Non si sa se Carlo V abbia detto veramente ai sudditi di Alghero la frase “Todos caballeros”, ma certamente chi l’ha riferita, forse mentendo, è degno di onorificenze ancora maggiori.
“Tutti cavalieri” è diventato sinonimo della confusione dei ruoli, della capacità – per quel che ci riguarda tutta italiana – di arrogarci diritti e sentirci abilitati a svolgere i ruoli più disparati senza nessuna competenza o nessuna organizzata razionalità.
Vi abbiamo già parlato della vicenda rifiuti e di come ci sia stata una sorta di dissociazione collettiva che impedisce ai sindaci di ricordare il passato, magari recente, e ai liquidatori di riconoscere i propri predecessori come dei poveri padri di famiglia che hanno cercato in ogni modo di portare avanti la baracca e limitare i danni e non portare l’esercito per strada come a Napoli (e che San Gennaro ci perdoni).
Ma adesso c’è una nuova forma di perversione sociale (non ci viene un’altra espressione), di nuovo giustizialismo, in questa corsa frenetica a cercare se c’è del marcio in Danimarca (e questa volta sarà Guglielmo Shackespeare a doverci perdonare).
Si narra, certo a sproposito, che solerti corpi dello Stato, guardie che vanno per foreste ovvero secolari difensori della fedeltà si aggirino nei paesi della ormai ex provincia a fare indagini e chiedere carte e visionare faldoni e copiare documenti senza coordinamento né – dicono – discernimento.
Ma siamo davvero tutti caballeros?
Non è la Procura della Repubblica a dover discernere e indagare e soprattutto coordinare?
Com’è che ognuno fa di testa propria?
Com’è che in un settore così delicato tutti si sentano in dovere di sentenziare: alcuni sindaci (solo fossero più belli e biondi) si sentono delle Giovanna d’Arco e fanno voci, anziché sentirle; e altri invece si mostrano distratti, indaffarati e lontani come se non avessero i numeri per fare maggioranza quasi da soli o non avessero determinato loro i precedenti liquidatori.
Anche molto onorevoli associazioni ci hanno fatto la loro bella figura a denunciare errori ed omissioni del sistema, ma alla prova dei fatti non hanno meritato di più una volta chiamati a dare il loro contribuito, vuoi come assessori vuoi come liquidatori e non certo per demerito personale, ma perché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e in questo caso un oceano.
Anche brillanti professionisti e professori fai da te hanno visto brillare la loro carriera a suon di corsi e ricorsi, spesso più giudiziari che storici, ma ancora non ci hanno spiegato com’è che per tribunali e commissioni, amministrativi gli uni e tributari gli altri, una tariffa è illegittima e un tributo pure e anche il viceversa e non ce n’è una che vada bene. Parola di Regione Siciliana.
E che dire degli ultimi (liquidatori naturalmente) che avanzano sospinti dall’aura di sovranità che gli viene dall’essere di “fuori”, come se tutti i predecessori, per il solo fatto di essere della provincia, siano di “dentro” (delle cozze di dentro, immagino), e dunque coinvolti e potenziali colpevoli di mala amministrazione. Ma questo è un discorso che abbiamo già fatto.
Ma che adesso anche chi ha come compito precipuo quello di fare rispettare l’ordine pubblico lo faccia nel disordine più assoluto è una cosa che certamente sarà legittima ma che lascia per lo meno perplessi.
Noi, non solo non siamo cavalieri, ma non siamo nemmeno scudieri. Dunque non sappiamo se dopo le antiche vicende degli Onorevoli amministratori dell’ATO, di cui ancora si parla a distanza di anni, ci siano state altre leggerezze, altre irregolarità, altri arbitri, altri abusi, altri possibili reati, a fin di bene o di male non tocca a noi giudicare, e che sia giusto vederci chiaro, ma immaginiamo anche che tutto questo non può essere lasciato in mano al primo che capita, sia esso sindaco o sindacato, liquidatore prudente o scalmanato. Ma nemmeno a qualche irreprensibile tutore dell’ordine, soprattutto se, a dispetto del termine, qualche volta è piuttosto disordinato.
Dentro il “palazzaccio”, che ha un ruolo più delicato e importante di quello “di città” che è solo un palazzo, qualcuno dovrebbe stare in campana e dare una bella registrata a questa allegra brigata. Senza offesa e con rispetto parlando.
Q – G.L. Borghese
glborghese@gmail.com
Q è la quindicesima lettera dell’alfabeto italiano e la diciassettesima di quello latino ed è l’unica lettera che nella nostra lingua non si può leggere da sola, se non accompagnata dalla “u”.
In questa ottica Q è una lettera “singolare”, nel senso di particolare, unica, e “plurale” nel senso che non può stare da sola.
Q è pure il titolo di un romanzo scritto da quattro autori sotto lo pseudonimo multiplo di Luther Blisset, e che si definiscono “nucleo di destabilizzatori del senso comune”.
Q è dunque “plurale” anche in un senso più ampio. Lascerà di volta in volta a voi lettori informatici il compito di completare ed interpretare, secondo la vostra libera scelta o inclinazione politica, le provocazioni che vi verranno proposte dall’autore, un ennese che da lontano ma puntualmente segue, attraverso internet, gli eventi che travagliano questa terra.
Q è “plurale” anche in un senso più ampio.