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La «rivelazione» esigenza di comunicazione

La «rivelazione» esigenza di comunicazione

Un cammino unitario di speranza

Chiunque entra in relazione, prima o poi, sente il bisogno di confidarsi, aprirsi all’altro perché il rapporto sia sempre più completo e profondo: è il percorso dell’amore che sente la necessità di farsi conoscere per conoscere, a sua volta, l’amato.

Questo estendere, squarciare la conoscenza di sé acquista massimo significato nel termine “rivelazione” che nella etimologia latina vuol dire ‘togliere il velo’, ovvero re- ‘indietro’ e velum ‘velo’, per presentare, dietro il sipario, la scena al completo e dipanare il dramma.

La rivelazione si compone di due peculiarità: una divina e l’altra umana. Una è il soggetto donante, l’altra il donatario.

Nella Rivelazione divina, propria delle religioni che si considerano di origine soprannaturale, è Dio che si manifesta (contrariamente alle religioni naturali, poiché provengono dal basso, dall’uomo. Senza nulla togliere alla ragione naturale che può raggiungere la conoscenza di Dio a partire dalle Sue opere: la creazione e le creature). Dio liberamente si fa conoscere attraverso un processo comunicativo di Se stesso nel quale trasmette il suo disegno di bontà e di amore.

Nell’azione divina, attraverso cui Dio parla all’uomo, gli consegna verità difficilmente o per niente conoscibili dalla nostra ragione. Herman Bavinck, uno dei teologi protestanti più eminenti di tutti i tempi, commenta che la rivelazione di Dio, essendo trinitaria, cristologica, redentiva e quindi escatologica, invade e pervade il cosmo, a dispetto di tutti i tentativi di confutarla e annullarla. Dio si rivela in tutti i modi anche «con eventi e parole».

Adottando la Sua pedagogia, Dio «si comunica gradualmente all’uomo, lo prepara per tappe a ricevere la rivelazione soprannaturale che egli fa di se stesso» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 53) e culminerà nell’incarnazione della Persona di Gesù Cristo.  Si è rivelato ai nostri progenitori, ai patriarchi, ai profeti e ad altre figure dell’Antico Testamento non tenendo conto della persona, dell’età, della sua preparazione e capacità: «Io pensavo a te – dice a Geremia – prima ancora di formarti nel ventre materno. Prima che tu venissi alla luce, ti avevo già scelto, ti avevo consacrato profeta per annunziare il mio messaggio alle nazioni… Io metto le mie parole sulle tue labbra» (1, 5; 9). E a Ezechiele il Signore dice: “Ascolta quel che ti dico… Apri la bocca e mangia quel che ti do” (2, 8). Poi il Signore disse: “Ezechiele, mangia questo rotolo. Poi va’ e parla al popolo “d’Israele” (3, 1). E aggiunse: “Ezechiele, riempi il tuo stomaco con questa pergamena”. La mangiai; era dolce come il miele» (3, 3). Amos era un pastore.

La pienezza della rivelazione Dio la compie inviando il suo Figlio prediletto, il Signore Gesù Cristo, e lo Spirito Santo. «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). E il Concilio Vaticano II così si è espresso: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono così resi partecipi della divina natura» (Cost. dogm. Dei Verbum, 2: AAS 58 (1966) 818).

Qual è lo scopo della Rivelazione? Dio «vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente creati, per farli figli adottivi nel suo unico Figlio. Rivelando se stesso, Dio vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli, di conoscerlo e di amarlo ben più di quanto sarebbero capaci da se stessi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 52).

Questa rivelazione divina, in tutte le epoche, è lungi dall’essere annientata in quanto trova una potente corrispondenza nell’uomo, il quale è un essere sostanzialmente religioso. E anche se essa si è compiuta in Cristo, non ci sono, infatti, rivelazioni che possano aggiungere o correggere quella di Gesù, sarà compito della fede della chiesa esplicitarla interamente e coglierne progressivamente tutta la portata. Dio si è rivelato come Persona in una storia di alleanza e di salvezza e ha costituito un popolo che fosse custode di questa storia. E anche se i profeti sono peculiari a ricevere rivelazioni per la Chiesa, loro non sono gli unici ad accogliere rivelazioni: a seconda la fedeltà di ognuno, Dio continua a parlare al cuore dell’uomo in ogni circostanza e in tutti i tempi. Queste rivelazioni, dette ‘private’, non migliorano la Rivelazione in Cristo, ma aiutano il credente a vivere pienamente la fede. Contrariamente a quanto l’uomo si aspetti da Dio: ‘conoscerlo e toccarlo visibilmente, parlare con lui’, Dio trova i modi e i mezzi per farsi incontrare, non secondo, però, le attese umane ma seguendo la logica divina. Nel roveto ardente sul Sinai, si fa conoscere da Mosè sotto quella forma, come il serpente di rame elevato sarà simbolo di guarigione.

Giacché la Rivelazione offre delle risposte complete agli interrogativi che l’uomo si pone sul senso dell’esistenza, ci si aspetta dagli uomini stessi una risposta di partecipazione. Dio vuole che gli uomini svelino se stessi attraverso un vivere coerente a Essa.

Due sono le vie: parlare con Dio attraverso un contatto, continuo e diretto, con Lui, elevando la nostra intelligenza a Lui e, secondo, vivere con le nostre opere affinché sia la persona tutta a testimoniare che si è in cammino perché la Rivelazione raggiunga la pienezza dell’attuazione e ciascuno divenga epifania del Cristo.

E come Cristo si è manifestato a tutti i popoli della terra, qualunque sia l’appartenenza, gli uomini tutti devono essere rivelatori di umanità. Un’umanità che sappia condividere “le gioie e le speranze degli uomini” (GS, 1). L’uomo, con una rivelazione che abbia i connotati di una comprensione razionale, prima che spirituale, deve saper comunicare con tutti in modo autentico, condivisibile, compartecipativo. Tutti gli uomini sono destinatari di salvezza e tutti congiuntamente devono raggiungere questo obiettivo. I criteri diversi di essere nel mondo e nelle singole nazioni non possono e non devono essere divisivi. Tutti devono cercare solidarietà, accoglienza, pace… e tutti hanno il dovere di contribuire affinché il creato sia e rimanga il luogo in cui le creature possano vivere un equilibrio cosmico.

Restituiamo all’uomo la gioia del vivere, di meravigliarsi, di amarsi, perché tutti possano essere una sola famiglia. Tutti, poiché stiamo percorrendo lo stesso cammino e il traguardo è unitario: diamoci la mano perché chi è indietro proceda con lo stesso passo e chi è nella parte retrostante diventi attore della scena esistenziale.

Salvatore Agueci

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