martedì , Ottobre 3 2023

Liberazione 75 anniversario, la storia di tre fratelli dell’ennese, uno ucciso dai tedeschi

Nella lunga tragedia e schiera di lutti che colpì l’Italia nel corso della seconda Guerra Mondiale, vi è anche la vicenda di tre fratelli dell’ennese, uno dei quali ucciso dai tedeschi. La loro storia, nell’occasione del 75° anniversario della Liberazione, è risvegliata grazie al racconto di un familiare che, a distanza di oltre settant’anni, ne rivaluta la memoria. Pietro, Giacomo e Francesco Lisacchi erano originari di Villapriolo. Che la famiglia non nutrisse tante simpatie per il fascismo lo dimostra già il padre Santo che, nel 1924, accoltellò il futuro podestà del piccolo paese, “Don Alfonso”, al seggio elettorale dove, in un clima di intimidazione da parte dei sostenitori del Partito Nazionale Fascista, si stavano svolgendo le elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati. Da allora fu marchiato come pericoloso sovversivo, tanto che, in occasione della visita, nell’agosto del 1937, di Mussolini a Enna, venne incarcerato tre giorni prima del suo arrivo e rilasciato tre giorni dopo la sua partenza.

Allo scoppio del guerra, Pietro, classe 1913, fu richiamato e inviato con il suo reggimento Granatieri di Savoia ad Addis Abeba, in Etiopia per difendere la vecchia colonia italiana dall’attacco dell’esercito inglese. Colonia che capitolò definitivamente nell’aprile del 1940. “Stanchi e sfiduciati, gli inglesi ci disarmarono e pieni di disprezzo -raccontava Pietro – ci fecero prigionieri. Da quel momento, chiusi all’interno di un campo di concentramento improvvisato, iniziò un vero calvario. Molti fummo costretti a svolgere dei lavori di manovalanza. Io con altri miei compagni fui portato in una stazione ferroviaria a caricare e scaricare sacchi. E lì un giorno, mentre lavoravo, vidi due soldati inglesi che stavano legando ad un palo un giovane etiope; non so che mancanza avesse fatto ma dopo alcune ore, con il sole che picchiava fortemente, svenne. Mi venne spontaneo raccogliere uno straccio che si trovava a terra bagnarlo e metterglielo in testa. Un gesto umano e spontaneo che gli inglesi non approvarono, tanto che sciolsero l’etiope dal palo e vi legarono me. Dopo una giornata al sole, i miei occhi non ressero e con il distacco progressivo delle retini, a poco a poco, incominciai a vedere sempre meno, fino a quanto calò il buio e divenni cieco. Successivamente fummo imbarcati in una grande nave. Lunghi giorni di navigazione, un viaggio senza sapere dove si stava andando. Fame e brodaglia come cibo. Ci dissero, dopo settimane di navigazione, che eravamo arrivati in Inghilterra. Il campo dove siamo stati internati si rivelò una metropoli con migliaia di prigionieri”.

Intanto, l’8 settembre 1943, quando Badoglio fu costretto ad annunciare l’entrata in vigore dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati anglo-americani, firmato a Cassibile, ci fu l’eroica decisione di molti militari italiani di non arrendersi e di combattere i nazisti. E tutto ciò mentre il Re, dopo un drammatico consiglio della Corona, abbandonò Roma insieme a tutta la famiglia reale ed allo Stato Maggiore delle Forze Armate, lasciando i comandi militari privi di ordini.

Quel giorno Giacomo, classe 1918, bersagliere dell’VIII° Reggimento ciclisti, di stanza a Rovereto, assieme a un gruppo di suoi compagni, fu tra quelli che decise di non arrendersi e di vendere cara la pelle. In servizio presso la locale caserma, tra la notte dell’8 al 9 settembre, fu mandato con la sua motocicletta a perlustrare il paese trentino in cerca di una via di fuga per lui e per i suoi compagni che, intanto, reagivano con coraggio alla violenta reazione dei panzer i tedeschi. Quando a un certo punto, incontrò un nucleo di soldati tedeschi armati di parabellum. Alla richiesta di resa e di cessione delle armi, reagì trovando eroica morte nella inadeguata lotta. Alla memoria gli venne conferita una medaglia d’argento al valor militare e le sue spoglie, rientrate per volere della famiglia nel 1962 da Rovereto, oggi riposano nel piccolo cimitero di Villapriolo.

Infine, l’ultimo Lisacchi. Francesco, artigliere classe 1921, chiamato alle armi, fu imbarcato da Brindisi per l’Albania. Subito dopo l’armistizio, si pose un dilemma per molti militari italiani. Occorreva scegliere: con o contro i tedeschi. La decisione di Francesco fu contro e in uno scontro armato con i nazifascisti venne ferito ad una gamba. Operato all’ospedale militare di Rimini, rimase mutilato a vita.

E’ la vicenda di tre giovani in un’unica guerra multiforme e globale che ha messo a nudo la miseria dell’uomo, l’incertezza dei suoi valori e la disperazione della sua condizione.

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