Silvio Berlusconi è morto. Possiamo dire di tutto su di lui, ma un dato è certo: è morto un uomo. Ed è morto un uomo che ha ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio per più giorni rispetto a tutti coloro che lo hanno ricoperto nel periodo Repubblicano. È un uomo che ha ricevuto milioni di consensi, che ha creato migliaia di posti di lavoro, che quindi dà da mangiare e vivere a tantissime famiglie. Che poi si voglia fare la polemica sui funerali di Stato e sul lutto nazionale si faccia anche, ma almeno si abbia il coraggio di non essere ipocriti. Vero, disse Umberto Eco, che i social hanno permesso di dare la parola anche agli stupidi, ma ciò ci restituisce una misura della società in cui viviamo oggi: una società ipocrita, che si muove per slogan, invidiosa essenzialmente dei successi altrui, con un io ipertrofico lanciato all’ennesima potenza. Fa ridere (per non dire pena su cotanta miseria umana) chi vorrebbe fare oggi la morale a Berlusconi e però fino a qualche tempo fa è andato nelle sue trasmissioni a farsi pubblicità (se si è “tutto d’un pezzo” uno si può rifiutare di andare nel tempio di un “mostro”). Fa ridere come una determinata parte schierata in un certo versante politico protesta sul fatto che a Berlusconi è stato concesso tutto ciò mentre non lo è stato concesso a Falcone e Borsellino. Ma una cosa del genere non andrebbe chiesto a chi poteva fare una cosa del genere a quei tempi o c’è una sorta di retroattività anche qui? E poi, la storia insegna, che c’è una parte politica ben precisa, ovvero quella di cui la Meloni è certamente erede, che al posto di piangere Borsellino fece la cosa più importante che potesse fare: provare a salvarlo! L’MSI, infatti, in una votazione per il presidente della Repubblica nel 1992 scrisse il nome di Paolo Borsellino e chissà come sarebbe andata la storia se certi partiti i cui eredi sono votati da coloro che oggi inorridiscono sulla disparità di trattamento tra Berlusconi e Falcone e Borsellino avessero eletto quest’ultimo Presidente della Repubblica. Al posto di chiedere perché a Berlusconi si fa tanto, quasi facendone una colpa al nuovo governo, perché non ci si pente di un fatto storico ben preciso. Meglio celebrarli da vivi che usarli vergognosamente da morti.
Come è anche ben preciso un altro noto fatto storico: Almirante andò ai funerali di Enrico Berlinguer. Erano ai totali antipodi, ma una cosa è la politica, una cosa è l’Uomo. Cosa che hanno capito oggi tutti (Renzi, Calenda, Schlein) tranne uno e il suo partito (di cui non intendiamo fare neanche il nome). E quando non si rispetta neppure l’Uomo, lì è insito un grande pericolo. Oggi, per chi crede, Berlusconi è davanti a Dio, per chi non crede non è davanti a nessuno. E Dio non ha certamente bisogno di suggerimenti ipocriti da parte di censori social che si sono eretti a dispensatori di ciò che è bene e ciò che è male (e chissà se andassimo ad indagare nella vita di questi quante zone ancora più grigie di quelle di Berlusconi troveremmo), nascondendo, in fondo, tanta invidia per uno che ha cavalcato la storia e ha saputo avere i riflettori su di sé, cosa che altri, dal locale in su, cercano in maniera irrefrenabile e vanno in tilt quando capiscono (se lo capiscono) che la gente prova solo pena per chi è vittima del proprio io.
Alain Calò