Aiuti di Stato preclusi agli Istituti scolastici paritari

Aiuti di Stato preclusi agli Istituti scolastici paritari

di Massimo Greco

La questione della natura giuridica pubblica o privata di un ente che si trova oggettivamente in una condizione “borderline” è tanto complessa quanto delicata. E’ complessa perché sia la giurisprudenza che la dottrina, e ancora peggio il legislatore, non si ritrovano in posizioni univoche, optando ora per il modello formale, ora per quello sostanziale. E’ delicata perché all’individuazione della natura giuridica seguono numerose conseguenze che, qualora non adeguatamente messe in conto, possono seriamente pregiudicare sia la vision che la mission dell’ente medesimo.

Nel campo dell’istruzione, un problema affrontato tante volte ma mai del tutto risolto concerne l’annosa questione del finanziamento statale delle Scuole paritarie e della sua compatibilità con l’art. 33 Cost, comma 3° a tenore del quale “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. La Costituzione sembra quindi, laicamente, riconoscere il diritto alle Istituzioni private di offrire servizi educativi e formativi al pari di quelli offerti dallo Stato, a condizione che la loro attività non gravi sulla spesa pubblica.

Ad oggi, nonostante dottrina e giurisprudenza suggeriscano allo Stato di finanziare i fruitori del servizio e non anche direttamente gli Istituti scolastici, il Ministero dell’Istruzione e dell’Università continua annualmente a finanziare Scuole paritarie e Libere Università statali di diritto privato senza discriminare, all’interno del medesimo ambito privatistico, tra Enti a carattere commerciale ed Enti a carattere non profit. Il numero elevato di scuole paritarie (13 mila circa) interessate al finanziamento statale ha inevitabilmente finito per politicizzare la vicenda e per impallidirne la riflessione giuridica. Diversa e meno invasiva è la pressione esercitata allo Stato dalle Libere Università statali di diritto privato, se non altro per l’enorme differenziale numerico (non più di 30).

La questione è stata recentemente affrontata dal Consiglio di Stato che, entrando nel merito della natura giuridica dell’Istituto privato ai fini dell’ammissibilità al citato finanziamento ministeriale e richiamando quanto già statuito dalla Commissione Europea, ha chiarito che non è di per sé sufficiente ad escludere la natura economica dell’attività il fatto che gli eventuali avanzi di gestione non siano distribuiti tra i soci e siano reinvestiti nell’attività didattica (che è appunto la caratteristica degli enti no-profit), mentre la sola condizione in presenza della quale è lecito escludere il carattere commerciale dell’attività è quella della “gratuità o quasi gratuità” del servizio offerto. In assenza di quest’ultima condizione, da valutare in termini rigorosamente oggettivi (gratuità o quasi gratuità del servizio), il vantaggio selettivo concesso ad alcune imprese operanti nel settore costituisce aiuto di Stato, incorrendo perciò nel divieto e nel regime di illiceità sancito dal citato art. 107 del TCE.

Quanto al rilievo da dare all’elemento oggettivo attinente alle modalità di svolgimento dell’attività, va altresì rilevato che già la giurisprudenza tributaria, nel definire una controversia sulla (non) esenzione dall’ICI nei riguardi di un Ente religioso gestore di una Scuola paritaria, ha statuito che nella gestione di una Scuola paritaria da parte di un Ente religioso il pagamento di una retta da parte degli alunni è indice rivelatore dell’esercizio dell’attività con modalità commerciali. In particolare, le attività didattiche si considerano effettuate con modalità non commerciali se, tra gli altri requisiti, l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di una retta d’importo simbolico.

Postulato di questo più evoluto quadro interpretativo è che, al netto della natura giuridica auto dichiarata, gli Istituti scolastici (Scuole e Libere Università non statali di diritto privato) che vorranno partecipare al riparto annuale dei trasferimenti ministeriali dovranno dichiarare il possesso del requisito della “gratuità o quasi gratuità” delle rispettive prestazioni sulla base delle attività sostanzialmente esercitate.

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