Il mistero del sito archeologico dell’antica Agyrion, patria del grande storico Diodoro Siculo, sta per essere finalmente svelato. Nell’intento di identificare l’insediamento originario si sono consorziati tre enti pubblici, la Soprintendenza di Enna, il Comune di Agira, l’Associazione regionale SiciliAntica, che ha offerto i volontari per gli scavi. Ora che si tirano le somme del cantiere archeologico, dopo un lungo lavoro che ha riportato alla luce, tra le strutture urbane datate tra il VI e il IV secolo avanti Cristo, anche i resti della celebrata Zecca del conio bronzeo, ora si cerca di dare spiegazione a una serie di enigmi storici di cui la polis è stata inconsapevole protagonista. Un mistero lungo tremila anni quello del sito di Agyrion dei Siculi, città fondata dal mitico Ercole, andato lì per espiare una colpa, al termine delle dodici fatiche, e dove avrebbe edificato un tempio al crudele dio Gerione per non incappare nella collera di Poseidone. Scrittori e viaggiatori, fin dal tempo di Esiodo, Stesicoro e Virgilio hanno ritenuto che il famigerato tempio di Gerione, sorvegliato da cani molossi e pastori vendicativi, fosse un luogo sperduto tra le nebbie dell’ isola Eritrea. Poi Dante Alighieri nel XVII canto dell’ Inferno ha voluto dare di Gerione una immagine più mediterranea. La storia erudita, quella che ha riproposto in salse diverse gli antichi classici, ha spesso confuso il mito di Ercole con quello di Jolao, suo commilitone, famoso per la lunga chioma imitata dai giovinetti del luogo: il mito è stato ripreso al passaggio tra paganesimo e cristianesimo, quando la grande cisterna, che si diceva costruita da Ercole stesso (e oggi si ritiene sepolta sotto largo della fiera), divenne un fonte battesimale con rito di immersione, ai tempi di San Filippo Siriaco, un missionario orientale. Gli eruditi continuarono a favoleggiare del potere salutare di quelle acque che “liberavano i malati dalla rabbia e dall’ epilessia, rilasciavano i luoghi impuri della presenza di spiriti malefici~ e trasformavano in taumaturghi i monaci basiliani come San Filippo, intanto divenuto patrono degli agiresi, come lo erano stati un tempo Ercole e Jolao. Per ricompensare il santo cristiano dei benefici e del gran numero di pellegrini che ogni anno raggiungevano la cittadina (tradizione continuata fino agli inizi del secolo scorso), gli abitanti edificarono un grande monastero dotato di Scriptorium ed estense proprietà fondiarie. Ma anche di questo monastero – l’ unico a quanto sembra che sopravvisse alla dominazione musulmana – si sono perse le tracce. Come se non bastasse anche gli Ebrei – che dimoravano ad Agira fin dal tempo di Diodoro e soprattutto al tempo di Federico II – vollero lasciare a perenne ricordo della loro presenza un altro mistero da svelare: l’ unico esempio di Aron medievale in pietra mai realizzato dalla Diaspora in occidente. Ci sono tutte le premesse per eleggere Agira a luogo della fantasia e delle costruzioni letterarie; ma c’ è chi s’ è messo d’ impegno a trovare le tracce materiali di questi racconti. Alla fine i soci della locale sede di SiciliAntica, guidati dal giovane Orazio La Delfa, sono riusciti nell’ intento: hanno convinto il loro presidente regionale, Giuseppe Lo Porto, ad aprire un cantiere di scavo nei luoghi della supposta acropoli di Agyrion, per effettuare nuovi saggi visto che dai tempi di Bernabò Brea e Rosario Carta nessuno aveva più fatto rilievi stratigrafici nella zona. Al lavoro sono andati oltre cento volontari di SiciliAntica provenienti da tutta l’ isola che hanno scritto una bella pagina sul volontariato nei beni culturali. I saggi di scavo sono iniziati a quota 650 metri, sotto il sole cocente di luglio, iniziando alle falde delle torri medievali del castello federiciano, già oggetto di interventi da parte della Soprintendenza. Poco per volta sono venuti fuori i “terrazzamenti” su cui era articolato l’ antico tessuto urbano, con ritrovamenti sistematici di pesi da telaio, pithoi, molta ceramica da fuoco: «Sulla scorta dell’ evidenza ceramica – rileva l’ archeologo Cottonaro – abbiamo individuato la fase cronologica che va dai prodotti indigeni alle bande decorative tipiche del periodo ellenistico, passando per la fase d’ importazione attica». A sua volta Ileana Contino sostiene che i terrazzamenti individuati sfruttavano il banco di roccia esistente in quota, e per ragioni ancora da scoprire, l’ area superiore dell’ abitato è stata utilizzata prima per scopi produttivi e poi per uso abitativo. Un risultato che va ben oltre ogni rosea previsione, che premia il volontariato, come spiega il presidente di SiciliAntica: «Non possiamo affidare la ricerca del nostro passato solo alle convenzioni con università estere e missioni condotte da studiosi stranieri, mentre i nostri ricercatori sono magari costretti a emigrare». Allo stato il cantiere archeologico aperto a quota 650 coincide con la scoperta di una necropoli ellenistica nella parte bassa dell’ attuale Agira, insieme alla scoperta, sempre in periferia dell’ abitato, di antiche strutture per la lavorazione delle argille (Stazzuni), produzione di cui un tempo gli agirini vantavano il primato in tutta la Sicilia centro-meridonale. Adesso, dopo i primi entusiasmi, si parla di un parco archeologico nell’ area del castello, che renda fruibili tutte le scoperte, dove si possano svelare i segreti degli antichi edifici menzionati dalle leggende: il teatro greco, il più bello dopo quello di Siracusa secondo Diodoro, forse nascosto tra i ruderi dell’ ex oratorio di san Giacomo o il convento della Santissima Trinità, il tempio di Gerione, che si ritiene essere nei pressi del complesso basilicale a forma quadrangolare del Santissimo Salvatore (dove è stato ritrovato l’ aron ebraico), il tempio di Jolao che la tradizione vuole sulla spianata del castello, meglio da identificare nella struttura sotterranea chiamata “carcere del castello”. E poi il Foro che una tradizione orale ritiene trovarsi sotto la piazza del Santissimo Salvatore. Infine il Gimnasium, costruito pure da Ercole, per i giochi e i sacrifici annuali che si tributavano all’ amico Jolao. Le cerimonie d’ età classica si svolgevano presso la porta della città detta “Eraclea” e il tracciato delle corse pedestri era quello lasciato miticamente dalle «orme degli zoccoli dei buoi sottratti da Ercole a Gerione». Alle feste di Ercole e Jolao, caratterizzate dai giochi equestri e dalla lotta (Iolaeya), partecipavano in gran numero gli schiavi, fatta eccezionale per il mondo greco, che in Sicilia lasciava molto spazio ai culti indigeni e a quelli degli schiavi. Per queste fasce sociali Eracle era considerato nume tutelare della libertà, come attestato da una moneta agirina dell’ età di Timoleonte siracusano. Da altre monete, pure in loco ritrovate, l’ eroe Jolao appare come una figura maschile vestita di corto chitone reggente un corno ed avente ai suoi piedi un cane (Ciaceri). La tradizione più sorprendente, segnalata da vari storici, era tuttavia quella di lasciar crescere le lunghe chiome ai fanciulli in onore di Jolao come sacra offerta. La stessa tradizione in epoca postuma si faceva in onore di San Filippo Siriaco, nume cristiano che poteva dispensare buona sorte ai devoti dalla lunga chioma.
Claudio Paterna
pubblicato su “La Repubblica” – Palermo del 16/12/2008
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