Le rivoluzioni culturali sono lente ed improbabili, in una società incattivita e mediocre lo divengono vieppiù.
Intendersi oggi sul ruolo dell’imprenditore nel nostro territorio è fondamentale, ammesso che gliene venga riconosciuto uno.
Alla definizione di “imprenditore innovatore” cara a Schumpeter va aggiunta, a mio parere, una connotazione di forte impegno sociale e culturale.
L’imprenditore compie innovazione d’istinto e permanentemente perché la trasformazione è parte della routine della sua azienda, è insita nel ciclo di modificazione dei suoi prodotti e delle sue offerte.
Un processo, questo, che ad un’analisi superficiale potrebbe apparire “interno” all’azienda, ma che, di fatto, grazie alle interazioni tra l’impresa, i suoi addetti, la società e le istituzioni, viene trasferito nel territorio.
Da tale travaso nelle società sane nasce la rete (concetto abusato ma di rara realizzazione), una collaborazione di pari inter pares, ma soprattutto , nasce una cultura strategica, una complementarietà di tutti i soggetti impegnati in una struttura economica e sociale che si prefigge il raggiungimento della qualità.
Fin qui il sogno.
In realtà, nel nostro territorio, la crescita a dismisura del terziario ed una forte frammentazione sociale hanno rafforzato il potere burocratico, storicamente rigido e conservatore.
Lo schema degli schieramenti in campo, pertanto, risulta chiarissimo: da una parte i burocrati, al centro i politici spesso schiacciati dal potere forte e, dall’altra parte, gli imprenditori, i commercianti, i liberi professionisti e gli addetti ai lavori, in una parola “i postulanti” visti come nemici, come avversari da combattere in un luogo immaginifico (l’ufficio pubblico) con le armi delle ciclopiche documentazioni da produrre, della caccia al tesoro delle competenze, quegli esasperanti rinvii, dei nullaosta imprendibili, della miriade di circolari contraddittorie tra loro, in barba a tutte le fantomatiche riforme di “alleggerimento delle procedure amministrative” e, per ritornare al microcosmo quartiere, a nulla vale la dimostrazione che alcune realtà territoriali, a volte consorziate, hanno abbandonato nella provincia di Enna l’antico costume dell’accattonaggio di denaro pubblico per tentare una proficua e pacifica collaborazione con gli enti preposti finalizzata al riscatto di un territorio da tempo comatoso.
Ma soprattutto, a nulla vale la considerazione che questa guerra è sterile e non produce frutti. Il pensiero della gran parte degli imprenditori, paradossalmente angosciati più dalle inadempienze amministrative che dalla grave recessione e costretti al mattino a fare il tour degli uffici, è che dietro le scrivanie siedano, reincarnati, i soldati del “Deserto dei Tartari”, schierati e compatti contro il nemico che non c’è.
Mai come in questo momento si rende indispensabile l’individuazione delle ragioni dell’altro, la riconciliazione degli interessi, il ripristino di quella solidarietà sociale che un tempo vedeva riconosciuti i ruoli e le dignità individuali e collettive, la nascita, insomma, di un nuovo, non nominale, patto per lo sviluppo del territorio.
Nietta Bruno
n.d.r.: Questo articolo è stato redatto il 6 marzo 2009 oggi è più attuale che mai.