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Alla Columbia University di New York, ora come allora

Nella rassegna stampa internazionale di RAI 3 di ieri mattina ampio spazio è stato dato ai quotidiani americani che pubblicano articoli sulla rivolta degli studenti della Columbia University a favore del popolo palestinese e contro il governo israeliano di Netanyahu. Il rettore della Columbia University ha chiesto l’intervento della polizia. E’ la stessa Università che negli anni ’60 del secolo scorso fu sede della contestazione studentesca narrata nel film, “Fragole e sangue”. Anche allora il rettore chiese l’intervento della polizia.
“Fragole e sangue” (titolo originale “The strawberry statement”) di Stuart Hagman, Usa, 1970.
Il film è tratto dal libro “The strawberry statement: notes of a college revolutionary” (La dichiarazione delle fragole: note di un’università rivoluzionaria), che raccoglie una serie di articoli scritti da James Simon Kunen sulla sua esperienza di studente alla Columbia University e pubblicati sul “New York magazine”.
Le cronache americane raccontano che il rettore della Columbia University, quando un giorno gli comunicarono il risultato delle elezioni studentesche, abbia risposto alzando le spalle: “E’ come se mi dicessero che agli studenti piacciono le fragole”. E’ molto probabile che, dopo gli scontri violenti avvenuti nelle università americane ed europee, quell’incauto rettore abbia cambiato opinione sulle conseguenze delle scelte compiute dagli studenti. Da qui il titolo originale del libro e del film “The strawberry statement”.
Sebbene non sia stato accolto con favore dalla critica, soprattutto da quella si sinistra, e pur non avendo la pretesa si essere un grande film, “Fragole e sangue” ci offre un’immagine molto verosimile della contestazione universitaria americana degli anni ’60 del Novecento. Per taluni aspetti il film somiglia ad un diario, o ad un quaderno di appunti, della presa di coscienza politica del protagonista, Simon, maturata nel vivo della contestazione studentesca.
Il film racconta senza alcuna indulgenza e senza alcuna severità quello che andava maturando nelle sensibilità e nella coscienza di ampi strati giovanili che dalle loro università e scuole muovevano una critica radicale alla società americana. La stessa cosa si è ripetuta qualche anno più tardi nelle università e nelle scuole dell’Europa occidentale.
Oggi può apparire paradossale, ma allora ci furono anche dei grandi pensatori che teorizzarono il ruolo degli studenti come l’unico soggetto rivoluzionario esistente in una società post industriale che si avviava verso una sorta di omologazione per cui classi sociali con interessi antagonistici, come la classe operaia e la borghesia detentrice dei mezzi di produzione, vivevano in una società ad una dimensione. Per non parlare poi di quell’ampio ceto medio in cui non è facile distinguere il manager dalla sua segretaria. Uno dei libri più letti dagli studenti in quegli anni fu quello di Herbert Marcuse dal titolo, per l’appunto, “L’uomo ad una dimensione”, che conteneva un’analisi di queste tendenze della società post industriale.
E’ questo il contesto sociale e culturale nel quale si svolge uno dei tanti episodi di rivolta studentesca di quegli anni raccontato nel film e visto con gli occhi del suo protagonista, Simon.
Simon è un occhialuto studente appassionato di canottaggio che, tra un allenamento e l’altro, ha anche il tempo per fare una capatina all’università. Un giorno si trova coinvolto in uno sciopero degli studenti contro il rettore accusato di aver voluto speculare su un certo terreno destinato ai neri.
Durante l’occupazione del rettorato, Simon conosce Linda, una studentessa ideologicamente molto più impegnata ed agguerrita di lui. Per la sua tiepidezza ideologica, Simon è lasciato da Linda. Ma Simon non desiste e, pur non avendone piena consapevolezza delle ragioni, sposa la causa della rivolta studentesca per riconquistarla. Con Linda a fianco, Simon affronta assieme agli altri studenti la brutale carica della guardia nazionale e della polizia venute a sgomberare l’università.
Silvano Privitera

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