La bellezza sociale negata e ferita

Contrariamente a quanto si potrebbe – sia pur non senza fondamento – pensare, la nostra epoca offre ai suoi abitanti le più alte possibilità di ottenere risposte (positive, appaganti, rassicuranti) rispetto ai grandi problemi esistenziali dell’animo, e del corpo, umano di ogni tempo.
E le offre al maggior numero di esseri umani – tendenzialmente a tutti – che sia stato mai possibile, ragionevolmente, immaginare come “beneficiari” di ciò.
Questo vale rispetto alle richieste di tipo economico-sociale (benessere, sicurezza, lavoro); alle richieste di tipo scientifico, tecnico, causale; alle richieste di tipo affettivo-sentimentali-sociali; financo alle “domande” che, più che tali, sono aneliti insopprimibili e, probabilmente, inappagabili, non acquietabili, dell’ essere umano in quanto tale. E quindi, in ultima analisi, rispetto alle domande di senso, di equilibrio, di pace interiore, di gioia.
Come è possibile tutto ciò? Tra i tanti fattori causali benefici che possiamo individuare, sembrano avere una enorme importanza i seguenti. (Che tali appaiono sul duplice binario quantitativo, della accumulazione, e qualitativo, della distribuzione):
– la produzione di beni e servizi materiali;
– la produzione di beni e servizi immateriali;
– la produzione di “beni e servizi” affettivo-esistenziali.
La prima sarebbe più che sufficiente, se più equamente distribuita e sobriamente utilizzata, a soddisfare tutti i bisogni primari dell’ intera popolazione mondiale (e anche molti tra quelli secondari).
La seconda ha raggiunto un tanto alto livello di estensione quantitativa e specializzazione qualitativa, da far pensare che esista – più che la necessità di aumentarne il volume – l’opportunità data dall’“imbarazzo della scelta”.
La terza, pur nella sua impalpabile, eterea esistenza, appare oggi molto più indagata, diffusa addolcita, redenta, discolpevolizzata, resa fruibile a tutti, di quanto non fosse appena qualche anno addietro.
Volendo sintetizzare quanto fin qui scritto, potremmo identificare come “bellezza sociale” la somma e la combinazione di tutte queste possibilità di risposte. E volendo tenerci anche con i piedi per terra, dobbiamo constatare come e quanto essa sia negata, parzialmente o del tutto, alla maggioranza degli esseri umani. Queste negazioni vengono, come ben sappiamo, dagli innumerevoli vulnus inferti al corpo e all’animo umano, dai nostri tempi, cupi e terribili. Sarebbe inutile elencarli. Ma quel che li riassume e accomuna tutti, mi sembra essere, pur nella sua genericità esplicativa, la violenza.
In particolare, la violenza sulle persone, sui deboli, sugli ultimi, sugli indifesi. La violenza fisica. Giacché quella psicologica, in larga misura rispetto alla sua estensione di fatto, appare come una componente non eliminabile della vita interpersonale e sociale. Spesso anche involontaria o inconsapevole.
E’ per questo che i “reati contro le persone”, pur adeguatamente trattati nel nostro codice penale, e in quelli dei paesi democratici, dovrebbero essere prevenuti, repressi e puniti con una molto maggiore severità e certezza. Dovrebbero essere inoltre più nettamente anteposti, come gravità, a quelli “contro la pubblica amministrazione” (corruzione e simili…) o ad alcuni tra quelli contro il patrimonio (furto e simili…). Non soltanto per ciò che riguarda la durata delle pene previste dalla legge, ma anche per il rilievo e la risonanza data loro dalla comunicazione sociale (mass-media, piattaforme politico elettorali dei partiti, controllo sociale informale…).
E ciò perché essi costituiscono l’ orrore dei nostri tempi. Perché costituiscono l’ offesa più abbietta alla vita umana. Perché costituiscono, più semplicemente, la principale fonte di negazione alla possibile fruizione della bellezza della vita. Di tutti, di ciascuno.

Giovanni Rotolo

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