e 67 c.p.a.), e fermo restando che il verificatore ha esaminato e vagliato per iscritto, nella sua relazione conclusiva, le osservazioni dei consulenti di parte, assicurando dunque il contraddittorio. Quanto al merito delle questioni, la tesi che potesse bastare un tempo sensibilmente minore non trova credibili spiegazioni nel ragionamento della società Cascio, mentre in senso contrario il verificatore valorizza, oltre al dato di comune esperienza e di regolarità, l’elemento più specifico costituito dal preventivo dell’Enel n. T0030932 dell’11.5.2010 (doc. 4 degli allegati all’appello, già acquisito al fascicolo di primo grado) che, per quanto rivolto ad un diverso soggetto sociale (avente comunque sede ad Enna e che parte appellante sostiene riferito al medesimo terreno di proprietà della società appellata, che tale affermazione non ha contestato e che trova anzi conferma nella nota di E-distribuzione del 1.6.2018 acquisita nel corso della verificazione), è da questo Collegio giudicato pertinente e probante in ordine al fatto che la rete di distribuzione fosse satura e che quindi fossero necessari lavori complessi per eseguire la connessione, nell’ordine di 670 giorni lavorativi.

Quanto al secondo preventivo dell’Enel n. T0304200, trasmesso alla società il 25.1.2012 e da questa lasciato scadere al pari del primo, i tempi tecnici in esso stimati sono non meno significativi, nell’ordine di 18 mesi (come risultante sempre dalla nota di E-distribuzione del 1.6.2018) e quindi come tali (quand’anche il preventivo non fosse stato lasciato cadere, quand’anche le altre autorizzazioni fossero state acquisite nei tempi) non compatibili con la data di scadenza del V conto energia corrispondente al 6.7.2013.

Tutto questo prova a sufficienza, secondo il noto criterio del “più probabile che non” che governa la responsabilità civile (quindi secondo un giudizio di probabilità ex ante, sulla scorta della giurisprudenza della Suprema Corte, compendiata da ultimo da Cass. civ., III, n. 23197/2018 cui si fa rinvio), come, anche qualora il procedimento amministrativo fosse stato sollecito e tempestivo, la società Cascio comunque non sarebbe riuscita, ovvero non avrebbe fatto in tempo, nelle condizioni date, ad accedere al V conto energia.

Si deve aggiungere, perché è stato oggetto di indagine istruttoria al pari del resto, come, volendo, la società Cascio avrebbe potuto usufruire di meccanismi tariffari, se non incentivanti in senso proprio almeno semplificati, come il “Ritiro Dedicato (RID)”, il che le avrebbe potuto permettere, in altro modo, di realizzare l’impianto.

Tale alternativa – che il CTP non ha escluso a livello di ipotesi – non è stata percorsa in alcun modo dalla società Cascio ed è un dato che rivela una strategia all’insegna dell’adozione di un’unica via, in teoria preordinata a beneficiare della tariffa incentivante e in pratica a chiederne la corresponsione per equivalente da parte del Comune in forma di risarcimento del danno.

  1. Se ne deve concludere, anche alla luce della regola di giudizio di cui all’art. 30, co. 3, c.p.a., l’infondatezza della originaria domanda risarcitoria, sotto il profilo assorbente della mancata dimostrazione del nesso di causalità, immediato e diretto (artt. 2056 e 1223 c.c.), tra il comportamento omissivo del Comune e il danno-evento del mancato accesso alla tariffa incentivante.
  2. Resta da affrontare, d’ufficio, un tema che non riguarda l’esito del giudizio, e sul quale quindi non vi è ragione di sollecitare il contraddittorio, neppure ai sensi dell’art. 73, co. 3, c.p.a.

Il tema riguarda lo ius postulandi dell’originario difensore della società Cascio in questo giudizio di appello, l’avv. Salvatore Virzì, nei cui confronti è da ritenere che potesse valere la preclusione ovvero l’impedimento posti dall’art. 2, co. 3, della l. 247/2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) che vieta a chi ha svolto le funzioni di magistrato (anche) amministrativo di esercitare, nei successivi due anni (dalla cessazione di detto ufficio), la propria professione (di avvocato) “nei circondari nei quali ha svolto le proprie funzioni negli ultimi quattro anni anteriori alla cessazione”.

Alla luce di tale dato normativo, ed essendo noto al Collegio come l’avv. Virzì abbia svolto le funzioni di componente della sezione consultiva di questo Consiglio di giustizia amministrativa per un intero sessennio dal marzo 2011 al marzo 2017, lo stesso avv. Virzì si deve ritenere che non potesse esercitare (o che, per quanto si dirà, quanto meno fosse più che dubbio che potesse farlo), sino al marzo del 2019, la professione nel circondario di Palermo e quindi dinanzi a questo Consiglio.

Si deve quindi ritenere che non potesse difendere (o che, per quanto si dirà, fosse più che dubbio che potesse farlo) nel presente grado di appello la società Cascio.

Tale impedimento, che la difesa di parte appellante non ha eccepito o comunque rilevato, non è destinato a produrre effetti su questo giudizio o a pregiudicare la posizione processuale della parte qui appellata, sul rilievo che, come si è ricordato in precedenza, a dicembre del 2018 l’avv. Virzì ha rinunciato al suo mandato (la sua presenza all’udienza del 20.3.2019 è stata in dichiarata delega, quando oramai era decorso il termine dei due anni di cui al citato art. 2, co. 3) ed è subentrata nella difesa della società l’avv. Rita Barbera (che già aveva difeso la parte nei precedenti giudizi) che con memoria del 24.12.2018 ha espressamente recepito e trascritto integralmente le difese, le eccezioni e le richieste formulate nell’originario atto di costituzione in giudizio della parte appellata, in questo senso rinnovandolo integralmente e sanandone ogni ipotetica nullità processuale (tanto più che l’atto originario di costituzione nel giudizio di appello non recava domande od eccezioni per le quali si potesse incorrere in preclusioni o decadenze).

Tanto evidenziato, il Collegio reputa necessario trasmettere gli atti al Consiglio dell’Ordine degli avvocati al quale è iscritto l’avv. Virzì per quanto di eventuale competenza, ivi inclusa la valutazione in ordine alla interpretazione da dare alla norma sopra (art. 2, co. 3, della l. 247/2012), in particolare alla sua applicabilità anche alla figura del componente della sezione consultiva (e non giurisdizionale) del CGA deputato alla trattazione di affari consultivi e di ricorsi straordinari (i primi di più definita natura amministrativa; i secondi sempre più assimilati ai ricorsi giurisdizionali), in tal senso potendosi ravvisare in ipotesi un errore scusabile e comunque utile un opportuno chiarimento, anche per il futuro.

  1. Quanto alle spese del giudizio, seguono la regola della soccombenza e sono liquidate con il dispositivo, avuto riguardo all’entità ragguardevole del petitum, ponendo a carico della società Cascio sia le spese della CTU di primo grado che quelle della verificazione disposta in appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge integralmente l’originaria domanda risarcitoria proposta con il ricorso di primo grado.

Condanna la società agricola Cascio Mario e C. al pagamento delle spese del doppio grado in favore del Comune di Enna, liquidate in euro 14.000,00, oltre IVA e CPA come per legge.

Pone a carico della società Cascio Mario e C. le spese della CTU per come già liquidate in primo grado e quelle della verificazione che qui si liquidano in euro 4.000,00.

Dispone, a cura della segreteria, la trasmissione della presente sentenza all’Ordine degli avvocati al quale è iscritto l’avvocato Salvatore Virzì.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Hadrian Simonetti, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Giuseppe Verde, Consigliere

Maria Immordino, Consigliere

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