Q- LA COLLINA DEL DISONORE (amministrative Enna)
Non siamo abituati ad adulare chi vince e non lo faremo neanche questa volta, al contrario di chi ha scoperto (dopo la sua vittoria) un Dipietro che sa capire la gente e che in cinque anni ne ha fatte di cose!
Un conto è dire che la sua vittoria è stata schiacciante, una cosa è dire che il merito sia stato di cinque anni di buona amministrazione.
È vero invece che il sindaco uscente e la sua squadra sono stati bravi a capovolgere in pochi mesi una situazione che sembrava ormai compromessa. E soprattutto sono stati bravi i suoi generali, ed in particolare quegli strateghi che più volte abbiamo punzecchiato da queste pagine, che hanno surclassato i sedicenti strateghi da strapazzo che hanno condotto allo sfacelo la squadra avversaria.
Il PD innanzitutto. Aveva messo in campo un progetto credibile, che ci aveva fatto scrivere che i giorni del lockdown erano gli ultimi di questa amministrazione, con almeno sette liste dalla sua parte. Poi la gestione di questo progetto è stata fallimentare, chiudendo troppo rapidamente i giochi dopo averla tirata per le lunghe per mesi. Bersani davanti ai cinque stelle era un eroe al confronto!
Se Cives e M5S sono andati a suicidarsi da qualche parte non sembra una gran cosa. Il loro momento di gloria l’hanno avuto alcune settimane fa, i loro leader hanno avuto qualche foto sul giornale e così sia. I numeri sono lì a dimostrarlo.
Fa persino tenerezza sentire ancora voci di opposizione e di vigilanza attiva dagli esponenti del Movimento dall’alto dei loro 450 voti o 600. I greci la chiamavano “iubris”, tracotanza, ma in questo caso una parola è poca e due sono troppe.
A confronto, ben altra cosa è la candidatura autonoma della Lega, il cui risultato va ben oltre i voti: ha garantito con la sua lista di liberare il campo dalla pregiudiziale che Italia Viva aveva frettolosamente invocato, e che si sarebbe rivelata più difficile da ritrattare rispetto alle accuse di mobbing mosse al sindaco. Una genialata.
Parlavamo del PD. Il vero sconfitto ben prima che si aprissero le urne. Una classe dirigente incapace di rinnovarsi, incapace di trovare uomini da proporre tra le proprie file. Incapace di superare le proprie schermaglie interne, anche solo per fare una proposta civetta a quel tavolo infinito che non è servito a sfiancare i possibili alleati ma a rivelare la propria incapacità di decidere. Lo hanno fatto per favorire l’accordo più ampio possibile? Ci sembra una scusa poverella.
Non c’è nessuno e nulla da salvare in questo PD. Se andiamo indietro nei mesi e negli anni recenti, c’è stata solo la capacità di creare scontenti e sconfitti non già in un confronto aperto ma con veri e propri tranelli, colpi di teatro a vantaggio di terzi, guerre intestine che nessuno ha tentato di ricomporre.
Ha ragione chi ha scritto che non è colpa del candidato sindaco, che non poteva certo sovvertire un risultato così pesante. Dario Cardaci era un candidato moderato, adatto a recuperare consensi al centro, laddove la sinistra strutturata avesse fatto il suo dovere. La sua pregressa esperienza politica giocava a suo favore, la sua dubbia indipendenza politica attuale un po’ meno, ma è stata solo la scusa buona per chi aveva già deciso di defilarsi. Non è stato lui il punto debole dello schieramento, è stato proprio lo schieramento a cedere di fronte all’avversario.
Non è nemmeno colpa di Mirello Crisafulli, il parafulmine per tanti anni nei momenti di affanno del partito. O forse è ancora una volta colpa sua, che per assenza o disillusione non è riuscito o non ha voluto dare una raddrizzata ai giochi quando era il momento di decidere.
Gli altri, quello che rimane del PD, non sono stati all’altezza. Il grosso del partito, a ben guardare, lo trovate nello schieramento avversario. Alcuni per scelta ormai antica, ancora una volta premiata, altri perché si sono trovati davanti per mesi scelte deboli, contraddittorie, ambigue.
I numeri non sono tutto, c’è l’opinione pubblica, c’è il disamore per la propria parte politica. Ci sono migliaia di votanti in meno e soprattutto molti molti voti persi.
Se c’è ancora una dirigenza nel PD, l’unica soluzione è dimettersi. Con disonore.
Q – G.L. Borghese
Q è la quindicesima lettera dell’alfabeto italiano e la diciassettesima di quello latino ed è l’unica lettera che nella nostra lingua non si può leggere da sola, se non accompagnata dalla “u”.
In questa ottica Q è una lettera “singolare”, nel senso di particolare, unica, e “plurale” nel senso che non può stare da sola.
Q è pure il titolo di un romanzo scritto da quattro autori sotto lo pseudonimo multiplo di Luther Blisset, e che si definiscono “nucleo di destabilizzatori del senso comune”.
Q è dunque “plurale” anche in un senso più ampio. Lascerà di volta in volta a voi lettori informatici il compito di completare ed interpretare, secondo la vostra libera scelta o inclinazione politica, le provocazioni che vi verranno proposte dall’autore, un ennese che da lontano ma puntualmente segue, attraverso internet, gli eventi che travagliano questa terra.