Tra i fattori che possono causare i disturbi dell’apprendimento in età scolare, rientrano anche alcune alterazioni del gene ‘Nemo’, noto come causa dell’Incontinentia pigmenti (Ip): una malattia rara considerata finora di natura principalmente dermatologica. È quanto rivela uno studio, pubblicato su Plos One, frutto della collaborazione tra i ricercatori dell’Istituto di genetica e biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche (Igb-Cnr) di Napoli e l’Istituto di ricovero e cura a carattere sanitario (Irccs) Fondazione Santa Lucia di Roma.
L’Ip, mortale per i maschi, si manifesta nelle bambine già alla nascita con una caratteristica infiammazione cutanea: oltre alla pelle, la malattia può colpire unghie, denti, capelli, occhi e provocare crisi epilettiche. Il 30% dei casi, poi, è aggravato da alterazioni nel sistema nervoso centrale, che possono causare una disabilità intellettiva: questi dati hanno spinto i ricercatori ad indagare le relazioni con i disturbi nell’apprendimento.
“Per la prima volta si è cercato di delineare il profilo cognitivo dell’Incontinentia pigmenti attraverso un’esaustiva valutazione neuropsicologica”, spiega Matilde Valeria Ursini, ricercatrice dell’Igb-Cnr. “Nel 70% delle pazienti abbiamo diagnosticato, in assenza di ritardo mentale, un disturbo nell’apprendimento del calcolo, nel ragionamento matematico e nella lettura, ma non nella scrittura, mentre le restanti presentavano disabilità intellettive da lievi a gravi”.
Il gene Nemo, le cui mutazioni causano l’Ip, è stato scoperto nel 2000. Da allora l’Igb-Cnr di Napoli, per ciascuno dei circa 200 casi identificati in Italia, ha catalogato tutte le varianti patologiche, raccogliendo in un database le caratteristiche cliniche ed eseguendo una diagnosi genetica relativa alla presenza di un’alterazione del gene, che gli autori dello studio candidano anche quale responsabile dei deficit riscontrati.
“Individuare precocemente i disturbi dell’apprendimento è fondamentale per attuare terapie adeguate e ridurre le ripercussioni in età adulta: pertanto, il nostro lavoro suggerisce di utilizzare la valutazione delle capacità di apprendimento delle bambine in età scolare quale prassi diagnostica dell’Ip”, aggiunge Francesca Fusco, dell’Igb-Cnr.
Lo studio, co-finanziato dalla Fondazione Roma – Terzo Settore ‘Sportello della Solidarietà’, ha potuto contare sulla collaborazione dell’Associazione italiana di genitori e pazienti Ip, Ipassi onlus.