Q – OUI, JE SUIS CATHERINE DENEUVE

Il titolo che ho scelto può sembrare irriverente, può apparire addirittura cinico proprio mentre la Francia piange i suoi figli. Ma è solo satira, se permettete.
La frase da dire, quella politically correct, doveva essere JE SUIS CHARLIE, ma se vogliamo davvero difendere la satira e la libertà di espressione non possiamo essere ovvii e politicamente corretti; dobbiamo essere invece irriverenti e contro gli schemi.

D’altronde non potevo mettere da parte la mia libera opinione verso quel tipo di satira che finisce per offendere sentimenti profondi e quasi atavici nel segno della libertà. La libertà finisce dove comincia quella degli altri, recitava un vecchio adagio, ed è libertà anche quella di avere una sensibilità ed un rispetto per i propri valori e per il proprio “credo”, che preferiremmo non venisse offesa. Negli Stati Uniti, il paese liberale per antonomasia, la pensano così e anche in Italia in teoria è così, almeno ufficialmente.
Qualcuno, ad esempio, ha approfittato immediatamente per pubblicare vignette francesi particolarmente “dure” e apertamente blasfeme anche verso la religione e il Dio cristiani, o verso gli Ebrei, tradendo un’ansia anticlericale e anti religiosa almeno sospetta.

Non condivido un cero tipo di satira, anche se sono pronto a difenderla, ed era giusto dirlo. Credo nella libertà di espressione ma anche nella libertà di dissentire, anche se dissentire non può significare MAI censurare, vietare, condannare o peggio uccidere. Direi anzi che dissentire è la massima forma di libertà di espressione!

Ho perciò deciso di essere solidale con i redattori di Charlie Hebdo ma essere ugualmente irriverente e non allinearmi alla volontà comune, all’emozione dominante. Quella emozione comune che, in quanto tale, non sa ragionare o riflettere e dunque “si allinea”, tradendo così lo spirito stesso della satira.

Curiosamente e involontariamente all’inizio ho usato una frase tratta dall’ebraismo: “Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché non sono più”, e non potevo fare sgarbo più grande ad un tempo agli integralisti islamici ed ai razzisti, che dell’antisemitismo non riescono proprio a fare a meno. Uno sgarbo a coloro che hanno ucciso e uccidono e a coloro che sinceramente farebbero lo stesso, se solo ne avessero l’occasione e le condizioni al contorno. Marie Le Pen ha subito invocato la pena di morte, una certa destra italiana ha subito gridato la sua irritazione contro il Papa e i moderati che parlano di terrorismo e non di “guerra santa”, quella che presuppone evidentemente una guerra genericamente contro tutto l’Islam e non solo contro gli estremisti. Approfittandone per scagliarsi contro immigrati e diversi.

Ma era giusto che fosse comunque la Francia il mio interlocutore, che fosse rivolta intanto ai francesi la mia solidarietà, per quanto individuale e di provincia. Ed allora ho pensato al celebre spot Lancia dei primi anni ottanta con Catherine Deneuve che pronunciava la frase-tormentone: “Oui, je suis Catherine Deneuve”, che è diventata negli anni un simbolo di bellezza e raffinatezza tipicamente francese ma con un pizzico di made in Italy.

In questo momento abbiamo bisogno di bellezza, quanto “brutta” è l’azione degli integralisti, quanto brutta è l’ideologia che guida quelle mani assassine, quanto brutta è la vita governata totalmente da un malinteso, stravolto, irragionevole senso della religione diventata legge.
In questo momento abbiamo bisogno di raffinatezza, nel senso di cultura (contro l’ignoranza e l’omologazione), nel senso di arte (contrapposta all’iconoclastia e alla negazione ancora una volta della bellezza), nel senso di pensiero progressista (contro la conservazione), nel senso di apertura mentale, di senso di libertà e parità di diritti fra generi, fra etnie, fra religioni.

Da domani ritorneremo alla “grande bruttezza” locale e quotidiana , quella delle nostre strade e dei nostri pochi servizi, quella della disoccupazione, della pochezza di idee e di progetti concreti, della mancanza di una vera amministrazione e di una opposizione che non siano solo in chiave elettorale. Domani torneremo ad essere “provinciali” anche se una provincia non l’abbiamo più, ma per una sera fatemi sentire un cittadino come gli altri ed un uomo del ventunesimo secolo!

Q – G.L. Borghese
glborghese@gmail.com

Q è la quindicesima lettera dell’alfabeto italiano e la diciassettesima di quello latino ed è l’unica lettera che nella nostra lingua non si può leggere da sola, se non accompagnata dalla “u”.
In questa ottica Q è una lettera “singolare”, nel senso di particolare, unica, e “plurale” nel senso che non può stare da sola.
Q è pure il titolo di un romanzo scritto da quattro autori sotto lo pseudonimo multiplo di Luther Blisset, e che si definiscono “nucleo di destabilizzatori del senso comune”.
Q è dunque “plurale” anche in un senso più ampio. Lascerà di volta in volta a voi lettori informatici il compito di completare ed interpretare, secondo la vostra libera scelta o inclinazione politica, le provocazioni che vi verranno proposte dall’autore, un ennese che da lontano ma puntualmente segue, attraverso internet, gli eventi che travagliano questa terra.
Q è “plurale” anche in un senso più ampio.

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