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Castello Barresi di Pietraperzia

La storia del Castello di Pietraperzia prende inizio dall’anno 1060, quando al seguito del conte Ruggero il Normanno, arriva in Sicilia Abbo Barresi, conquistata l’intera isola, il conte volle ricompensare il suo fedele alleato donandogli alcune terre tra cui territorio di Pietraperzia e Sommatino.

La famiglia Barresi ebbe cariche e ruoli assai importanti nel corso della travagliata storia di Sicilia.
Quando Pietro d’Aragona sbarcò a Trapani (1282) per rivendicare la corona in nome della moglie Costanza, i Barresi Enrico e Giovanni divennero suoi alleati.
Alla morte del re Pietro d’Aragona (1296), tra i suoi due figli, Giacomo e Federico, scoppiò una cruenta lotta per il potere; in questa occasione i Barresi, si schierarono con Giacomo dalla parte degli Angioini, mettendo a disposizione dei Francesi i propri castelli tra cui anche il castello di Pietraperzia, che si dimostrò un baluardo imprendibile. Federico d’Aragona mandò contro i Barresi i migliori capitani del suo esercito, ma il castello di Pietraperzia resistette egregiamente a tutti gli assalti fino a quando venne espugnato per fame da Manfredi Chiaramonte; i Barresi allora furono mandati in esilio e le loro terre confiscate.
Con la pace di Caltebellotta ha termine la guerra; con questo trattato la Sicilia fu lasciata a Federico II il quale sposò Eleonora, figlia del re Angioino che divenuta regina, fece riabilitare i Barresi che ottennero la restituzione dei loro beni. Cosi nel 1520, Abbo Barresi, figlio di Giovanni entrava di nuovo nelle grazie di Federico II rimpadronendosi del castello e delle terre che erano state confiscate al padre.
Abbo Barresi abitò con la moglie a Pietraperzia ed iniziò la ricostruzione del castello. Alla morte di costui, l’edificio passò nelle mani del suo primo genito Artale , questi a sua volta lo diede al fratello Ughetto e cosi via di generazione in generazione.
Il maestoso Castello, che torreggia su una rocca addossata a Pietraperzia, fino ai primi anni del 1900, si era mantenuto quasi del tutto integro nelle sue diverse componenti architettoniche, poi vari terremoti e la colpevole incuria delle autorità competenti, lo ridussero a poco più di un rudere.
Lo sviluppo del castello avvenne in tre fasi successive, e completato nel 1526 dal marchese Matteo Barresi.
Il fronte nord, di 122 metri ed alto quattro piani, era suddiviso in tre distinte parti che rispecchiavano le diverse epoche di costruzione normanna, sveva e catalana.
Numerosissime erano le finestre, alcune delle quali offrivano all’interno, accanto agli stipiti, due sedili in pietra che invitavano a sedersi ad osservare lo stupendo panorama delle valli sottostanti.

L’edificio in origine racchiudeva un’area di circa 20.000 metri quadrati. Le mura si estendevano per 1.150 m ed in alcuni punti raggiungevano oltre 4 m. Lungo di esse si elevavano diverse torri e bastioni di cui non e rimasta traccia, ad eccezione dei resti di un torrione merlato detto “Corona del Re” e della Torre quadrangolare dell’ingresso, nonchè di alcuni bastioni a sud e a nord. Al centro, accanto alla “Corona del Re”, si erge il “mastio”. Questa struttura doveva servire come ultima difesa, era situato sopra la cima del colle ed in parte era stato ricavato nella viva roccia, costituendo così un inespugnabile baluardo di eccezionale robustezza . La porta d’ingresso al castello era rivolta a mezzogiorno, quella del mastio a nord-ovest; ad esse si poteva accedere dal cortile interno tramite gradini ritagliati nella roccia. Sotto al “mastio” sono ancora visibili i gradini, ritagliati nella roccia, che portavano alle prigioni sotterranee, ed alla torre della “Corona del Re”a base ottagonale. Una leggenda vuole che le stanze del castello fossero 365, quanti sono i giorni dell’anno; elevate su quattro piani, quante le stagioni dell’anno, esso aveva 12 torri, tanti quanti sono i mesi.
L’ingresso
Il portone d’ingresso al castello misura m. 2,20 di larghezza e m. 3,20 d’altezza. Un tempo sopra il portone vi era un bassorilievo raffigurante una scrofa che allattava i propri piccoli; a fianco dell’ingresso, a destra dietro il portone, si apre un camminamento scavato nella roccia che conduce agli ambienti sotterranei. Superato il portone, un androne in leggera salita, affrescato con stelle, soli e figure variamente dipinte entro formelle, conduceva alla seconda scala. Di fronte all’ingresso, in una nicchia, era affrescata una immagine della Madonna delle Grazie. Accanto alla nicchia, sulla sinistra prima d’iniziare la salita della seconda rampa di scale, vi era un’ampia sala interamente ricavata nella roccia che dovette servire come corpo di guardia e portineria. La seconda rampa di scale conduceva al Gran Cortile. Un lato della torre quadrangolare, posta davanti all’ingresso s’affacciava su questa scala, in cima alla torre, si trovavano una statua di S. Michele Arcangelo ed alcuni cannoni. I piani della torre erano tre: al piano terra vi erano le tombe dei signori del castello di cui non e rimasta traccia; al primo piano si trovava la chiesa di S. Antonio Abate ed al secondo piano vi era la residenza del cappellano.
Il cortile interno del castello
Una duplice scala decorata conduceva da una parte alla porta della Gran Sala, con arco normanno poggiante su un fascio di colonnine e dall’altra ad un ampio terrazzo su cui si affacciavano le stanze. La scala esterna del cortile che portava a tutti gli alloggi del castello, era prospiciente la parete rivolta verso mezzogiorno; Questa scala era suddivisa in tre tratti. Il primo conduceva ad un ripiano dal quale un secondo si dipartiva verso il gran Salone ed un terzo verso sud ovest, attraverso un terrazzo merlato detto “passaggio di ronda”. Questo scavalcava il portone d’ingresso al cortile ed era merlato su entrambi i lati. La parete di fronte all’ingresso era in blocchi di calcare bianco (travertino) squadrati con cura che mettevano in bella evidenza la grandissima finestra ed il portale d’ingresso agli alloggi del principe, in stile catalano. Lo Zodiaco, scolpito sopra questa finestra, era suddiviso nei dodici segni delle costellazioni; gli stipiti erano costituiti da due colonnine poggianti su zoccoli a scultura zoomorfa. Il portale che portava agli appartamenti del principe, pur conservando l’austerità dello stile della finestra, era ampio, spazioso e finemente scolpito. Sotto gli archi del cortile, vi erano gli ingressi alle scale ed i locali che ospitavano il personale del castello.
Tutte le mattine la principessa Donna Dorotea Barresi (1536-1591) veniva accompagnata dal suo seguito nella cappella di S. Antonio dove il cappellano celebrava la S. Messa. A questa cappella si arrivava passando per il terrazzo della “Gran Sala”; qui una scala conduceva ad una piccola loggia che s’affacciava all’interno della chiesa.
Una scala a chiocciola portava sulla cucula, sul “Puntale”. La “cucula” era un terrazzo situato sopra il tetto del corpo settentrionale dell’edificio dal quale si poteva dominare con lo sguardo tutta la vallata del Salso fino alle Madonie. In essa era sistemato l’osservatorio astronomico del principe Don Pietro Barresi definito “astrologo eccellentissimo”.
Il “Gran Salone” era compreso tra il cortile e gli ambienti nord del castello il soffitto della sala era in legno finemente scolpito con decorazioni in oro zecchino.
Nella “Gran Sala” primeggiavano gli stemmi della Sicilia, dei re, e delle famiglie nobili alle quali erano imparentati i Barresi-Branciforti. Le robuste travature del soffitto erano dipinte con bizzarre scene di caccia e vita agreste; vi si vedevano cacciatori a piedi ed a cavallo che ferivano con lunghe lance animali dalle forme grottesche. Nella Gran Sala, ricca di arazzi, il principe teneva la sua corte. Allo stesso livello del Salone si trovava l’appartamento del principe, costituito da quattro stanze, di cui tre dette “delle donne ” ed una detta “del custode”. Il portone “era pesante ed aveva le borchie in ottone.
La cinta muraria
Il castello è posto sulla sommità della montagna, costituito per formare sul lato nord verso Caltanissetta e la valle del Salso una immensa parete. Attorno al castello vennero alzate delle mura rafforzate da torrioni; i conci delle muratura erano disposti a raggiera ed intessuti da una robusta intelaiatura con mensoloni e beccatelli. In questa grande recinzione si aprivano alcune porte di cui non è rimasta traccia, ad eccezione di quella della Porta Palermo. I cantonali che serravano in un poligono irregolare i quattro lati del castello conferendo ad esso decoro e maestosità, furono alzati con grande sapienza costruttiva. I fronti maggiormente decorati erano quelli di sud-est. Su questo lato si aprivano grandi finestroni normanni simmetrici che, ravvivando il proprio aspetto con esili colonnine marmoree e sfruttando largamente l’elemento coloristico, offrivano allo sguardo stipiti ed archetti in pietra calcarea di grande effetto.Su questo stesso lato si apre la porta d’ingresso al castello preannunciata da un piccolo cortiletto sul quale si affaccia la torre quadrangolare e sul lato sinistro una bifora duecentesca. La rimanente parte del lato sud è di una rigida severità di opere di prospettive, ad essa fa seguito la zona corrispondente alla prima elevazione ormai scomparsa da secoli
Il prospetto orientale era arricchito da finestre in tipico stile normanno inframmezzate da colonnine, che illuminavano le numerose stanze interne, alcune delle quali ricavate nella roccia. Di  pregevole fattura erano i pilastroni del cortile e la finestra che sta di rimpetto al portone d’ingresso. 
Dal prospetto Nord, fino a qualche anno fa, si poteva ammirare una delle più belle vedute del castello. Sulla sinistra del complesso, sul lato nord-ovest, partendo dalla “Corona del Re”, si poteva un tempo osservare la parte normanna con il muro del “Mastio” e le bastionature di rinforzo delle mura. Accanto a questi resti, la parte trecentesca presenta ampie finestre di varia grandezza disposte asimmetricamente.
L’ultima parte della facciata, verso il cosidetto “Puntale”, è costituito dal coverticcio dell’armeria, una vasta sala con un’architettura regolare ed armoniosa, alla quale si affidavano armi di ogni specie. Le finestre di questo lato delle mura erano disposte su tre livelli ad eccezione di qualche piccola apertura al primo piano.
Nella facciata di sud-est si aprivano tre finestre di stile normanno. Questi tre grandi finestroni erano caratterizzati dall’abbondanza delle decorazioni e dei trafori che davano luminosità agli ambienti. Queste finestre andarono distrutte durante il terremoto del 1885, assieme ai delicati bassorilievi che esistevano dappertutto e fin nelle volte in legno, crollata la volta in legno di stile Normanno sul “Grande salone” sovrastante la zona del cosiddetto Carcere Civile.
            Durante l’occupazione normanna le opere difensive del castello, vennero consolidate. Si rinforzarono i muraglioni facendo assumere alla struttura una notevole imponenza. Oggi rimangono pochissimi resti di questa grandissima opera d’ingegneria militare: il “muraglione” e in condizioni tali da richiedere una immediata opera di consolidamento; i resti più imponenti si alzano accanto alla porta Palermo. I portali d’ingresso alla rocca erano due: quello situato a sud era sormontato da un bassorilievo in marmo raffigurante una scrofa che allatta i piccoli. Una torre merlata proteggeva questo ingresso rendendo cosi vano ogni tentativo di penetrare all’interno del castello; si accedeva ad essa mediante la scala del gran Cortile ricavata nello spessore del muro e parzialmente ancora superstite. Resti di mura si osservano ancora oggi di fronte alla torre che proteggeva l’ampio spazio ovest sul quale ora sono state erette alcune case. Il castello fondava la propria sicurezza oltre che sui diversi accorgimenti suggeriti dalla tecnica militare, sulla grande muraglia di prerecinzione che lo cingeva come un grandioso anello riducendo al minimo ogni pericolo di penetrazione esterna. Nel tracciarne i lati, era stata accuratamente sfruttata l’asperità del terreno roccioso che aveva permesso di creare, con tagli opportuni, delle pareti verticali assai difficili da scalare.
Cappella di S. Antonio Abate
La cappella di S. Antonio Abate era situata all’interno della torre quadrangolare posta all’ingresso del castello; la cappella era ad una sola navata e sfruttava lo spazio interno della torre; il soffitto era piatto con travature e cassettoni dipinti. L’altare era posto a destra dell’ingresso, dando così modo ai principi di assistere alle funzioni rimanendo appartati nei propri stalli collocati accanto alla porta che poneva in comunicazione la cappella con le stanze private. Sopra l’altare era affrescata sulla parete una Madonna della Catena a cui i signori erano molto devoti. Sopra la cappella vi era la “glorietta”, uno spazio che fungeva sia da sacrestia che da alloggio al cappellano.
Sulle pareti della chiesa di S. Antonio Abate vi erano degli affreschi che riproducevano: a) La fuga in Egitto della Madonna con il Bambino e S. Giuseppe; b) Adamo ed Eva nel paradiso terrestre; c) La maledizione di Adamo, seguita dalla cacciata di questi ed Eva dal paradiso terrestre da parte di Dio; d) La creazione del mondo. Per quanto riguarda la decorazione del soffitto, a cassettoni con travi dipinti in oro che rappresentavano fatti della Genesi.
Avvenimenti notevoli accaduti nel castello
Tra gli avvenimenti più significativi accaduti tra le mura del castello, un posto di primaria importanza spetta all’assassinio del marchese Matteo Barresi. Il marchese venne ucciso dal figlio Gerolamo per motivi banali. Tra padre e figlio non correva buon sangue; il marchese, uomo rigido, non aveva autorità sul figlio che non sopportava vincoli di alcun genere. La vicenda della morte del marchese di Pietraperzia va collocata in un contesto storico che vedeva l’affermarsi della prepotenza dei feudatari sostituitisi alla legge statale. Sotto questa luce i fatti che portarono alla morte di Donna Aldonza Santapau ed a quella del marchese Matteo Barresi acquistano una fisionomia ben precisa anche se dai contorni oscuri e foschi. Donna Aldonza, sorella di Don Ponzio, era stata strangolata per gelosia dal marito Giovanni Antonio Perio Barresi, barone di Militello, dopo che questi aveva giustiziato sommariamente il presunto amante della moglie Pietro Caruso, detto Bellopede. Giovanni Antonio Perio aveva sposato per amore la bellissima Donna Aldonza Santapau, figlia di Raimondo e sorella di Calcerando, Francesco e Ponzio.
Si narra che, mentre il marito si trovava a combattere nelle Fiandre per il suo re Giovanni d’Aragona, la bella moglie lo tradiva con il suo secreto Pietro Caruso; questi era un uomo ricco di fascino e di bontà, ma leale e devoto al suo signore e mai si sarebbe premesso d’intrattenere una relazione con Donna Aldonza. Egli, partecipava alla preparazione dei balli che organizzava la sua signora facendo venire dal vassallaggio dame e cavalieri, ma mai cercò tresche d’amore con Donna Aldonza. Ma i fratelli di Giovanni Antonio Perio Barresi, Niccolò e Luigi intessevano trame ai danni di Donna Aldonza perché questa non era disposta a dar loro più di quanto aveva stabilito dal barone suo marito. Così, un giorno sapendo che il loro fratello si trovava a Palermo, i due gli scrissero una lettera nella quale accusavano la cognata d’intendersela col suo secreto. Il barone, non appena terminato di leggere la missiva, chiamo i suoi sgherri e partì come una furia per Militello, deciso a punire col sangue l’infedele moglie ed il suo amante. Arrivata la notizia che il barone stava per giungere al castello, il secreto Bellopede, completamente ignaro delle accuse mossegli dai fratelli del signore, gli andò incontro per dargli il benvenuto e per metterlo al corrente di quanto era accaduto in sua assenza nei suoi vassallaggi. L’incontro avvenne a Palagonia, terra del barone, dove il barone decise di pernottare prima di affrontare l’ultima tappa del viaggio. Dopo la cena il barone convocò in privata sede Bellopede e brutalmente incominciò ad interrogarlo ed a minacciarlo di morte. Il poveretto, assolutamente estraneo alle colpe che gli venivano attribuite, non seppe far altro che professarsi assolutamente innocente. Non riuscendo a farlo confessare, il barone lo fece trascinare nel cortile del castello e legare ad un albero di pino; là, sorvegliato dagli sgherri, fu lasciato tutta la notte. L’indomani mattina, di buon ora, il barone si mise a cavallo e con pochi fidi arrivò a Militello, dove fu raggiunto la sera dai suoi uomini e dal povero Bellopede. Appena giunto, fece rinchiudere la moglie in una segreta del castello, poi continuò a far torturare il Bellopede, ma questi continuò a professarsi innocente. Non pago di tante atrocità, fece legare il povero secreto ad un cavallo che lo trascinò per le vie del paese. Giunto il cavallo davanti alla casa del secreto, il barone fece uscire la madre costringendola a ballare e cantare davanti al cadavere del figlio. Non sappiamo quanto ci sia in questa storia di vero. Il barone ordinò che quella sera a Militello non venisse acceso nessun lume; poi si ritirò nelle proprie stanze a meditare il misfatto che avrebbe compiuto di li a poco. La notizia di questa giunse ben presto all’orecchio del viceré che spedì subito a Militello un suo emissario con l’incarico di farsi consegnare dal barone Donna Aldonza perché questa venisse condotta al Monastero delle Benedettine di Catania e qui affidata alla Madre Badessa. Il viceré ingiungeva inoltre al barone di Militello di mostrarsi obbediente al volere regio e lo informava che, in caso contrario, sarebbe incorso nella pena capitale e nella confisca dei beni. Ma l’ordine di portare a Catania Donna Aldonza non giunse in tempo perché il marito, per mano di un sicario, aveva fatto strangolare la moglie. Il barone di Militello ed i suoi fratelli incominciarono ad essere minacciati dai Santapau. Il viceré allora, spedì un dispaccio ai Santapau ed ai Barresi nel timore che la vendetta potesse estendersi ad altri familiari ed ordinò al commissario Mirabella, d’impedire ai Santapau di vendicare la loro congiunta, pena la morte e la confisca dei beni. Ma mentre il commissario Mirabella si adoperava per istruire il processo contro Antonio Perio ed i suoi complici, Giovanni Ponzio Santapau, figlio primogenito di Raimondo tese un agguato mortale a Nicolò Barresi nel feudo di Picadaci, il delitto venne scoperto ed il giovane condannato; ciò accrebbe l’odio fra le due famiglie, tant’è che parecchi anni dopo Don Ponzio e suo fratello, Don Francesco misero in atto un piano tanto diabolico quanto astuto contro Don Girolamo, figlio di Don Matteo Barresi, cugino del barone Giovanni Antonio Perio Barresi. Il giovane venne accolto con ogni riguardo dalla famiglia Santapau e indotto ad innamorarsi di Donna Antonia Santapau figlia di Don Ponzio. Con cura si preoccuparono di mettere cattiva luce agli occhi del figlio il Don Matteo Barresi accusando questi di sperperare le ricchezze di famiglia nella ricostruzione di Pietraperzia e Barrafranca. Quando Don Girolamo fu vinto dall’amore per Donna Antonia e ne chiese la mano al genitore questi disse che avrebbe volentieri acconsentito a condizione però che Don Matteo Barresi desse il proprio consenso.
Don Girolamo tornò a Pietraperzia per chiedere al padre il permesso di sposare Donna Antonia; immenso fu il dispiacere di Don Matteo nell’ascoltare tale richiesta; questo accese dei furibondi contrasti fra padre e figlio inducendo quest’ultimo ad abbandonare Pietraperzia per fare ritorno a Licodia dove, poco dopo, sposò Donna Antonia, senza il consenso del padre. Grazie alla astuta regia di Don Ponzio , i rapporti tra Don Girolamo ed il padre continuavano ad essere pessimi, cosicché Don Girolamo, sobillato dal suocero, finì per far soffocare il padre nel sonno da due servi. Si cercò di celare il delitto, ma qualcuno informò dell’accaduto il viceré il quale ordinò un’inchiesta che portò all’arresto di Don Girolamo Barresi con l’accusa di parricidio. Sottoposto a tortura, confessò di avere ucciso il padre con la complicità dei servi, del suocero, il marchese di Licodia, del fratello di questi Don Francesco Santapau.
Per sottrarre il marchese Don Gerolamo Barresi alla mannaia, la farniglia si prodigò in tutti i modi. Offrirono alla Tesoreria dello Stato prima 6.000 ducati, poi arrivarono ad offrirne 50.000, ma senza alcun risultato. Non valsero nemmeno le pressioni fatte in alto loco. Il 13 febbraio 1556 Don Gerolamo Barresi veniva giustiziato nel piano del castello di Palermo. Si cercò cosi di interrompere una catena di vendette che rischiava di trascinare l’intera Sicilia in faide e soprusi di ogni genere. Ma la serie di lutti non fini con la morte di Don Gerolamo Barresi; nel castello se ne ebbero altri, anche se dovuti al caso, come quello dovuto alla morte del figlio di Don Girolamo, Don Pietro, colpito da un filmine mentre si trovava nella sua stanza assieme alla moglie Donna Giulia Moncada. La stanza nella quale avvenne la disgrazia fu chiamata “la stanza del tuono”.
Morto Don Pietro, gli successe la sorella Donna Dorotea. Questa nell’aprile del 1555, aveva sposato a Palermo Don Giuseppe Branciforte IV Duca di Mazzarino e Grassuliato. Rimasta vedova, sposò per motivi d’interesse Don Vincenzo Barresi e Branciforte, suo primo cugino, di 17 anni più giovane di lei. Dopo un solo giorno di matrimonio, Don Vincenzo misteriosamente morì.
Dopo appena cinque anni di vedovanza, Donna Dorotea si risposò con Don Giovanni Zunica, conte di Castiglia, ambasciatore del re Filippo II presso il papa Pio V, seguendolo a Roma presso la corte del papa, prima e a Napoli, dove questi venne nominato Viceré dal re Filippo II, poi. Nel 1582 si trasferirono in Spagna chiamati dal re dove, Donna Dorotea guadagnatasi la stima della regina, rimase dodici anni, Dopo la morte del marito, ammalatasi, Donna Dorotea volle ritornare nella sua Pietraperzia nel cui castello mori il 16 agosto 1591. Il figlio Don Fabrizio, le fece costruire un monumentale sarcofago che si trova tuttora nella chiesa Matrice: fece inoltre raccogliere tutti i ricordi della madre in una stanza del castello, la cui porta fece murare (1592). Con la morte di Donna Dorotea, cessa anche la vita del castello ed il suo splendore. I principi si trasferirono a Militello ed il castello venne affidato ai governatori.

 

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