Pino Grimaldi: Enna-Pergusa 10 giugno 1940

Scrivo oggi dieci Giugno alle cinque della sera per ricordare che ottanta anni fa dalla villa di Pergusa ove si era soliti passare la fine di Maggio e metà Giugno ci trovavamo con mio padre che mi dice “andiamo ché tra un’ora parla il duce. Ci avviamo a percorrere quasi cinque chilometri a passo svelto per andare al Villaggio inaugurato appena due anni prima il 15 agosto da Mussolini lieto di vedere una pozza malarica che aveva fatto morti a bizzeffe, divenuto un ridente borgo e salire fino alla cima della collina ove si trovano tre edifici la Scuola,la Chiesa e la Casa del Fascio. Raggiungemmo quest’ultima cinque minuti prima che la radio,l’unica che si trovava nei paraggi, collegata con la piazza da un enorme altoparlante, facesse sentire il discorso annunziato da un paio di giorni, ma sopratutto dalla sera avanti,che il primo ministro, segretario di stato e duce del fascismo avrebbe rivolto alla Nazione. Alle sei della sera si senti un boato e comprendemmo che sul balcone di palazzo Venezia era apparso il capo dello stato. Dopo minuti sentimmo qualcuno dire “saluto al duce” e poi la voce inconfondibile alla radio di Mussolini a pronunciare la dichiarazione di guerra “già inviata agli ambasciatori di Francia ed Inghilterra” dopo tutti i soprusi che l’Italia aveva dovuto subire,sanzioni per la guerra etiopica ed altro, per potere avere lo sbocco nell’Atlantico e riavere le parti ad ovest non dateci nel trattato di Versailles. Ad ascoltare all’interno della casa con noi c’era solo un brigadiere dei Carabinieri che per tutto il discorso – tra applausi interminabili e le stentoree frasi che Mussolini lanciava al mondo tre quarti d’ora – rimase sull’attenti, quasi lo avesse di fronte, con papà che batteva – ed io imitavo – le mani quasi coda a sud dell’entusiasmo romano. Rifacendo la strada per ritornare a casa papà non parlò molto. Di tanto in tanto commentava per me che con questa guerra appena dichiarata l’Italia avrebbe conquistato il posto che le toccava tra la gradi nazioni e che la mia vita, allora appena compiuti 11 anni, balilla moschettiere, sarebbe stata facile bella e gratificante quale cittadino di un grande nazione di ben 45 milioni di abitanti, e tutto il paese sarebbe stato bello, pulito, salubre e laborioso come era divenuto appunto il Villaggio Pergusa. Giunti a casa abbracciò la mamma e le disse: siamo in guerra ed appena posso parto. Poi si andò in giardino per annaffiare i fiori mettere a posto ciò che Don Angelo non aveva completato e scambiare qualche parola col nonno, mai fascista ne anti, ma gran lavoratore – mezza città riedificata e migliorata da lui – che a mio padre che gli dava la notizia disse: peccato, non si stava male. Ora cominciano i guai e lo guardò profondamente negli occhi senza aggiungere altro. Mentre si faceva sera io ero felice perche mio padre mi aveva trattato da adulto ed aveva voluto condividere con me quel momento detto storico e che oggi, a ripensarci, non posso che confermare. Cambiammo tutti in bene e male e l’idea di combattere per la mia Patria, speravo almeno, mi inorgogliva. Sono passate otto decadi e non pensavo che ne avrei viste tante. Ma il ricordo ancor mi molce il cuore. Lo do ai miei nipoti, il più piccolo quasi con la mia età d’allora.

Pino Grimaldi

 

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