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COVID. Il danno e la beffa della TARI

COVID. Il danno e la beffa della TARI
di Massimo Greco

Nel diritto dell’Unione Europea non esiste alcuna normativa che imponga agli Stati membri una peculiare modalità di finanziamento del costo dello smaltimento rifiuti. Ciascuno Stato può, nell’esercizio della propria discrezionalità politica, stabilire una modalità differente (tassa, contributo, corrispettivo, canone). In Italia, il legislatore ha consentito l’utilizzazione del c.d. “metodo normalizzato”. Un metodo orientato alla tariffazione puntuale che si traduce in una misurazione dei rifiuti prodotti, così da relazionare il costo all’effettivo utilizzo del servizio. Tuttavia, laddove i Comuni non avessero sperimentato tecniche di calibratura individuale sulla base del quantitativo dei rifiuti da essi prodotti, il metodo normalizzato ha previsto l’alternativa di un sistema presuntivo commisurato sulla base di una stima del volume di rifiuti generato dagli utenti di tale servizio e non sulla base del quantitativo dei rifiuti prodotti.
Bene, se in tempi normali i Comuni possono optare legittimamente per l’uno o per l’altro metodo di calcolo della tariffa, in tempi di pandemia, e di chiusure “a raffica” di attività commerciali, il metodo da utilizzare non può che essere solo quello riferito alla calibratura e pesatura individuale dei rifiuti prodotti. Solo così il ristoratore, piuttosto che l’albergatore, può dimostrare la correlazione reale ed effettiva fra produzione di rifiuti e sospensione della rispettiva attività. E’ offensivo chiedere a un commerciante, che da più di un anno ha dovuto (certamente suo malgrado) sospendere la propria attività, il pagamento integrale della TARI senza tenere conto dell’evidente e notoria chiusura della rispettiva attività commerciale. Ci piacerebbe sapere come pensano i nostri Amministratori locali di applicare all’utenza non domestica il principio comunitario “chi inquina paga” in tempo di pandemia.

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