Nascere per vivere e generare

Nascere per vivere e generare
Abbandonare l’individualismo per un’esplosione d’amore

La nascita è sempre un evento che sconvolge la vita di più creature e li sottopone a riflessioni di carattere filosofico-teologico e umano.
Siamo natali prima di essere mortali, anzi la nostra nascita è un morire. «Nascendo moriamo, e la fine dipende dalla nascita», afferma Marco Manilio. A cosa moriamo? A noi stessi per dar vita a un divenire che è diverso dal precedente, non solo qualitativamente ma temporalmente: l’attimo di prima non è mai uguale a quello del poi. In questo susseguirsi continuo ci deve essere la consapevolezza che il nascere è sempre un rinascere o meglio dis-nascere per nascere. Ognuno di noi deve avere la coscienza che ogni momento muore pur rimanendo in vita. Osserva Erich Fromm che “La nascita non è un atto, è un procedimento ininterrotto. Lo scopo della vita è di nascere pienamente, ma la sua tragedia è che la maggior parte di noi muore prima di essere veramente nato. Vivere significa nascere ad ogni istante. La morte si produce quando si cessa di nascere. Fisiologicamente il nostro sistema cellulare è in stato di nascita continua; ma psicologicamente la maggior parte di noi ad un certo momento cessa di vivere”.
Socrate ne trae un principio filosofico, dell’arte maieutica, che è quello ereditato dalla madre levatrice. E lo stesso Hegel parla della maternità come “salto inaudito” della nascita.
C’è un collegamento tra l’essere e il dilatarsi, la stessa creazione con l’”uscita esodiale” di un Dio nel cosmo è un’espansione di quel nucleo di amore che esplode fino a donarsi nel tempo con l’incarnazione nella storia. Nella stessa maternità, nel rapporto madre-feto, esiste una dilatazione corporea della donna ma anche affettiva, psicologica, intellettiva e sociale che si protrae per tutta la vita in un legame costante di non interruzione del cordone ombelicale: anche il non avere figli è un prolificare. La donna amplia la sua cavità non solo uterina, allarga e diffonde il suo amore affinché il figlio continui anche lui a donare. Da questo devolvere ne promana il generare, il dar vita alla specie per una continuità eterna e dipende anche l’esempio e la capacità del saper accogliere per offrire. “Chi non si dilata non ospita”, dice Carla Cannullo, docente di filosofia teoretica.
Ogni gestazione presuppone però un travaglio, nelle sue varie fasi, fino all’estrazione della placenta. Non c’è nascita senza doglie, persino in natura: “Tutto il creato – dice San Paolo – soffre e geme come una donna che partorisce. E non soltanto il creato, ma anche noi, che già abbiamo le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi figli”. (Rm 8, 22-23) Il travaglio come la sofferenza, la notte come il buio, sono presagio della gioia e del giorno, della luce. Siamo preparati ad esso e apprezziamolo con l’attesa della nuova creatura e della gioia a nuova vita.
Da questo dinamismo esistenziale dipende l’annullamento del sé per generare il “diverso” come indicato da Gesù nel famoso passo a Nicodèmo: “Credimi, nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce nuovamente. Nicodèmo gli disse: Com’è possibile che un uomo nasca di nuovo quando è vecchio? Non può certo entrare una seconda volta nel ventre di sua madre e nascere!  Gesù rispose: Io ti assicuro che nessuno può entrare nel regno di Dio se non nasce da acqua e Spirito. Dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce Spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere in modo nuovo”. (Gv 3, 3-7). Gesù per primo muore per risorgere. Lo aveva detto lui stesso: “Se il seme di frumento non finisce sottoterra e non muore, non porta frutto. Se muore, invece, porta molto frutto. Ve l’assicuro. Chi ama la propria vita la perderà. Chi è pronto a perdere la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. (Gv 12,24-25)
Il battesimo cristiano è questa metanoia, ovvero la rinascita dallo e nello Spirito, solo così si può essere “nuovi”, di quella novità che trasforma veramente e ci fa guardare il mondo, il creato, gli altri, Dio, con occhi di bellezza e di luce gioiosa. Solo così potrà avverarsi la profezia di Ezechiele:
”Verserò su di voi acqua pura e vi purificherò da ogni vostra sporcizia, dai vostri idoli. Metterò dentro di voi un cuore nuovo e uno spirito nuovo, toglierò il vostro cuore ostinato, di pietra, e lo sostituirò con un cuore vero, ubbidiente”. Ez 36, 25-27)
L’essere nella creazione allora ci deve aprire a una dimensione di universalità e come la madre, frutto di una frantumazione della propria genitrice, anche lei, a sua volta frammentata in altre creature, fino al punto, come ricorda Papa Francesco, da diventare «l’antidoto più sicuro contro l’individualismo», così ogni creatura deve saper procreare dividendosi a favore dei suoi simili, assumendone, come fece Cristo la condizione umana, umiliandosi nell’incarnazione e nascendo in una famiglia indigente. “’Individuo’ vuol dire – continua il Papa – che non si può dividere. Le madri invece si “dividono”, a partire da quando ospitano un figlio per darlo al mondo e farlo crescere. […] “essere madre non significa solo mettere al mondo un figlio, ma è anche una scelta di vita, la scelta di dare la vita, e questo è bello, questo è grande”. (Udienza Generale, Aula Paolo VI, Mercoledì, 7 gennaio 2015).
Il bandire dalla propria vita, la superbia, l’egoismo, l’ingiustizia, ci deve portare a fare un cammino nella meraviglia e nella scoperta delle cose semplici, gestendo e producendo, al di là del gender al quale apparteniamo, quella maturità che ci permette, come afferma Fromm, di essere “padri e madri di noi stessi”, ossia persone a pieno titolo, consapevoli delle proprie origini e del proprio futuro, capaci di partorirsi a ogni evento che la vita propone.

Salvatore Agueci

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