A duro destino – duro cuore
Gaetano Errico, nasce il 19 ottobre 1791 a Secondigliano, antico casale a nord della città di Napoli. È il terzogenito di dieci figli di Pasquale e Maria Marseglia. Viene battezzato il giorno dopo la nascita nella chiesa parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano con i nomi di Gaetano, Cosma e Damiano. A sette anni è ammesso alla prima comunione e ad undici al sacramento della confermazione. A quattordici anni chiede di entrare prima tra i Cappuccini e, poi, tra i Redentoristi, ma la domanda è respinta a causa dell’età. A sedici anni chiede di essere ammesso al seminario arcivescovile di Napoli (il vostro servitore che ha composto questa agiografia è stato nello stesso seminario durante 6 anni). Nel gennaio del 1808 indossa l’abito talare e, poiché la famiglia non è in grado di sostenere i costi per il suo mantenimento da interno, segue gli studi da esterno, raggiungendo a piedi il seminario. Ogni giorno, tra andata e ritorno, sono 8 chilometri, con il freddo, il caldo e la pioggia, attirando l’ammirazione delle persone, che al vederlo passare esclamano: “Ecco San Gaetano che passa!”. È ordinato sacerdote il 23 settembre del 1815 dal Card. Ruffo Scilla nella Cappella di Santa Restituta, nella Cattedrale di Napoli. A don Gaetano viene subito assegnato il compito di maestro comunale, che esercita, per quasi vent’anni, con diligenza, vigilanza e zelo, preoccupandosi, con la cultura, di insegnare, soprattutto, i principi cristiani. Si dedica con amore al servizio pastorale nella chiesa parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano. La strada e il confessionale furono i luoghi privilegiati dell’azione pastorale di don Gaetano. La strada gli permetteva di incontrare le persone alle quali rivolgeva un suo abituale invito: “Dio ti vuole bene, quando ci vedremo?”, e nel confessionale rendeva loro possibile l’incontro con la misericordia del Padre celeste.
Sviluppa la sua attività apostolica secondo quattro direzioni:
annuncio della Parola,
ministero della riconciliazione,
assistenza materiale e spirituale ai malati,
servizio della carità.
Quattro modi distinti per dire agli uomini che Dio è Padre e li ama. Ogni anno, da sacerdote, si ritira a Pagani (Salerno), nella casa dei padri Redentoristi, per gli esercizi spirituali. Nell’anno 1818, mentre prega nel coro, avviene un fatto destinato a segnare ed a cambiare il corso della sua vita: gli appare S. Alfonso per comunicargli che Dio lo vuole fondatore di una Congregazione religiosa, dandogli come segno la costruzione in Secondigliano di una chiesa in onore della Vergine Addolorata: il 9 dicembre del 1830, la chiesa è benedetta. Terminata la costruzione, Gaetano Errico commissiona a Francesco Verzella, scultore napoletano, una statua in legno della Madonna Addolorata. La tradizione vuole che egli abbia fatto rifare più volte il volto, esclamando alla fine: “Così era”. L’aveva vista in visione? La statua fa il suo ingresso in Secondigliano nel maggio del 1835 e da allora continuano ininterrotti il pellegrinaggio e la devozione dei fedeli verso l’Addolorata di Gaetano Errico. Negli anni seguenti, mentre don Gaetano prega nel medesimo coro di Pagani, davanti al SS. Sacramento, il Signore gli manifesta che la nuova Congregazione “dev’essere istituita in onore dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria”. Da allora i Sacri Cuori diventano per Gaetano Errico il centro della sua azione apostolica e missionaria. Terminata la chiesa, don Gaetano comincia a costruire, in un luogo adiacente, la casa che dovrà ospitare i futuri religiosi, i “Missionari dei Sacri Cuori”. Costruisce dapprima una piccola casa, dove nel 1833 si ritira ad abitare insieme ad un laico, che cura il servizio della chiesa. Con il trasferimento dalla casa paterna, inizia ufficialmente la realizzazione dell’incarico più importante ricevuto da Dio: la fondazione della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori. Ingrandita la casa, fonda il “Ritiro sacerdotale dei Sacri Cuori”, per accogliere i sacerdoti disposti ad impegnarsi soprattutto nel lavoro delle missioni popolari. Don Gaetano è un uomo di Dio, è un “santo”. Come ha fatto a diventarlo?. Il primo segreto della sua santità è “consumare le ginocchia nella preghiera e… anche nel pavimento”. Che don Gaetano sia un uomo di preghiera lo testimoniano le tante persone che l’hanno conosciuto e le due “fossette” nel pavimento della sua stanza, scavate dalle sue ginocchia. La penitenza è il secondo segreto della sua “santità”: nei venerdì e sabati limita i suoi pasti ad un solo piatto di minestra. Tutti i mercoledì, ed in molte vigilie, digiuna a pane ed acqua. Spesso dorme per terra. Porta “un cilicio che cinge la sua persona: petto, braccia e gambe”. “Usa discipline di cordicella e di ferro di varie specie”. Don Gaetano nel 1833 inoltra al Re la domanda per il riconoscimento di un Ritiro, che è approvato insieme al regolamento il 14 marzo 1836. Il 1° ottobre 1836 apre il noviziato, ammettendovi nove giovani. Nel maggio 1838 chiede il riconoscimento pontificio della Congregazione ed il 30 giugno riceve il decreto di lode. Nell’aprile 1846 ritorna a Roma per chiedere la definitiva approvazione. La Congregazione è cresciuta: è aumentato il numero dei congregati e sono state aperte diverse case. Il 7 agosto 1846 il Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1846-1878) emette il decreto di approvazione ed il 15 settembre il Breve apostolico. Gaetano Errico, dopo l’approvazione, è unanimemente eletto Superiore Generale. Fino alla morte lavora per lo sviluppo della Congregazione, curando in modo particolare la formazione dei soggetti. S’impegna nell’attività missionaria, nella predicazione al popolo e degli esercizi spirituali in numerosi conventi di suore, nella direzione spirituale e, specialmente, nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione. Muore a Secondigliano, all’età di 69 anni, il 29 ottobre 1860, alle 10 del mattino. “Amatevi scambievolmente e siate osservantissimi delle Regole”.
È il testamento che lascia ai suoi congregati. “È morto un santo” è l’unanime commento di tutto il popolo. Nel dicembre 1884 Pp Leone XIII (Gioacchino Pecci, 1878-1903) lo dichiara Venerabile; il 4 ottobre 1974 il Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978) emette il decreto di eroicità delle virtù. Il 14 aprile 2002 il Servo di Dio Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) lo proclama beato; il 12 ottobre 2008 Pp Benedetto XVI (Joseph Alois Ratzinger) lo innalza agli onori degli altari.
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Beato Michele Rua 1° successore di Don Bosco
La data di culto per la Chiesa Universale è il 6 aprile, mentre la Famiglia Salesiana lo ricorda il 29 ottobre, giorno della sua beatificazione. Michele Rua nasce a Torino il 9 giugno 1837, nel popolare quartiere di Borgo Dora, ultimo di nove figli. Rimane presto orfano di padre, Giovanni Battista, che muore il 2 agosto 1845, e vive con la madre che ha un alloggio nell’azienda dove lavora (arsenale regio). Nell’autunno dello stesso anno incontra don Bosco e partecipa fin da subito all’oratorio diventando un entusiasta amico del futuro santo. Spinto sempre da don Bosco prende la strada del sacerdozio e il 3 ottobre 1853 riceve l’abito clericale ai Becchi di Castelnuovo Don Bosco in una cappella fatta costruire dal sacerdote astigiano. Il 26 gennaio 1854 don Bosco radunò nella sua camera quattro giovani compagni, dando vita, forse inconsapevolmente, alla congregazione salesiana. Alla riunione erano presenti Giovanni Cagliero e Michele Rua che fu incaricato di stenderne il “verbale”. Il 25 marzo, nella stanza di don Bosco, Michele fece la sua “professione” semplice: era il primo salesiano. A Valdocco sorgevano laboratori di calzoleria, di sartoria, di legatoria. Molti ragazzi vedevano cambiare la propria esistenza: alcuni poterono studiare, altri vi si radunavano la sera dopo il lavoro, altri ancora solo la domenica. Michele divenne il principale collaboratore del santo, nonostante la giovane età; ne conquistò la totale fiducia, aiutandolo anche nel trascrivere le bozze dei suoi libri, sovente di notte, rubando le ore al sonno. Di giorno si recava all’oratorio S. Luigi, dalle parti di Porta Nuova, in una zona piena di immigrati. I più emarginati erano i ragazzi che, dalle valli, scendevano in città in cerca di lavoro come spazzacamini. Michele, facendo catechismo e insegnando le elementari nozioni scolastiche, conobbe infinite storie di miseria. Nel febbraio 1858 don Bosco scrisse le Regole della congregazione e il “fidato segretario” passò molte notti a copiare la sua pessima grafia. Insieme, le portarono a Roma, all’approvazione di Papa Pio IX, che, di proprio pugno, le corresse. Nel 1859 Pio IX ufficializzò la congregazione salesiana: don Bosco è Superiore Generale e Michele diventa di fatto il “braccio destro” del santo. Un giorno disse: “traevo maggior profitto nell’osservare don Bosco, anche nelle sue azioni più umili, che a leggere e meditare un trattato di ascetismo”. Il 28 luglio 1860 Michele Rua venne finalmente ordinato sacerdote. Sull’altare della prima messa c’erano i fiori bianchi donati dagli spazzacamini dell’oratorio S. Luigi. Tre anni dopo fu mandato ad aprire la prima casa salesiana fuori Torino: un piccolo seminario a Mirabello Monferrato. Vi stette due anni e tornò in città mentre a Valdocco si costruiva la basilica di Maria Ausiliatrice. Don Rua divenne il riferimento di molteplici attività, rispondendo persino alle lettere indirizzate a don Bosco. Lavorava senza soste e nel luglio 1868 sfiorò persino la morte a causa di una peritonite. Dato per moribondo dai medici, guarì; qualcuno disse per intercessione di Don Bosco. Tra i ragazzi dell’oratorio, oltre settecento, nascevano diverse vocazioni religiose. Nel 1868 si conclusero i lavori del santuario; nel 1872 si consacrarono le prime Figlie di Maria Ausiliatrice; nel 1875 partirono i primi missionari per l’Argentina guidati da don Cagliero. Nacquero i cooperatori e il bollettino salesiano. Valdocco aveva raggiunto proporzioni enormi, mentre a Roma Pp Leone XIII (Gioacchino Pecci, 1878-1903) chiedeva alla congregazione la costruzione della basilica del Sacro Cuore. Don Bosco era spesso in viaggio per la Francia e la Spagna e don Rua gli era accanto. Nel 1884 la salute del fondatore ormai declinava e fu il papa stesso a suggerirgli di pensare ad un successore. Don Rua il 7 novembre fu nominato, dal pontefice, vicario con diritto di successione. Nel gennaio del 1888, nella notte tra il 30 e il 31, alla presenza di molti sacerdoti, accompagnò la mano del santo, nel dare l’ultima benedizione. Rimase poi inginocchiato, davanti alla salma, per oltre due ore. Don Michele Rua fu un missionario instancabile, fedele interprete del sistema educativo preventivo. Percorrendo migliaia di chilometri visitò le case della congregazione sparse per il mondo, coordinandole come una sola grande famiglia. Diceva che i suoi viaggi gli avevano fatto vedere la “povertà ovunque”. La prima grande industrializzazione fece abbandonare ai contadini le proprie terre, per un misero salario guadagnato in fabbrica dopo interminabili giornate di lavoro. I salesiani toglievano dalla strada molti bambini aprendo oratori e scuole che, pur nella loro semplicità, diventavano in poco tempo centri di accoglienza e istruzione. Fu un grande innovatore in campo educativo: oltre alle scuole, in cui introdusse corsi professionali, organizzò ostelli e circoli sociali. Dopo aver avuto la gioia di vedere don Bosco dichiarato “venerabile” (1907) e di aver finito di costruire la chiesa di Maria Liberatrice a Roma (1908), don Michele Rua si ammalò e fu costretto a restare al letto. Il suo aiutante Filippo Rinaldi (beatificato il 29 aprile 1990 dal Servo di Dio Giovanni Paolo II), lo assistette fino all’ultimo. Morì nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1910, mormorando una giaculatoria insegnatagli da don Bosco quando era un ragazzino: “Cara Madre, Vergine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia”. Aveva ricevuto da don Bosco 700 religiosi in 64 case disseminate in 6 paesi; lasciò, al suo successore, 4000 religiosi in 341 case sparse in 30 nazioni, tra cui Brasile, Messico, Ecuador, Cina, India, Egitto, Sudafrica. Il “secondo padre della famiglia salesiana” fu sepolto a fianco del maestro; la sua tomba è ora venerata nella cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice. Michele Rua è stato proclamato beato il 29 ottobre 1972 dal Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978).
Significato del nome Michele : “chi [è grande, potente] come Dio?” (ebraico).
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Beata Chiara Badano
Chiara Badano nasce a Sassello (SV) il 29 ottobre 1971. Il padre, Ruggero, è camionista e la madre Maria Teresa, casalinga. Chiara è volitiva, tenace, altruista, di lineamenti fini, snella, grandi occhi limpidi, sorriso aperto, ama la neve e il mare, pratica molti sport. Ha un debole per le persone anziane che copre di attenzioni. A nove anni conosce i “Focolarini” di Chiara Lubich ed entra a fare parte dei “Gen”. Dai suoi quaderni traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita. Terminate le medie a Sassello si trasferisce a Savona dove frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad una spalla: callo osseo la prima diagnosi, osteosarcoma dopo analisi più approfondite. Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Si informa di tutto, non perde mai il suo abituale sorriso. Alcuni medici, non praticanti, si riavvicinano a Dio. La sua cameretta, in ospedale prima e a casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di apostolato: “L’importante è fare la volontà di Dio…è stare al suo gioco…Un altro mondo mi attende… Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela…Mi piaceva tanto andare in bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali…” Chiara Lubich, che la seguirà da vicino, durante tutta la malattia, in un’affettuosa lettera le pone il soprannone di “Luce”. Mons. Livio Maritano, vescovo diocesano, così la ricorda: “…Si sentiva in lei la presenza dello Spirito Santo che la rendeva capace di imprimere nelle persone che l’avvicinavano il suo modo di amare Dio e gli uomini. Ha regalato a tutti noi un’esperienza religiosa molto rara ed eccezionale”. Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con “lo Sposo” e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Lo fa indossare alla sua migliore amica per vedere come le starà. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa. Le ultime sue parole: “Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!”. Muore all’alba del 7 ottobre 1990. Immediata l’eco della straordinarietà della sua breve esistenza, le conversioni e poi un miracolo riconosciuto dalla Chiesa. Chiara è stata beatificata dal Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, mons. Angelo Amato, nel Santuario della Madonna del Divino Amore, il 25 settembre 2010 alla presenza dei suoi genitori, Maria Teresa e Ruggero Badano, e di migliaia di fedeli venuti da tutto il mondo, soprattutto giovani.
Sviluppa la sua attività apostolica secondo quattro direzioni:
annuncio della Parola,
ministero della riconciliazione,
assistenza materiale e spirituale ai malati,
servizio della carità.
Quattro modi distinti per dire agli uomini che Dio è Padre e li ama. Ogni anno, da sacerdote, si ritira a Pagani (Salerno), nella casa dei padri Redentoristi, per gli esercizi spirituali. Nell’anno 1818, mentre prega nel coro, avviene un fatto destinato a segnare ed a cambiare il corso della sua vita: gli appare S. Alfonso per comunicargli che Dio lo vuole fondatore di una Congregazione religiosa, dandogli come segno la costruzione in Secondigliano di una chiesa in onore della Vergine Addolorata: il 9 dicembre del 1830, la chiesa è benedetta. Terminata la costruzione, Gaetano Errico commissiona a Francesco Verzella, scultore napoletano, una statua in legno della Madonna Addolorata. La tradizione vuole che egli abbia fatto rifare più volte il volto, esclamando alla fine: “Così era”. L’aveva vista in visione? La statua fa il suo ingresso in Secondigliano nel maggio del 1835 e da allora continuano ininterrotti il pellegrinaggio e la devozione dei fedeli verso l’Addolorata di Gaetano Errico. Negli anni seguenti, mentre don Gaetano prega nel medesimo coro di Pagani, davanti al SS. Sacramento, il Signore gli manifesta che la nuova Congregazione “dev’essere istituita in onore dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria”. Da allora i Sacri Cuori diventano per Gaetano Errico il centro della sua azione apostolica e missionaria. Terminata la chiesa, don Gaetano comincia a costruire, in un luogo adiacente, la casa che dovrà ospitare i futuri religiosi, i “Missionari dei Sacri Cuori”. Costruisce dapprima una piccola casa, dove nel 1833 si ritira ad abitare insieme ad un laico, che cura il servizio della chiesa. Con il trasferimento dalla casa paterna, inizia ufficialmente la realizzazione dell’incarico più importante ricevuto da Dio: la fondazione della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori. Ingrandita la casa, fonda il “Ritiro sacerdotale dei Sacri Cuori”, per accogliere i sacerdoti disposti ad impegnarsi soprattutto nel lavoro delle missioni popolari. Don Gaetano è un uomo di Dio, è un “santo”. Come ha fatto a diventarlo?. Il primo segreto della sua santità è “consumare le ginocchia nella preghiera e… anche nel pavimento”. Che don Gaetano sia un uomo di preghiera lo testimoniano le tante persone che l’hanno conosciuto e le due “fossette” nel pavimento della sua stanza, scavate dalle sue ginocchia. La penitenza è il secondo segreto della sua “santità”: nei venerdì e sabati limita i suoi pasti ad un solo piatto di minestra. Tutti i mercoledì, ed in molte vigilie, digiuna a pane ed acqua. Spesso dorme per terra. Porta “un cilicio che cinge la sua persona: petto, braccia e gambe”. “Usa discipline di cordicella e di ferro di varie specie”. Don Gaetano nel 1833 inoltra al Re la domanda per il riconoscimento di un Ritiro, che è approvato insieme al regolamento il 14 marzo 1836. Il 1° ottobre 1836 apre il noviziato, ammettendovi nove giovani. Nel maggio 1838 chiede il riconoscimento pontificio della Congregazione ed il 30 giugno riceve il decreto di lode. Nell’aprile 1846 ritorna a Roma per chiedere la definitiva approvazione. La Congregazione è cresciuta: è aumentato il numero dei congregati e sono state aperte diverse case. Il 7 agosto 1846 il Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1846-1878) emette il decreto di approvazione ed il 15 settembre il Breve apostolico. Gaetano Errico, dopo l’approvazione, è unanimemente eletto Superiore Generale. Fino alla morte lavora per lo sviluppo della Congregazione, curando in modo particolare la formazione dei soggetti. S’impegna nell’attività missionaria, nella predicazione al popolo e degli esercizi spirituali in numerosi conventi di suore, nella direzione spirituale e, specialmente, nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione. Muore a Secondigliano, all’età di 69 anni, il 29 ottobre 1860, alle 10 del mattino. “Amatevi scambievolmente e siate osservantissimi delle Regole”.
È il testamento che lascia ai suoi congregati. “È morto un santo” è l’unanime commento di tutto il popolo. Nel dicembre 1884 Pp Leone XIII (Gioacchino Pecci, 1878-1903) lo dichiara Venerabile; il 4 ottobre 1974 il Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978) emette il decreto di eroicità delle virtù. Il 14 aprile 2002 il Servo di Dio Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) lo proclama beato; il 12 ottobre 2008 Pp Benedetto XVI (Joseph Alois Ratzinger) lo innalza agli onori degli altari.
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Beato Michele Rua 1° successore di Don Bosco
La data di culto per la Chiesa Universale è il 6 aprile, mentre la Famiglia Salesiana lo ricorda il 29 ottobre, giorno della sua beatificazione. Michele Rua nasce a Torino il 9 giugno 1837, nel popolare quartiere di Borgo Dora, ultimo di nove figli. Rimane presto orfano di padre, Giovanni Battista, che muore il 2 agosto 1845, e vive con la madre che ha un alloggio nell’azienda dove lavora (arsenale regio). Nell’autunno dello stesso anno incontra don Bosco e partecipa fin da subito all’oratorio diventando un entusiasta amico del futuro santo. Spinto sempre da don Bosco prende la strada del sacerdozio e il 3 ottobre 1853 riceve l’abito clericale ai Becchi di Castelnuovo Don Bosco in una cappella fatta costruire dal sacerdote astigiano. Il 26 gennaio 1854 don Bosco radunò nella sua camera quattro giovani compagni, dando vita, forse inconsapevolmente, alla congregazione salesiana. Alla riunione erano presenti Giovanni Cagliero e Michele Rua che fu incaricato di stenderne il “verbale”. Il 25 marzo, nella stanza di don Bosco, Michele fece la sua “professione” semplice: era il primo salesiano. A Valdocco sorgevano laboratori di calzoleria, di sartoria, di legatoria. Molti ragazzi vedevano cambiare la propria esistenza: alcuni poterono studiare, altri vi si radunavano la sera dopo il lavoro, altri ancora solo la domenica. Michele divenne il principale collaboratore del santo, nonostante la giovane età; ne conquistò la totale fiducia, aiutandolo anche nel trascrivere le bozze dei suoi libri, sovente di notte, rubando le ore al sonno. Di giorno si recava all’oratorio S. Luigi, dalle parti di Porta Nuova, in una zona piena di immigrati. I più emarginati erano i ragazzi che, dalle valli, scendevano in città in cerca di lavoro come spazzacamini. Michele, facendo catechismo e insegnando le elementari nozioni scolastiche, conobbe infinite storie di miseria. Nel febbraio 1858 don Bosco scrisse le Regole della congregazione e il “fidato segretario” passò molte notti a copiare la sua pessima grafia. Insieme, le portarono a Roma, all’approvazione di Papa Pio IX, che, di proprio pugno, le corresse. Nel 1859 Pio IX ufficializzò la congregazione salesiana: don Bosco è Superiore Generale e Michele diventa di fatto il “braccio destro” del santo. Un giorno disse: “traevo maggior profitto nell’osservare don Bosco, anche nelle sue azioni più umili, che a leggere e meditare un trattato di ascetismo”. Il 28 luglio 1860 Michele Rua venne finalmente ordinato sacerdote. Sull’altare della prima messa c’erano i fiori bianchi donati dagli spazzacamini dell’oratorio S. Luigi. Tre anni dopo fu mandato ad aprire la prima casa salesiana fuori Torino: un piccolo seminario a Mirabello Monferrato. Vi stette due anni e tornò in città mentre a Valdocco si costruiva la basilica di Maria Ausiliatrice. Don Rua divenne il riferimento di molteplici attività, rispondendo persino alle lettere indirizzate a don Bosco. Lavorava senza soste e nel luglio 1868 sfiorò persino la morte a causa di una peritonite. Dato per moribondo dai medici, guarì; qualcuno disse per intercessione di Don Bosco. Tra i ragazzi dell’oratorio, oltre settecento, nascevano diverse vocazioni religiose. Nel 1868 si conclusero i lavori del santuario; nel 1872 si consacrarono le prime Figlie di Maria Ausiliatrice; nel 1875 partirono i primi missionari per l’Argentina guidati da don Cagliero. Nacquero i cooperatori e il bollettino salesiano. Valdocco aveva raggiunto proporzioni enormi, mentre a Roma Pp Leone XIII (Gioacchino Pecci, 1878-1903) chiedeva alla congregazione la costruzione della basilica del Sacro Cuore. Don Bosco era spesso in viaggio per la Francia e la Spagna e don Rua gli era accanto. Nel 1884 la salute del fondatore ormai declinava e fu il papa stesso a suggerirgli di pensare ad un successore. Don Rua il 7 novembre fu nominato, dal pontefice, vicario con diritto di successione. Nel gennaio del 1888, nella notte tra il 30 e il 31, alla presenza di molti sacerdoti, accompagnò la mano del santo, nel dare l’ultima benedizione. Rimase poi inginocchiato, davanti alla salma, per oltre due ore. Don Michele Rua fu un missionario instancabile, fedele interprete del sistema educativo preventivo. Percorrendo migliaia di chilometri visitò le case della congregazione sparse per il mondo, coordinandole come una sola grande famiglia. Diceva che i suoi viaggi gli avevano fatto vedere la “povertà ovunque”. La prima grande industrializzazione fece abbandonare ai contadini le proprie terre, per un misero salario guadagnato in fabbrica dopo interminabili giornate di lavoro. I salesiani toglievano dalla strada molti bambini aprendo oratori e scuole che, pur nella loro semplicità, diventavano in poco tempo centri di accoglienza e istruzione. Fu un grande innovatore in campo educativo: oltre alle scuole, in cui introdusse corsi professionali, organizzò ostelli e circoli sociali. Dopo aver avuto la gioia di vedere don Bosco dichiarato “venerabile” (1907) e di aver finito di costruire la chiesa di Maria Liberatrice a Roma (1908), don Michele Rua si ammalò e fu costretto a restare al letto. Il suo aiutante Filippo Rinaldi (beatificato il 29 aprile 1990 dal Servo di Dio Giovanni Paolo II), lo assistette fino all’ultimo. Morì nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1910, mormorando una giaculatoria insegnatagli da don Bosco quando era un ragazzino: “Cara Madre, Vergine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia”. Aveva ricevuto da don Bosco 700 religiosi in 64 case disseminate in 6 paesi; lasciò, al suo successore, 4000 religiosi in 341 case sparse in 30 nazioni, tra cui Brasile, Messico, Ecuador, Cina, India, Egitto, Sudafrica. Il “secondo padre della famiglia salesiana” fu sepolto a fianco del maestro; la sua tomba è ora venerata nella cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice. Michele Rua è stato proclamato beato il 29 ottobre 1972 dal Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978).
Significato del nome Michele : “chi [è grande, potente] come Dio?” (ebraico).
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Beata Chiara Badano
Chiara Badano nasce a Sassello (SV) il 29 ottobre 1971. Il padre, Ruggero, è camionista e la madre Maria Teresa, casalinga. Chiara è volitiva, tenace, altruista, di lineamenti fini, snella, grandi occhi limpidi, sorriso aperto, ama la neve e il mare, pratica molti sport. Ha un debole per le persone anziane che copre di attenzioni. A nove anni conosce i “Focolarini” di Chiara Lubich ed entra a fare parte dei “Gen”. Dai suoi quaderni traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita. Terminate le medie a Sassello si trasferisce a Savona dove frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad una spalla: callo osseo la prima diagnosi, osteosarcoma dopo analisi più approfondite. Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Si informa di tutto, non perde mai il suo abituale sorriso. Alcuni medici, non praticanti, si riavvicinano a Dio. La sua cameretta, in ospedale prima e a casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di apostolato: “L’importante è fare la volontà di Dio…è stare al suo gioco…Un altro mondo mi attende… Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela…Mi piaceva tanto andare in bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali…” Chiara Lubich, che la seguirà da vicino, durante tutta la malattia, in un’affettuosa lettera le pone il soprannone di “Luce”. Mons. Livio Maritano, vescovo diocesano, così la ricorda: “…Si sentiva in lei la presenza dello Spirito Santo che la rendeva capace di imprimere nelle persone che l’avvicinavano il suo modo di amare Dio e gli uomini. Ha regalato a tutti noi un’esperienza religiosa molto rara ed eccezionale”. Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con “lo Sposo” e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Lo fa indossare alla sua migliore amica per vedere come le starà. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa. Le ultime sue parole: “Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!”. Muore all’alba del 7 ottobre 1990. Immediata l’eco della straordinarietà della sua breve esistenza, le conversioni e poi un miracolo riconosciuto dalla Chiesa. Chiara è stata beatificata dal Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, mons. Angelo Amato, nel Santuario della Madonna del Divino Amore, il 25 settembre 2010 alla presenza dei suoi genitori, Maria Teresa e Ruggero Badano, e di migliaia di fedeli venuti da tutto il mondo, soprattutto giovani.
Oggi si celebrano anche:
S. Feliciano, Martire a Cartagine († cc sec. III)
S. Narciso di Gerusalemme, Vescovo († cc 222)
S. Onorato di Vercelli, Vescovo († sec. IV/V inc.)
S. Zenobio di Sidone, Presbitero e martire († sec. IV)
S. Feliciano, Martire a Cartagine († cc sec. III)
S. Narciso di Gerusalemme, Vescovo († cc 222)
S. Onorato di Vercelli, Vescovo († sec. IV/V inc.)
S. Zenobio di Sidone, Presbitero e martire († sec. IV)
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Jesus Christus, heri et hodie, ipse est in saecula!
Jesus Christus, heri et hodie, ipse est in saecula!
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1969, Il 29 ottobre fu eseguito il primo collegamento a distanza tra computer. Charlie Kline studente dell’Università della California a Los Angelis (UCLA) realizza il primo collegamento a distanza tra due computer. Il suo è all’UCLA e l’altro è allo Stanford Research Institute (SRI) a San Francisco. Kline invia al computer destinatario la parola “login” (connessione in entrata) ma arrivato a trasmettere la lettera g la connessione si stacca
1969, Il 29 ottobre fu eseguito il primo collegamento a distanza tra computer. Charlie Kline studente dell’Università della California a Los Angelis (UCLA) realizza il primo collegamento a distanza tra due computer. Il suo è all’UCLA e l’altro è allo Stanford Research Institute (SRI) a San Francisco. Kline invia al computer destinatario la parola “login” (connessione in entrata) ma arrivato a trasmettere la lettera g la connessione si stacca
compleanni
1931 Franco Interlenghi
1964 Luciana Littizzetto
1971 Winona Ryder
1931 Franco Interlenghi
1964 Luciana Littizzetto
1971 Winona Ryder
proverbio
Meglio dieci donare che cento prestare
Meglio dieci donare che cento prestare
accadde oggi
1918 l’esercito italiano sconfigge gli austriaci nella battaglia di Vittorio Veneto, durante la I Guerra Mondiale
1918 l’esercito italiano sconfigge gli austriaci nella battaglia di Vittorio Veneto, durante la I Guerra Mondiale
frase celebre
“Il derubato che ride ruba qualcosa al ladro; se stesso deruba chi spende un dolore inutile”
Shakespeare, Otello, atto I, scena III
“Il derubato che ride ruba qualcosa al ladro; se stesso deruba chi spende un dolore inutile”
Shakespeare, Otello, atto I, scena III
consiglio
L’aspirapolvere
Preferite un aspirapolvere che abbia intensità regolabile: solo così potrete diversificare l’aspirazione su moquette sintetiche e su tappeti di lana
L’aspirapolvere
Preferite un aspirapolvere che abbia intensità regolabile: solo così potrete diversificare l’aspirazione su moquette sintetiche e su tappeti di lana
cosa vuol dire
Essere un Giuda
Traditore
In senso figurato significa essere un traditore, dal nome di Giuda Iscariota che tradì Cristo
Essere un Giuda
Traditore
In senso figurato significa essere un traditore, dal nome di Giuda Iscariota che tradì Cristo
consiglio per terrazzo orto e giardino
La semente
La semente prodotta dalle ditte specializzate è dotata di elevata purezza genetica, in quanto ottenuta con l’impollinazione controllata.
La semente
La semente prodotta dalle ditte specializzate è dotata di elevata purezza genetica, in quanto ottenuta con l’impollinazione controllata.