Enna. Fino a qualche decennio fa i nostri bambini vivevano la commemorazione dei defunti come una “festa”, un giorno gioioso e non una ricorrenza triste e cupa. Otto, dieci giorni prima del due novembre le vetrine di Angelo Restivo & Figlio, storico negozio in Via Roma (fino a qualche anno fa condotto con l’insegna Silver Gold), si riempivano di giocattoli. I ragazzi, col naso appiccicato ai vetri, dai più piccini ai meno piccoli, ammiravano, stupiti, tutti quei balocchi sotto le sfavillanti luci. Le bambine volgevano la loro attenzione alla vetrina centrale, stracolma di bambole di porcellana con abitini di seta, di broccato e di pizzi, mentre i maschietti guardavano quelle laterali piene di altri giocattoli (fucili, carriole, trottole, trenini ecc.), la maggior parte in legno variopinto. Tutti avevano la segreta speranza che quel giocattolo o quella bambola, ammirati nelle luccicanti vetrine, fossero “portati dai morti” accanto al letto, la notte tra l’uno e il due novembre, prima del loro risveglio. Quella era l’unica occasione in cui i bambini, nati a cavallo della seconda guerra mondiale, potevano sperare di ricevere in regalo un giocattolo. La tradizione voleva che i morti portassero anche guantiere di dolci, quelli tradizionali ennesi ( “totò” e “ossa di morti”), o “frutta martorana” coloratissima (pasta regale a forma, appunto, di frutti). I genitori, i nonni e gli zii dicevano ai loro piccoli che i morti portavano i giocattoli e i dolci solo ai bambini “bravi e buoni”. La sera del primo novembre, i più piccini, dopo le preghiere della sera, andavano a letto molto presto per permettere così ai “morti” di portare loro il giocattolo preferito. Tutto questo avveniva grazie ai “grandi” che uscivano la sera tardi a far compere per negozi e pasticcerie, rimasti aperti per l’occasione fin oltre la mezzanotte. L’indomani era una giornata di gioia per tutti, grandi e piccoli. Era veramente la “Festa dei morti”. Una tradizione, questa, che negli anni è andata sempre più a spegnersi, fino a cadere nell’oblio; forse perché si comprano e si regalano giocattoli in tutte le occasioni e tutto l’anno, o perché i bambini di oggi non credono più nella “visita dei morti”. Da qualche tempo un’altra realtà, al di fuori delle nostre tradizioni, sta per prendere il sopravvento: la notte di Halloween.
Nelle scuole, nei pab e nei locali questa ricorrenza d’importazione americana, ma d’origine celtica, è puntualmente festeggiata in questo periodo. Vi partecipano giovani e giovanissimi con zucche, maschere, abiti da stregoni. I giovani e anche gli adulti si riuniscono nei vari ristoranti e trattorie per bere vino e birra, accompagnati da succulenti menù. L’auspicio, ma è una chimera, è di restituire ai nostri bimbi la tradizionale festa dei morti così vicina alle nostre tradizioni, legata all’esperienza della vita e della morte, della gioia e del dolore.
Salvatore Presti
Nota della redazione.
Abbiamo voluto ripubblicare l’articolo del nostro collaboratore Salvatore Presti per evidenziare la perdita di antiche tradizioni che accomunavano il mondo dei vivi con quello dei morti.
(L’articolo è stato pubblicato anche nella cronaca locale del Giornale di Sicilia, nel 1996, e si trova nel capitolo “Processioni e Feste” del libro dello stesso autore dal titolo “ENNA – Il filo della memoria”, NovaGraf editrice, Assoro, 2013, ancora in distribuzione nelle edicole e librerie della città)
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