Enna città universitaria… ma non a tutti i costi
di Massimo Greco
Nell’economia della conoscenza ci si aspetta che le università contribuiscano al processo di formazione continua delle risorse umane, adattando la propria offerta formativa alle esigenze dei mutamenti sociali, economici e culturali. La funzione delle università di generare direttamente capitale umano e, indirettamente, capitale sociale, rischia di diventare mission impossible in quelle realtà territoriali interne e centrali che una certa ideologia turbo-capitalistica sembra avere condannato alla progressiva desertificazione economica e sociale. E’ infatti noto che la presenza di un sistema universitario (sia esso autonomo sia esso decentrato da altre università) genera moltiplicatori virtuosi, quali l’ampliamento dell’accesso all’istruzione universitaria, in particolare a nuove categorie di studenti (non frequentanti, lavoratori dipendenti ecc…), l’agevolazione dell’accesso al mercato del lavoro, la promozione di una forza lavoro locale maggiormente qualificata e l’offerta di competenze e conoscenze scientifiche rispondenti alle esigenze delle imprese locali. Rispetto a questa prospettiva non è affatto un’utopia immaginare una mutazione in chiave universitaria del futuro della città di Enna. Peraltro, dal punto di vista dell’economia, come ha sostenuto il compianto Centorrino, “quello che rende non è l’università ma la città universitaria”. La capacità di un ateneo di attrarre risorse umane qualificate e di aumentare la qualità delle medesime già presenti nel territorio, arricchisce la comunità e pone le premesse per attivare processi di sviluppo locale. L’università può quindi fare da ponte tra la comunità locale e l’esterno, integrando politiche nazionali e regionali a livello locale ed attraendo capitali e investimenti esterni attraverso la creazione di partnership con altre istituzioni con finalità di ricerca e commerciali, ovvero mettendo in atto processi di sviluppo e rigenerazione locale, fornendo infrastrutture di ricerca e sperimentazione importanti per le imprese locali.
In tale contesto, ben venga l’iniziativa di delocalizzare a Enna, già sede della Libera Università non statale Kore, di alcuni corsi di laurea in medicina e in professioni sanitarie dell’Università Romena Dunarea de Jos di Galati. Il processo di delocalizzazione universitaria trova, infatti, il conforto della letteratura internazionale che considera “agenti-chiave di processi di sviluppo a vari livelli” gli atenei decentrati. L’università decentrata è parte di due circoli virtuosi a livello locale, dentro l’università vi sono sinergie produttive tra didattica, insegnamento, ricerca e fornitura di servizi alla comunità; a livello locale vi sono collegamenti tra competenze, innovazione e comunità. Questi due ingredienti, miscelati adeguatamente, possono irrobustirsi a vicenda traendone reciproco beneficio.
Tutto questo può quindi avere una ricaduta certamente positiva a condizione che: a) gli interessi pubblici, a vario titolo presenti, non siano piegati a beneficio di interessi di parte; b) l’iniziativa non sia il risultato di una disputa senza esclusione di colpi tra Istituzioni dello Stato Italiano e Istituzioni dello Stato Romeno; c) gli studenti (e le loro famiglie) siano messi a conoscenza che i titoli di studio che acquisiranno dovranno essere riconosciuti dal Ministero della Sanità ai fini dell’esercizio della correlata professione e che nel caso di differenze sostanziali tra la formazione di base che i laureati acquisiranno e i requisiti minimi utilizzati in Italia, lo stesso Ministero potrà imporre misure compensative prima di riconoscere la qualifica; d) l’iniziativa non sia di ostacolo al dialogo avviato dall’Università Kore con Caltanissetta per l’istituzione del polo sanitario universitario.