“Epurandosi, un partito si rafforza”, scriveva Lassalle a Marx nel 1852. Lenin citò questo passo della lettera di Lassale in epigrafe al suo opuscolo “Che fare?” in cui spiega la sua concezione di partito. C’è da chiedersi se questo suggerimento valga per il Pd, che come ha lucidamente spiegato Antonio Floridia è un partito sbagliato nel libro dal titolo, per l’appunto, “Un partito sbagliato”. Sbagliato perché malconcepito, malfunzionante, senza una propria specifica identità politica e culturale, senza un patrimonio comune di idee e di principi. Che l’analisi di Floridia contenga molto elementi di verità, lo prova la singolare situazione venutasi a creare con la crisi del governo Lega-M5S in cui si ritrova il Pd, partito di opposizione a quel governo. Normalmente le crisi di un governo avvantaggiano i partiti di opposizione. Al Pd sta capitando il contrario. Il segretario è Zingaretti, ma i suoi margini di manovra sono pesantemente limitati dal protagonismo di Renzi che controlla i gruppi parlamentari. Se non risolve quest’aporìa, il Pd ha una credibilità pressoché nulla. Che fare? Un’epurazione, cacciando Renzi, non è praticabile per l’intrinseca debolezza di questo partito. Renzi questo lo sa e nel Pd ci sta con un piede dentro e l’altro fuori. Solo per i sondaggi, che gli danno meno del 5%, Renzi non esce dal Pd per costruirsi un partito di centro alla Macron, tutto suo, con spezzoni di FI in fuga. Gli conviene, per il momento, restare dentro il Pd che, così com’è sfibrato, non ha la forza di risolvere l’ambiguità di Renzi epurandosi. Ma anche la credibilità di Renzi non è che sia alta. All’indomani della clamorosa sconfitta del Pd alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, era molta problematica un’alleanza di governo con il M5S, che di quelle elezioni fu il vero vincitore. Ma fu da Renzi bloccato persino quel timido e ragionevole tentativo di Martina, che del Pd era il segretario, di un incontro del Pd con il M5S. “Per vedere le carte”, si disse allora. Ed era chiaro, un anno fa, che così facendo di fatto si spingeva il M5S nelle braccia della Lega di Salvini, che è un vero partito di destra e tale si comporta apertamente negli atti di governo e nei rapporti con il paese. Un anno dopo, per allontanare lo spettro delle elezioni anticipate, Renzi compie una svolta di 180 gradi, e apre al M5S per un governo istituzionale. Qual è stata la molla che l’ha spinto a quest’improvvisa inversione ad U? A compilare le liste dei candidati, questa volta, tocca al segretario Zingaretti, che ha tutto l’interesse ad avere in parlamento dei gruppi di cui si possa fidare. Il M5S, che non vuole andare alle elezioni anticipate perché sa di perderle, sarebbe interessato alla proposta di Renzi di un governo istituzionale che allunghi la vita a questa XVIII legislatura. Ma come fa il M5S a fidarsi di uno che, fino ad ieri, ha fatto di tutto per impedire l’incontro con il Pd, e ora gli propone un’alleanza, qualunque sia: istituzionale a tempo o di legislatura? Sarebbe un governo sempre sotto scacco di Renzi che manovra i suoi fedelissimi gruppi parlamentari. Non starebbero sereni quelli del M5S. In verità, non farebbero sogni tranquilli neppure quelli del Pd con incarichi nell’ipotetico governo con il M5S. Non è facile fare previsioni sull’esito della crisi apertasi con le dimissioni di Conte in una situazione convulsa, dove tutti parlano con tutti, con scenari che cambiano più volte nello stesso giorno per dichiarazioni in libertà rilasciate da questo o dall’altro leader. E’ una situazione che smentisce il grande pensatore cinese, Confucio, perché è grande la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente.
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