Un filmato dalla introduzione accuratamente elaborata per consentire una diversa lettura dei riti e i culti che specificano le celebrazioni e le tradizioni della Settimana Santa a Enna, al commento musicale nel quale è recuperato l’uso corale dei lamenta tori, e testimonianze di fede, un attimo della storia della città ennese, sempre viva e palpitante nella celebrazione della sua Pasqua.
Video del Centro Video Mediterraneo di Enna relativi alla Settimana Santa e la Pasqua ennese.
Video del Centro Video Mediterraneo di Enna relativi alla Settimana Santa e la Pasqua ennese. Regia di Paolo Andolina
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STORIA DELLA SETTIMANA SANTA A ENNA
Da Papardura, oasi di pietà cristiana un tempo abitata solo dagli eremiti, alle ore 9,30 di Domenica delle Palme si inizia il ciclo delle celebrazioni della Settimana Santa ennese. I confrati della Passione rievocano l’entrata di Gesù a Gerusalemme e uno di essi, che impersona Cristo, monta su un asinello accompagnato dai dodici apostoli in costume mediorientale che lo precedono portando dei lunghi rami di palma. Percorrono i tornanti arroccati, giunti all’incrocio tra via Libertà, via Diaz e via IV Novembre, i protagonisti di questa rievocazione vengono accolti dalle rappresentanze delle Confraternite, che hanno inalberato i loro vessilli, dalla banda e tutto attorno la gente saluta agitando ramoscelli di ulivo.
Sulla piazzetta adiacente la chiesa di S. Sebastiano, la sagoma di un grande portale, vigilato ai lati da sentinelle col costume di soldati romani. Gesù sull’asinello e gli apostoli passano attraverso questa suggestiva cornice tra canti di osanna. Segue il rito della benedizione delle palme e degli ulivi e poi si compone una processione che passa da via Sperlinga, quindi percorre via Montesalvo, via Mercato, piazza Puccini e via Passione. Attraversando gli antichi quartieri sorti come insediamenti arabi, come quello della Mola. Il suono delle campane della chiesa di S.Leonardo annunciano l’arrivo della processione e sull’altare centrale il simulacro dell’Ecce Homo preannuncia la dolorosa passione di Gesù Cristo.
Alle 15,30, dalla chiesa di Montesalvo, ha inizio la processione alla quale partecipa il Collegio dei Rettori. I rettori e gli assistenti di tutte le confraternite, rispettando l’ordine delle precedenze, si recano, con le insegne, in duomo per l’adorazione del SS. Sacramento, solennemente esposto nell’ostensorio. Ogni terziglia (formata da un rettore con i relativi assistenti) ha una mantelletta diversa dalle altre e questo crea una ricca policromia: in questa occasione la città assume un’aria di particolare solennità. Al rullo dei tamburi, al suono delle marce funebri, che echeggiano e rimbombano per le strade strette e tortuose, sembra che il tempo si fermi; i confrati sembrano uscire da un antico affresco. La processione, dopo aver percorso via Montesalvo, via IV Novembre, via Libertà e praticamente tutta la via Roma, giunge in duomo, dove un sacerdote tiene la predica. Dopo l’adorazione del Collegio dei Rettori, inizia la tradizionale processione delle quindici confraternite, che dalla Domenica delle Palme sino al Mercoledì Santo, ad intervalli di un’ora l’una dall’altra, si recano in duomo.
Nella parlata ennese la confraternita viene chiamata “ura”, appunto per il predisposto orario in cui ognuna di esse giunge in duomo. Sino al 1860 i confrati passavano per le vie della città recitando delle preghiere, senza insegne e in forma penitenziale. Dall’anno successivo, invece, cominciò una gara di signorilità e le preghiere furono sostituite dalla banda cittadina che, intonando marce funebri, accompagnava le processioni. Adesso le confraternite procedono con le insegne abbrunate, con al vestiario tramandato dal costume spagnolo: un camice bianco, un cingolo ai fianchi, uno scapolare, la mantelletta colorata (in dialetto mantiglia dal termine spagnolo “mantillas”), i guanti bianchi, il cappuccio con la visiera abbassata e una corona di vimini in testa, che costituiscono la divisa. Le croci, le insegne, i lunghi lampioni, chiamati blannuna dal vocabolo spagnolo “blandon”, cioè cerone, sono portati in processione e disposti secondo un ordine che è tradizionale.
Alle 16,15 giunge in duomo, dalla chiesa di S. Giovanni, la Compagnia del Rosario, fondata nel 1785. Questa confraternita ha un passato abbastanza travagliato. In essa rivive l’antica Compagnia dei Bianchi, istituita come organo del Sant’Uffizio spagnolo nel 1542. Compagnia dei Bianchi era chiamata anche quella del SS. Sacramento perché portava la stessa divisa. Le due confraternite, sorte con scopi diversi, finirono col fondersi una prima volta nel 1732. I confrati, che appartenevano solamente al ceto nobiliare, assistevano i condannati a morte durante il trapasso e ne curavano la sepoltura. Divisesi nel 1754, si riunificarono lo stesso anno, eleggendo la propria sede presso la vecchia chiesa di S. Giovanni. Nuovi dissidi sorti tra le due congreghe portarono ad una nuova scissione il 9 maggio 1763(14). La Compagnia dei Bianchi fu sciolta nel 1782, anno in cui fu abolito il Sant’Uffizio; ricomparve tre anni dopo con l’attuale denominazione di Compagnia del Rosario ed ebbe sede presso la chiesa di S. Domenico, l’attuale parrocchia di S. Giovanni Battista. Nuovamente sciolta nei primi anni del 1900 è stata ancora una volta ricostituita nel 1932. Nel corso di queste movimentate e frequenti scissioni, soppressioni e ricostituzioni, il vestiario è cambiato rispetto a quello originario, che è invece rimasto identico per i confrati del SS. Sacramento. Infatti, il bordo rosso della mantelletta color latte e la fascia, anch’essa rossa, sono stati sostituiti, il primo con uno di colore marrone scuro, e la seconda con un cingolo nero. Inoltre, il camice non è più aperto davanti con bottoni rossi, ma a sacco, e dal collo pende un medaglione raffigurante la Madonna di Pompei tra S. Domenico e S. Caterina. La stessa effige, scolpita su legno, sormonta l’insegna del Rettore.
Alle 17 un’altra antica congrega, la Compagnia della Passione, si reca in duomo, percorrendo, dalla chiesa di S. Leonardo, la via Passione, piazza Pulcini, via Mercato e la via Roma. La Compagnia della Passione fu fondata il 7 febbraio del 1660 e registrata con atto notarile presso il notaio Sebastiano Nicolosi. Il 3 maggio dello stesso anno fu approvato lo statuto dal vescovo di Catania, il 22 novembre 1661, dal viceré di Sicilia e, sette giorni dopo, dal vicario generale, mons.Ignazio D’Amico. Inizialmente la Compagnia ebbe sede presso la chiesa omonima. Il primo rettore fu Carlo Gallina e i primi due assistenti Angelo Di Gangi e Tommaso Cammarata; assistente spirituale fu don Carmelo Seminatore, parroco di S. Leonardo. La Compagnia era composta da soli trentatre uomini, poiché trentatre erano stati gli anni di Cristo, e poteva farvi parte solo chi, essendo cattolico e di buona morale, era capace di aiutare i poveri con cristiana carità, da vivi, e seppellirli da morti. Nei primi decenni del XVIII secolo, crollata la chiesa della Passione, la Compagnia si trasferì nella chiesa parrocchiale di S. Leonardo, e alcuni anni dopo si fuse col Collegio di S. Vite, fondato nel 1612 con lo scopo di curare il culto del Santo e di elargire elemosine. La divisa dei confrati della Passione è caratterizzata dalla mantelletta rosso scarlatto con a sinistra l’effige dell’Ecce Homo; il bianco camice è stretto a vita da un cingolo intrecciato con filo bianco e rosso. Un tempo venivano usate calze rosse e sandali neri. La principale attrattiva della Compagnia della Passione, quando si reca in processione, è costituita dai “Misteri”, cioè dagli oggetti principali che furono intorno a Gesù dall’Orto de-gli ulivi alla Deposizione. Disposti su vassoi, questi oggetti vengono portati dai confrati seguendo un ordine preciso. La Compagnia della Passione compiva la sua ora di adorazione il Martedì Santo alle 10; dal 1970, invece, il suo turno è stato spostato a domenica, giorno in cui viene celebrata l’entrata di Gesù in Gerusalemme. Nel corso di questi secoli di vita, la Compagnia della Passione ha acquisito privilegi regali, quali il diritto di precedere tutte le confraternite nelle processioni, di scortare l’urna del Cristo morto nella processione del Venerdì Santo, di reggere le aste del baldacchino. Quest’ultimo privilegio era state dapprima concesso solamente per il Venerdì Santo, quando viene portata in processione la Croce Reliquiario. Più tardi, quando si sciolse la Compagnia del SS. Sacramento, a cui spettava l’onore del baldacchino nelle benedizioni, per il Corpus Domini e per l’Ascensione, la Compagnia della Passione si accaparrò anche queste privilegio.
Alle 18, dalla chiesa del Carmine, le donne del Terzo Ordine dei Carmelitani si recano in duomo.
Alle 19, dalla chiesetta del SS. Salvatore, l’omonima confraternita completa la prima giornata di adorazione, percorrendo la via Salvatore, via Portosalvo, via S. Francesco da Paola, scendendo sino in piazza Duomo per la via Roma. Questa confraternita è la più antica fra tutte; infatti fu fondata nel 1261 nel periodo svevo e fu un organo dei Basiliani che si stabilirono nella vecchia chiesa del SS. Salvatore. Fu dapprima un’associazione che riuniva gli agricoltori e i contadini. Più tardi ebbe tra gli affiliati i doganieri e i dazieri che prestavano servizio nei pressi della chiesetta, poiché è poco distante dalla vecchia entrata di Portosalvo. Nel 1550 fu aperta al culto la chiesetta che tuttora esiste, e in quegli anni fu costruito il nuovo chiostro dei fratelli Basiliani; di quest’ultimo ci restano due delle colonne che circondavano il giardino. Nel 1696 la confraternita ebbe nuovi ordinamenti, mentre già nel 1672 era stato concesso ai confrati l’onore di portare a spalla l’urna del Cristo morto nella processione di Venerdì Santo. Una storia dettagliata della chiesa e della confraternita, in cui sono annotati anche atti di compravendita e di donazioni, ci è pervenuta da un antico manoscritto risalente al XVI secolo. Esso è chiamato “La Giuliana” e viene conservato negli archivi della confraternita. La mantelletta dei confrati è di colore giallo intenso con a sinistra la rossa croce di Malta; la stessa si ripete sullo scapolare, del colore della mantelletta, adottato nel 1955 poiché prima di allora i confrati portatori dell’urna del Cristo morto indossavano solamente il camice bianco.
LUNEDI SANTO
Sono quattro le Confraternite che il lunedì Santo si recano in Duomo per la loro ora di adorazione. La mattina, alle ore 11, dalla chiesa di Montesalvo, percorrendo l’omonima via, via Mercato e quindi tutta la via Roma, la Confraternita di Maria SS. della Visitazione, meglio conosciuta con il nome di “Nudi” o “Ignudi”, si reca in duomo. La confraternita fu fondata il 20 aprile 1874 dal parroco priore don Carmelo Savoca, per rendere giuridicamente valida l’antica congregazione che riuniva i portatori della “Nave d’Oro” nella processione del 2 luglio col simulacro della Patrona, e fu approvata dal vescovo di Piazza Armerina, mons. Saverio Gerbino, nove giorni dopo. Il Papa Pio IX, il 25 aprile del 1875, con una sua bolla aggregò la Confraternita alla Pia Unione del Sacro e Immacolato Cuore di Maria Vergine SS. che ha sede presso la chiesa di S.Lorenzo in Lucina a Roma. Il 14 febbraio 1935 fu fondata, dal vicario generale della Curia Foranea mons. Angelo Termine, la Pia Unione Figli di Maria SS. della Visitazione con lo scopo di divulgare il culto della Patrona e di suffragare i defunti. Questa confraternita viene chiamata dei “Nudi” o “Ignudi”, perché la prima volta che il simulacro di Maria SS. della Visitazione giunse in Enna, il 29 giugno 1412, fu collocato su un carro e portato a spalla dagli agricoltori che accorsero dalle campagne vicine dove mietevano e trebbiavano. Essi indossavano solamente un pezzo di stoffa che fungeva da perizoma a coprire le loro nudità. Nel XVII secolo, il priore don Vincenzo Grimaldi Petroso stabilì il nuovo vestiario composto dal camice a sacco suddiviso in due parti con i bordi merlettati, la mantelletta color azzurro tenue e il tipico scapolare di nastro con ricamata la effigie della Madonna.
Alle 16, dalla chiesa di S. Agostino muove la Confraternita di Maria SS. delle Grazie che percorre la via Candrilli, la via Mercato S. Antonio e la via Roma giungendo al duomo. Questa istituzione religiosa fu fondata nel 1835 e riuniva ben tre congregazioni che si trovavano nello stesso quartiere. Esse erano: il Collegio di S. Nicola da Bari che risale al 1608 e che curava la sepoltura dei poveri nel vicino cimitero, la Congregazione di S.Monica degli Agostiniani fondata nel 1660, e la Compagnia di Maria SS. della Cintura. Nel periodo a noi più vicino, questa confraternita è stata sciolta più volte; infatti fu ricostituita una prima volta nel 1934 e successivamente decadde per la scarsa cura degli amministratori. Finalmente nel 1970 riebbe uno statuto e fu riorga-nizzata. La loro divisa è composta dal camice bianco, un cingolo nero e la mantelletta color rosa pallido.
Alle 17, dalla chiesa di S. Tommaso è la volta della Compagnia del SS. Sacramento. Questa congregazione ebbe dei precedenti burrascosi. Fondata nel 1687 presso la chiesa del SS. Sacramento, che si trovava dietro l’abside del duomo, ebbe più volte divergenze con l’organo ufficiale del Sant’Uffìzio. Demolita la chiesa del SS. Sacramento, si trasferì presso l’oratorio della Madonna di Loreto che aveva sede dove adesso sorge la chiesa di S. Francesco da Paola e si unì con la Confraternita di Maria SS. del Rito fondata nel 1600. Sciolta negli ultimi anni del XIX secolo, fu ricostituita nel 1935. I confrati indossano ancora l’antica uniforme, ripresa da quella dei Bianchi. A sinistra della mantelletta dal bordo rosso c’è lo stemma ovale con a rilievo un ostensorio, simbolo dei SS. Sacramento. La Compagnia del SS. Sacramento ha il privilegio di chiudere la processione del Corpus Domini.
Alle 19, dalla chiesetta della Donna Nuova l’omonima Confraternita si reca processionalmente in duomo, percorrendo la via Trieste, la via Legnano, piazza Neglia e la via Roma. Anche questa è tra le più anche istituzioni ennesi. Fu fondata nel 1531 da Lorenzo Mirabella barone della Mendola che nel 1526 aveva profuso i suoi averi per fare ricostruire una nuova chiesa sui ruderi della vecchia chiesuola della Madonna del Soccorso. A questa confraternita potevano aderire solamente i proprietari di mulini e i cernitori di farina. Accanto alla chiesa vennero costruiti altri locali, tra cui un sanatorio, che per la sua posizione isolata da nuclei abitati, venne usato come luogo di quarantena per i convalescenti di peste. I confrati di Maria SS. la Donna Nuova assistevano gli ammalati, e per tale servizio la confraternita ebbe privilegi dai re di Spagna e attestati di benemerenza andati perduti insieme agli arredi della chiesa durante il bombardamento del 13 luglio 1943. La mantelletta è di colore celeste; sotto di essa uno scapolare e una fascia dello stesso colore, con due risvolti a nappe che pendono dal lato sinistro.
Un tempo nella giornata del Lunedì Santo altre istituzioni religiose si recavano per l’ora di adorazione in duomo. Esse erano: i Reverendi Padri Riformati, la Pia Unione Figlie di Maria, l’Associazione Donne Cattoliche, le Parrocchie di S. Giovanni Battista, S. Tommaso, S. Cataldo e S. Agostino, l’intero Capitolo della Collegiata Chiesa Madre e il Collegio di S. Pietro. Quest’ultimo collegio, fondato nel 1581, aveva sede presso la chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Ad esso aderivano i mugnai, i panettieri e i pastai. Lo statuto del Collegio prescriveva ai confrati di vendere i loro prodotti tutti i giorni dell’anno nel cortile della chiesa, di cui ancora oggi si vede sulla via Roma il muro di cinta. Gli utili ricavati venivano destinati all’acquisto di beni comuni. Ai poveri bisognosi veniva distribuito un medaglione di rame con l’effigie dei Santi Pietro e Paolo, esibendo il quale, ogni martedì, potevano ritirare gratuitamente il vitto per una settimana. Durante la Quaresima dalle finestre del cortile venivano distribuite delle corde penitenziali che i fedeli mettevano al collo. Nel giorno di Pasqua queste corde venivano poste in un braciere acceso, mentre le campane suonavano a festa.
Il rettore del collegio veniva scelto tra i più stimati elementi della categoria. Egli aveva il privilegio di recarsi con alcuni confrati presso le carceri di via S. Girolamo, nel giorno del 29 giugno, festa dei due Apostoli, per distribuire ai carcerati e ai custodi un tipo speciale di pane con la “giugiulina” (sesamo) in cui erano stampigliati i due Santi. In questa occasione, il rettore aveva la facoltà di liberare un condannato a qualsiasi pena; questi veniva accompagnato a casa se concittadino, o alle porte della città se forestiero. Hanno rivestito l’incarico di rettore del Collegio di S. Pietro don Giuseppe La Monica nel 1761, don Salvatore Alongi nel 1786, don Antonio Benedetto Gervasi nel 1801. Il Collegio è stato sciolto nell’ultimo dopoguerra.
Il Martedì Santo, alle ore 11, dalla chiesa di S. Leonardo la nuova Confraternita del SS. Crocifisso di Pergusa si reca in duomo. Essa è stata fondata nel 1973 per iniziativa di coloro che organizzano, in seno alla parrocchia del lago di Pergusa, la festa del “Signuruzzu du Lacu”. Il vestiario riproduce in ogni particolare quello che viene usato dalle “confradias” spagnole. Indossano un camice con un vistoso colletto, mentre le maniche si presentano svasate e con orli gialli. Su di esso uno scapolare rosso che è lungo quanto il camice, una fascia blu con le risvolte a frange pendenti dal lato sinistro, un artistico crocifisso di bronzo che pende al collo da un cordoncino bianco. Questa è l’unica confraternita che non usa mantelletta e che, al posto del tradizionale cappuccio a visiera in stoffa, utilizza quello rigido a punta e in panno.
Alle 16, dalla chiesa di S. Bartolomeo giunge in duomo la Confraternita dello Spirito Santo, percorrendo piazza S. Bartolomeo, via Mercato e via Roma. Costituita nel 1800, riuniva gli agricoltori e i massari della zona di Fundrisi. Aveva sede presso la vecchia chiesa dello Spirito Santo. Tutti i documenti che potevano attestare legalmente la costituzione di questa confraternita furono distrutti durante un incendio che si sviluppò all’interno della chiesa. Dal 1805 la Confraternita dello Spirito Santo presenzia alla “Spartenza” della Domenica in Albis. La mantelletta è di colore amaranto; sul camice una fascia verde, con due risvolte a nappe, pende dal lato destro. I guanti sono pure di colore verde. Sulla mantelletta c’è l’effige dello Spirito Santo che, con la simbolica colomba, si ripete anche sull’insegna del rettore.
Alle 17, dall’attuale piazza Neglia, si muove l’Arciconfraternita delle Anime Sante del Purgatorio. Fu istituita il 9 ottobre del 1615 dal parroco della chiesa di S. Bartolomeo don Giacomo Pregadio, che proprio in quell’anno aveva voluto ingrandire la sua chiesa parrocchiale e far costruire una cappella dedicata al culto delle anime da redimere dal Purgatorio. Il 7 febbraio del 1616 il vescovo di Catania, Bonaventura Secusio approvò il primo statuto della Confraternita. Poco tempo dopo, con lettera inviata alla Santa Sede, si richiedeva al pontefice Paolo V di aggregare questa istituzione alla Compagnia della Morte di Roma. Tale privilegio fu concesso con bolla papale il 22 agosto del 1616 e da allora i confrati delle Anime Sante del Purgatorio godono delle stesse intercessioni e indulgenze dei confratelli romani e si fregiano dello stesso emblema: il teschio con due ossa incrociate. Nel 1626 il Papa Urbano VIII arricchì la Confraternita di privilegi spirituali. Essendo in età molto avanzata il parroco Pregadio, con testamento stilato presso il notaio Carlo Planes l’11 giugno del 1665, lasciò ogni suo avere alla Confraternita. Avendo necessità di ingrandire la cappella, visto soprattutto che essa si trovava al capo estremo della città, i confrati decisero di acquistare un appezzamento di terreno vicino la parrocchia di S. Tommaso per costruire il nuovo oratorio. Il parroco di questa chiesa, don Francesco Lambadura dei conti Fidotta, chiese l’autorizzazione al vescovo di Catania mons. Ottavio Branciforte e i lavori ebbero inizio il 15 gennaio del 1671. Vent’anni dopo, il 26 aprile 1691, con testamento stilato presso il notaio Giacomo Bruno, il parroco Lambadura lasciò tutti i suoi averi alla Confraternita col compito di amministrarli e di celebrare giornalmente una messa in suffragio delle anime del Purgatorio. Rendite di questo genere arricchirono notevolmente la Confraternita: i terreni venivano dati in gabella e, in media, il reddito registrato era di trentadue ducati, che costituivano, per quei tempi, una considerevole rendita. Negli archivi della Confraternita, infatti, sono conservati numerosi fascicoli di ingiunzioni a carico degli affittuari morosi. Nel 1712 la congrega fu onorata dal viceré di Sicilia dei titoli di Venerabile e Lata e da allora fu chiamata Arciconfraternita. Nel periodo risorgimentale è nota l’attività patriottica dei suoi confrati. Tra essi vanno ricordati i baroni Castagna, i conti D’Ajala, i marchesi di Terrasena, i baroni Rosso, i baroni Varisano, i baroni Pollicarini, i marchesi Geracello. Per questo suo passato l’Arciconfraternita delle Anime Sante del Purgatorio è intesa, per antonomasia, come quella dei nobili. Il rettore aveva il privilegio di liberare tre condannati a qualsiasi pena, nel giorno del 2 novembre. Nell’archivio della congrega si possono leggere alcuni documenti in cui viene riferito che il 2 novembre del 1716 il Monsignore Governatore dell’Arciconfraternita don Antonio Piazza, in pompa magna e in forma rituale, si recò presso la cappella della Pietà, l’attuale chiesa della Addolorata, per graziare tre condannati a morte che dovevano essere giustiziati all’alba. Uno degli scopi della congrega era quello di accompagnare sul luogo del supplizio i condannati a morte e assisterli durante il trapasso e il lunedì successivo all’esecuzione il rettore presenziava alla messa in loro suffragio. Per questo motivo l’Arciconfraternita era nota anche con il nome della “Buona Morte”. Solamente il 26 settembre del 1771 i confrati si rifiutarono di adempiere a questo compito perché il condannato, il nobile Francesco Carnazza, accusato di aver ucciso lo zio, il priore Melchiorre Grimaldi, non era reo confesso. Toccò allora alla Compagnia dei Bianchi adempiere questo mesto dovere. Altro privilegio molto importante, che tuttora possiede l’Arciconfraternita, è quello dei mazzieri, decretato il 6 dicembre del 1789 dal re di Spagna Carlo IV di Borbone: con questo documento veniva imposto al Comune di cedere per il Mercoledì Santo (il giorno in cui originariamente la Congrega si recava in adorazione in duomo) e il Venerdì Santo, le mazze d’argento con gli stemmi municipali. I mazzieri, che una volta vestivano mantelli rossi di velluto damascato, una livrea di pizzo bianco, una ricca parrucca sul capo e guanti bianchi, calzettoni rossi e le scarpe di vernice con fibbie di argento, reggevano queste mazze e aprivano ogni corteo e processione. Oggi invece, i Mazzieri delle Anime Sante del Purgatorio vestono un camice bianco a sacco, un lungo scapolare nero e un ampio mantello, anch’esso nero, con a sinistra lo stemma ricamato del teschio con le due ossa incrociate. Sul capo portano il cappuccio a visiera e la corona di vimini. Il vestiario dei confrati, davvero lugubre, è caratterizzato dal predominante colore nero; neri sono la mantelletta, lo scapolare, il cingolo con due nappe pendenti dal lato destro, la corona di rosario composta da dieci sfere con alla fine una croce e un teschio di legno verniciato, i guanti, i pantaloni, le calze e le scarpe. Un tempo potevano essere accolti tra i confrati delle Anime Sante del Purgatorio solo i medici, gli speziali, i professori e gli uomini di vera fede. Tra i rettori più illustri, il prof. Morgana, che in tempi a noi vicini ha fatto rivivere attraverso l’Opera di S. Vincenzo de’ Paoli la tradizionale assistenza ai carce-rati.
Alle 19, dal Santuario di S. Giuseppe parte la processione del collegio di questa chiesa. Fondato nel 1580 dai confratelli del Transito del Patriarca, e ricostituito nel 1933, riunì il Collegio della Passione di S. Giuseppe fondato nel 1509, il Collegio di S. Apollonia costituito con atto del notaio Geronimo Spina il 26 febbraio 1557 (Procuratori don Giovanni Battista Marzullo e Biagio Cammarata), la Confraternita di S. Girolamo e S. Apollonio istituita nel 1516. I confrati del Collegio di S. Giuseppe hanno il privilegio di portare la Madonna che nel giorno di Pasqua si incontra col Cristo Risorto nella ricorrenza della tradizionale “Paci” per poi dividersi, sette giorni dopo, durante la “Spartenza”. La mantelletta dei confrati, che è damascata, è di colore verde oliva. Fino ad alcuni decenni fa, completavano il ciclo di adorazioni del Materdì Santo le parrocchie di S. Biagio, S. Leonardo, S. Bartolomeo, S. Pietro, l’Associazione Figli di Maria SS. della Visitazione, la Congregazione dei Carmelitani, l’illustrissimo Senato cittadino. Quest’ultimo era formato dai sessanta seniori che sino al 1759 partecipavano alla processione montando a cavallo, e che partendo dalla vecchia chiesa di S. Giovanni (che sorgeva allora dove oggi hanno sede gli uffici comunali) pervenendo in piazza Duomo, lasciavano i cavalli agli staffieri ed entravano pregando in chiesa.
Il Mercoledì Santo è l’ultimo giorno in cui le confraternite si recano in duomo per l’ora di adorazione. La prima a muoversi è quella del Collegio di Valverde che dalla chiesa percorre via Valverde, piazza S. Giorgio, piazza S. Agostino, via Candrilli e via Roma. Nel Collegio di Valverde, fondato negli ultimi anni del 1700 e ricostituito nel 1935, rivive l’antica società segreta dei Cavalieri della Torre. Più tardi, abbandonati gli scopi patriottici, il Collegio si dedicò solamente a scopi religiosi. La tradizione vuole che proprio nella zona di Valverde, S. Pancrazio predicasse ai “fullones”, che lungo le rive del torrente Torcicoda coltivavano la canapa e il lino. Si suppone che qui sia sorta la prima comunità cristiana ennese. Infatti, la Madonna di Valverde fu la prima patrona della città ed è per questo che sull’insegna del rettore compare lo stemma turrito. Le mantellette dei confrati sono di colore verde intenso a ricordo dei rigogliosi campi attigui alla chiesa, mentre il cingolo è intrecciato con filo bianco e verde.
Alle ore 10,30 dalla chiesa di S. Maria del Popolo, percorrendo la via Vittorio Emanuele e la via Roma, la Confraternita del Sacro Cuore di Gesù si reca in duomo per la consueta adorazione. Fondata nel 1839 dai fratelli Termini, riuniva la categoria dei minatori e degli zolfatai. Ebbe sede ìnizialmente presso la chiesa di S. Paolino, l’attuale chiesa dei Cappuccini che si trova al cimitero. In seguito, i confrati decisero di trasferirsi dapprima nella chiesa di S. Chiara e più tardi, nel 1957, trasformata quest’ultima in Sacrario dei Caduti in guerra, nella chiesa di S. Maria del Popolo, dove tuttora ha sede la confraternita. Il vestiario comprende una bellissima mantelletta in pregiato tessuto rosso damascato, con a sinistra un cuore dipinto; il cingolo è composto da due nappe intrecciate con filo bianco e rosso. Originariamente il camice dei confrati del Sacro Cuore di Gesù aveva la coda come quelli dell’Addolorata e dell’Immacolata.
A mezzogiorno in punto dalla chiesetta dell’Addolorata muove la sfilata dell’omonima confraternita che è la più spettacolare processione dei primi quattro giorni della Settimana Santa. I confrati incappucciati, di ogni età, dai più piccoli ai più grandi, con le code dei camici che strisciano per terra, percorrono quel tratto di strada compreso tra via Ree Pentite e la Chiesa Madre. La processione, preceduta da una schiera di bambini vestiti da angioletti o da monachine, si snoda compatta formando uno spettacolo suggestivo per la gente che si sofferma ai lati di via Roma. Ogni confrate rispetta rigorosamente il vestiario, dallo scapolare ai pantaloni, alle calze, dalle scarpe ai guanti neri, al camice bianco caudato, alla mantelletta di colore viola, alla corona del rosario di sette poste che pende dal lato sinistro, al cingolo a nappe intrecciato con filo bianco e nero che pende dal lato destro. A sinistra della mantelletta c’è uno stemma ovale raffigurante un cuore trafitto da una spada e circondato di spine. Invece, i confrati che portano il fercolo dell’Addolorata, il Venerdì Santo, non indossano la mantelletta, ma una fascia viola con due risvolte a frange pendenti dal lato esterno e, dal lato interno, la corona di rosario, mentre sul nero scapolare c’è al centro lo stemma col cuore dipinto, questa volta trafìtto da sette spade. La Confraternita di Maria SS. Addolorata fu fondata il 28 luglio 1875 dal canonico don Gaetano Cristadoro, inteso più familiarmente Patri Cartuni. Il primo statuto fu approvato dal vescovo di Piazza Armerina, Saverio Gerbino, nel corso di una sua visita pastorale ad Enna. Successivamente la confraternita fu aggregata al Terzo Ordine dei Pii Servi di Maria, che ha sede a Roma, con diploma del Generale Fra’ Pier Francesco Maria Testa, il 14 ottobre 1882. Facevano parte di questa Confraternita gli artisti, ovvero i mastri artigiani, i muratori ed, eccezionalmente, i bottegai del Mercato S. Antonio, che secondo una dichiarazione scritta del 1847 portavano il fercolo di Maria SS. Addolorata prima che fosse costituita la confraternita. La sede era presso la cappella della Pietà, che anticamente era annessa alle prigioni dove venivano incarcerati i condannati a morte prima di essere giustiziati. In questa cappella c’era il quadro della Madonna Addolorata che, recentemente restaurato, fa mostra sulla facciata del campanile. Col passare del tempo, le prigioni cambiarono destinazione e i vasti locali del tetto a volta furono adibiti a magazzini di derrate alimentari che qui venivano concentrate, dopo la sosta daziale obbligata di Portosalvo. Uno dei bottegai del mercato, che aveva accumulato ricchezze, diede inizio ai lavori della nuova chiesa che risale alla fine del XVII secolo. Alla sua morte lasciò ogni avere a don Giuseppe Ribis che portò a termine la costruzione. Questi era chiamato Mezza Missa perché destinava metà delle offerte che riceveva per la celebrazione di messe alla nuova chiesa in costruzione. Alla morte del Ribis ogni bene fu affidato a dei fidecommissi, che verso il ‘700 delegarono un sacerdote che, oltre alle cure spirituali, si occupava anche della amministrazione. Don Matteo Planis continuò l’opera dei suoi precedessori e nel 1744 fece costruire il campanile dalla cupola in stile arabo e in ceramica policroma. Sul finire del XVIII secolo, un non meglio identificato artista ennese, Luigi Felice, eseguì il simulacro della Vergine Addolorata. Il lavoro è in cartapesta e ciò nonostante ancora oggi è ottimamente conservato. Lo scopo di questa confraternita è quello di tenere desto e incrementare il culto dell’Addolorata, avvicinare gli iscritti all’Eucarestia e celebrare messe in suffragio dei confrati defunti. II rettore, con tutta l’amministrazione, viene eletto ogni tre anni. Il privilegio di portare il fercolo viene conferito dalla amministrazione secondo l’ordine di anzianità di “professione” dei confrati e trasmesso di padre in figlio. A causa del notevole numero di confrati, un uomo con una casacca gialla con due strisce verticali di colore viola, ordina le file della processione. Questi è il cosidetto ‘massaru’ meglio conosciuto con il nome di ‘cacciacani’ perché anticamente aveva il compito di allontanare dalla processione gli animali randagi che circolavano numerosi per le strade.
Alle 12 30 anche l’ultima confraternita raggiunge il Duomo è la Compagnia di Maria SS. Immacolata che ha sede presso la chiesa di S Francesco. Fondata nel 1754 e approvata nel 1785, riuniva due confraternite che sino a quel periodo avevano svolto una solerte attività. Esse erano: la confraternità “delli ordigeri” fondata nel 1400 e il Collegio di S. Orsola sorto nel 1613; tutte e due avevano sede presso l’antica chiesa di S.Orsola dove oggi sorge l’albergo Belvedere. I confrati dell’Immacolata hanno, come quelli dell’Addolorata, i camici caudati, per cui la bianca coda viene trascinata a terra durante la processione. La mantelletta e di color bianco latte con dei bordi celesti; celeste è anche lo scapolare e una fascia con due risvolte a frange pendenti dal lato sinistro, mentre a destra c’è una corona di rosario.
Un tempo completavano le ore di adorazione del Mercoledì Santo la parrocchia di S. Leone, i reverendi Padri Cappuccini, i Conventuali e il Real Corpo Militare. Durante il periodo borbonico quest’ultimo vi partecipava a cavallo. Nel 1713 le truppe, dopo aver giurato fedeltà a Sua Maestà Vittorio Amedeo, si recarono in chiesa. Nel 1812 parteciparono le rappresentanze dei reggimenti Val di Noto, Val Demone, Val di Mazzara, la Legione Italica e il Trentunesimo Britannico. Le truppe erano accompagnate dalle bandiere abbrunate dei vari corpi e dai tamburi, circondati da fasce nere. Precedeva gli squadroni il generale Duca della Floresfa con lo Stato Maggiore. Gli ufficiali portavano una fascia nera al braccio sinistro e i soldati marciavano con i fucili rovesciati.
Alle ore 13 viene celebrata la Messa solenne di reposizione dell’eucarisitia. E mentre in duomo si svolge la messa, i confrati del Sacro Cuore di Gesù e dell’Addolorata si recano tradizionalmente presso le osterie vicine per la cosiddetta taverna dove consumano pasti tutt’altro che frugali. Terminata la messa cantata, il SS. Sacramento viene posto nell’ostensorio d’oro per la benedizione. Quest’opera di alta oreficeria fu cesellata dal palermitano Salvatore Mercurio nel 1735. E’ alto 84 centimetri e il diametro massimo (alla raggiera) è di 39 centimetri. E’ di stile barocco. La raggiera, che porta in rilievo gemme e smalti posti all’interno come una nube, è sorretta da un angelo con le ali spiegate. Le gemme e gli smalti si ripetono sul fusto in tre sezioni che simboleggiano la Fede, la Speranza e la Carità. Sul piedistallo ci sono delle miniature in smalto che ripetono i motivi eucaristici: il grano e l’uva. I colori degli smalti e delle gemme sono disposti armoniosamente così da far risalire le tonalità chiare su fondi scuri e viceversa.
La benedizione avviene sotto il portale di S. Martino, poi l’ostensorio viene portato in processione percorrendo la piazza Mazzini, la via Orfanotrofio, la via Bagni e la via Roma, rientrando in duomo dalla porta centrale. A questa processione partecipano le confraternite della giornata con le visiere alzate e i vessilli inalberati. Con questa cerimonia termina la prima parte della Settimana Santa alla quale hanno partecipato in forma ufficiale tutte le confraternite.
Altre istituzioni religiose esistevano ad Enna, poi sciolte con le famose leggi del 1860 e degli anni seguenti, e mai più ricostituite. Esse erano: il Collegio di Maria Maddalena, fondato nel 1630 con lo scopo di alloggiare i pellegrini, per cui esisteva una attrezzata locanda dietro la chiesa sita in via Grimaldi; la Congregazione della Misericordia, istituita il 15 novembre 1610 ed avente sede presso la chiesa di S. Antonio “de la Plaza”, il cui scopo era quello di trasportare dal proprio domicilio gli ammalati poveri ai luoghi di cura; la Confraternita di S. Eligio, costituita nel 1670, che aveva sede presso la chiesa del Santo, in via Vittorio Emanuele e aveva Io scopo di diffondere il culto di S. Eligio e che riuniva i mulari e i cavaddari che nelle processioni partecipavano a cavallo; il Collegio di S. Sebastiano, fondato il 4 giugno 1630 da don Giacomo Colajanni, che volle istituire, con atto presso il notaio Leonardo Longis, una dote di maritaggio per le donne povere, ricavandola dal fìtto delle sue terre. Dei Collegi di S. Onofrio, S. Agata, S. Teresa, S. Nicolo e S. Antonio del Cretario o Critazzu si sconoscono la data di fondazione, gli scopi e l’anno in cui furono sciolti. Altre quattro istituzioni religiose: l’Opera Turno della Sera del 1626, l’Opera degli Agonizzanti del 1703, l’Opera 40 Ore, fondata da don Arrigo Grimaldi nel 1690, e la Congregazione di Carità, svolsero un’attività prevalentemente religiosa, promuovendo l’officiatura di sante messe.
La sacra rappresentazione che viene fatta la sera del Mercoledì Santo nasce nel 1981 per opera del frate Salvatore D’Antona, parroco della parrocchia del “SS. Crocifisso” di Pergusa, coinvolgendo fin dall’inizio l’attuale rettore della confraternita del “SS Crocifisso”, che hanno deciso di prendere spunto da una rappresentazione simile alla stessa che si svolgeva a Cianciana (AG). Fra Salvatore s’impegnò a tal punto da riuscire a coinvolgere tutti gli abitanti del villaggio di Pergusa i quali si improvvisarono attori. Da quel giorno la rappresentazione è andata in scena fino ai giorni odierni migliorandola con varie modifiche sia di personaggi che di scenografie. Alcuni dei personaggi, che recitarono alla prima rappresentazione, continuano a dare il loro contributo ancora oggi per la buona riuscita della sacra rappresentazione. Invece, gli attori che da fanciulli cominciarono facendo comparse di modesto rilievo, oggi recitano il ruolo di personaggi di rilevo e svolgono anche mansioni organizzative.
Nei primi anni la manifestazione si svolgeva in tutto il territorio pergusino, dal Villaggio del Fanciullo al villaggio Gescal fino a giungere nella parte più alta di Pergusa, dove era stato improvvisato un Calvario.
Successivamente per motivi vari la rappresentazione si è concentrata nella piazza antistante la Chiesa, concludendosi al Calvario, che il comune di Enna ha edificato dietro la tribuna dell’autodromo, grazie ad una donazione del terreno. Per i pergusini (volgarmente detti: i lacari) la sacra rappresentazione è vissuta in prima persona con sentita fede, poiché vengono rivissuti i momenti più importanti della passione e morte di Gesù che trasmette altresì agli spettatori, in particolare durante la crocifissione, momenti suggestivi e commoventi. Per tal motivo fin dall’inizio tale rappresentazione rappresenta uno dei momenti principali nel cammino di preparazione alla Santa Pasqua.
Nelle chiese parrocchiali si effettua la consueta lavanda dei piedi. Il parroco rievoca con dodici ragazzi l’episodio del Vangelo in cui Gesù lavò i piedi degli Apostoli. Il Giovedì Santo è interamente dedicato ai “Sepolcri”. Questa tradizione molto antica consiste nell’addobbare con sfarzo gli altari delle chiese e collocare in artistici tabernacoli e urne di varie forme l’Eucarestia in estensione, che rappresenta Gesù nel sepolcro. Ogni chiesa, grande o piccola che sia, ha il suo “sepolcro”, che viene visitato dai fedeli, dal primo pomeriggio sino a tarda notte. Veri e propri pellegrinaggi si snodano per le vie che portano alle chiese, poiché è tradizione visitare almeno tre “Sepolcri”. Dal Giovedì Santo sino al sabato mattino le campane restano mute. Nel lontano 1871, però, accadde che alcuni ladri cercarono di forzare il portone del monastero di S. Marco. Le suore fecero in tempo ad accorgersene e a dare l’allarme suonando a stormo le campane, senza badare al fatto che era Giovedì Santo. Nei primi anni del 1900 gli ennesi si recavano anche in piazza S. Francesco per ascoltare la banda musicale che suonava dal palco i “responsori”, musiche funebri composte da maestri ennesi. Nella cappella musicale del duomo si conservano ancora gli spartiti dei maestri Francesco Chiaramonte, Giuseppe Coppola, Vincenzo Ragusa e Antonio Pregadio. Di quest’ultimo, che fu il maggiore esponente di questo tipo di musica, ci restano i responsori del Mercoledì Santo del 1858, del Giovedì Santo del 1859 e del Venerdì Santo, a quattro voci, del 1871 e 1879. Elemento comune a tutte le processioni è la banda musicale che precede ogni confraternita, intonando marce funebri. Le marce sono in tutto diciannove, raccolte in un libretto e numerate progressivamente. L’effetto suggestivo della processione del Venerdì, Santo è strettamente legato alla musica suonata dalla banda. Le composizioni migliori e, al tempo stesso, le più eseguite sono: “A mio Padre”, composta dal Maestro Paolo Di Dio nel 1956. E’ tra le marce base, dal tono pacato e tipicamente ondulatorio. La prima parte è in fa minore e maggiore, la seconda parte in re bemolle maggiore. Per la sua tonalità cadenzata è la più adatta ad essere suonata quando il fercolo dell’Addolorata esce dalla propria chiesa. Dura poco più di cinque minuti. “Una lacrima sulla tomba di mia figlia” del Maestro Velia. E’ indubbiamente la più bella e musicalmente più impegnata. La tonalità è in re minore. Inizia con un assolo di clarini, flauti, quartini ed ottavini che si ripete due volte. Ne esce una musica contenuta, corale e soprattutto commovente, specie nel primo e nel secondo ritornello. La parte finale è un continuo crescendo. In queste note tirate e struggenti c’è tutto il pathos di un’atmosfera colma di dolore e di mestizia, quale quella del Venerdì Santo. Tutta la marcia dura quasi cinque minuti. “Piano Eterno” del Maestro Quadrano, è la marcia più lunga e ha un inizio corale che si ripete per ben tre volte nel corso degli otto minuti e mezzo di durata; la sua tonalità è in si minore. Pur essendo una composizione breve, ripetuta più volte, riesce anch’essa molto apprezzabile e notevole, specie nel veloce passaggio di trombe e filicorni. “A mia Madre” del Maestro Paolo Di Dio, composta nel 1948, tra le marce del Maestro Di Dio questa è la migliore e senz’altro la più sentita. Fu scritta nel giorno della morte della madre per dare sfogo al suo dolore. Nel primo ritornello c’è un motivetto che la madre cantava spesso al marito; la tonalità è in mi bemolle nella prima parte, in la bemolle nella seconda. La durata della marcia è di sei minuti.
Intorno alle 19,00 inizia la solenne processione con le confraternite in corteo l’una dietro l’altra in ordine di fondazione. Migliaia i fedeli lungo il percorso ad osservare in rispettoso silenzio il passaggio dei confrati e dei due fercoli, quello del S.S Salvatore e quello dell’Addolorata portati a spalla dai confrati delle omonime congreghe, che chiudono il corteo. Segue il Clero, mentre sotto il baldacchino viene portata la croce reliquiaria contenente la Spina Santa.
Momento intenso della lunga processione è la benedizione della Spina Santa al cimitero dove viene impartita la solenne benedizione, al termine il lungo corteo riprende la marcia lungo la Via S. Francesco d’Assisi e la caratteristica Via Vittorio Emanuele, quindi ripercorre la Via Roma, la Via Mercato S. Antonio per giungere al Duomo dove la solenne processione ha termine. I due fercoli fanno rientro nelle loro chiese di appartenenza; mentre le altre confraternite si sciolgono e fanno rientro nelle loro chiese per riporre le insegne.
L’origine della processione del Venerdì Santo a Enna è alquanto incerta. Si può comunque ipotizzare che fu istituita nel tardo Seicento quando le Confraternite, originariamente fondate quali corporazioni di ceti, arti e mestieri, vennero trasformate in associazioni religiose e quando gli usi e i costumi degli spagnoli s’imposero nella Sicilia dei viceré. In passato, il percorso della processione del Cristo morto e dell’Addolorata ha subito delle variazioni, dovute alle trasformazioni urbanistiche della città. Oltre cinquant’anni fa, nel 1954, il cambiamento più radicale: il tragitto fu allungato di un paio di chilometri. Per la prima volta, infatti, per raggiungere la chiesa dei Cappuccini al cimitero, venne percorsa tutta la via Roma (tratto piazza Balata, S. Tommaso, Passo Signore compreso), la via Libertà e il viale Diaz, arteria urbanizzata nell’immediato dopoguerra. Prima di quella data la processione era molto più breve e, se vogliamo, ancor più tradizionale. Dopo l’avvio della processione dal Duomo, all’altezza del Municipio, “La Passione”, la confraternita capofila, svoltava per via Vulturo e, percorsa la piazza Vittorio Emanuele lato S. Francesco, imboccava via S. Agata, quindi via Kamut, piazza Tremogli, via Vittorio Emanuele e la via S. Francesco d’Assisi, per raggiungere la chiesa cimiteriale dedicata a S. Paolino vescovo, edificata dai Frati Francescani dell’ordine dei Cappuccini nella seconda metà del cinquecento. Dopo la benedizione con la Croce dov’è custodita la reliquia della ”Spina Santa” ( tradizione vuole che uno degli aculei che facevano parte della corona di spine di Gesù sulla croce, sia giunta ad Enna con i frati cappuccini, e inserita nella croce d’argento che fu commissionata dalla giovane principessa Emilia Grimaldi di Santa Caterina, che nel 1733 la regalò al tesoro del Duomo, con la clausola che fosse portata ogni anno in processione il Venerdì Santo), la processione prendeva la via del ritorno. Si snodava lungo la caratteristica via Vittorio Emanuele, la Balata, la via Roma, la via Mercato S. Antonio e infine raggiungeva la Madrice, da dove era partita, percorrendo l’ultimo tratto di Via Roma. Nel 1960 una petizione popolare firmata dagli abitanti del rione “Popolo” fece naufragare sul nascere una decisione presa a maggioranza dal Collegio dei Rettori, che stabiliva, per quell’anno, di non “passare” dalla via Vittorio Emanuele ma di privilegiare il Corso Sicilia e la via S. Agata. A “scìata ò pùpulo” ebbe naturalmente partita vinta, in nome della tradizione. Per ben due volte, nel 1968 e nel 1969, il percorso venne allungato fino ad arrivare al Santuario di Papardura dove era stato allestito, in una grotta naturale, un Sepolcro molto suggestivo, ancora esistente. La novità fu accolta favorevolmente dalla maggioranza dei fedeli, ma non da tutte le Confraternite. La riuscita e la spettacolarità della processione furono favorite da una splendida serata. L’anno successivo, nel 1969, venne ripetuta ma la nebbia, la pioggerellina e soprattutto il vento di quel Venerdì Santo imperversarono così tanto che, per proteggere la statua della Madonna, due confrati durante il percorso dovettero salire sulla “Vara” per reggere il Simulacro. In quello stesso anno fu organizzata una processione rimasta unica nella storia della Settimana Santa ennese: quella del Sabato Santo che riportò il solo simulacro dell’Addolorata al santuario di Papardura, in visita presso il sepolcro di Cristo.
Nel primo pomeriggio del Venerdì Santo, in duomo si legge e si medita il Passio Domini, un lungo e particolareggiato passo del Vangelo suddiviso in sette parti. Questa è la nota funzione che prende nome di rito delle tenebre. Dopo, i canonici della Collegiata Chiesa Madre sfilano scalzi, lungo la navata centrale, indossando la lunga cappa color viola, col cappuccio e la coda che striscia per terra, e l’ermellino bianco sulle spalle, soffermandosi tre volte e genuflettendosi, rievocando così le tre cadute di Gesù prima di arrivare sul Calvario. Giunti all’altare maggiore, adorano il Crocifisso, che sino al giorno precedente era rimasto velato. Un tempo venivano sistemate, lungo la navata centrale, numerose sedie l’una sull’altra, e poi, ad un segnale convenuto, fatte cadere per simulare il boato del terremoto. Alle 17 una banda musicale va a rilevare, dalla chiesa di S. Leonardo, la Compagnia della Passione e, man mano al suo passaggio, tutte le altre confraternite, eccetto quelle del SS. Salvatore, dell’Addolorata e di Maria SS. della Visitazione. La processione giunge alla chiesetta dell’Addolorata dove tutti i confrati, entrando per il portone che da sulla via S. Girolamo, compiono un atto d’omaggio alla Vergine Addolorata, che è già sulla vara (come viene chiamato in dialetto il fercolo sul quale viene collocata la statua). La Confraternita dell’Addolorata è l’ultima a disporsi ed è quella che chiude il lungo corteo. Il momento culminante: la vara, sormontata dalla cupoletta di velluto viola, si affaccia sotto l’arco del portico della chiesa, mettendo in mostra ogni particolare del ricco fercolo che richiama alla memoria quello della “Macarena” di Siviglia, mentre la banda intona contemporaneamente una delle marce. La statua della Vergine Addolorata appare col capo leggermente reclinato a sinistra e il volto atteggiato ad un’espressione di angoscia e di dolore. Questa statua della Vergine Addolorata rivela chiaramente i propri sentimenti attraverso l’espressione angosciosa del volto il capo leggermente reclinato a sinistra; le mani non sono giunte, come nelle statue tradizionali della Madonna, ma aperte, l’una, la destra, come a volere trattenere il cuore trafitto dal dolore, la sinistra, invece, protesa in avanti, in direzione del volto, nell’atto di stringere il fazzoletto usato per asciugare le lacrime. Le occhiaie sono incavate dal pianto, le pupille puntano verso l’alto, lo sguardo non è ne accigliato ne assorto, ma pieno di sofferenza, quasi assente. Le gambe non sono rigide, ma accennano leggermente a piegarsi, mentre la bocca semiaperta sembra volere smorzare un gemito di dolore. Il busto della statua è interamente ricoperto di ex voto, mentre al collo c’è uno splendido collare d’argento con dentro una preziosa reliquia. Il fercolo percorre l’intero mercato S. Antonio, le cui botteghe sono tutte illuminate. Non è difficile intravedere persone che piangono al passaggio della Madonna, ravvivata a tratti dalle ultime luci del pomeriggio. Superato il santuario di S. Giuseppe, il fercolo appare con maggiore realismo, portato a spalla dai confrati con un passo tipicamente ondulatorio che fa ondeggiare l’ampio manto di velluto nero che avvolge la Madonna, nonché le merlature e le lampadinette della nicchia. In duomo c’è l’urna del Cristo morto che i confrati del SS. Salvatore hanno precedentemente portato dalla loro chiesetta percorrendo la via Salvatore, via Portosalvo, via Tre Palazzi, scendendo per via Roma. L’urna è un monumentale lavoro di raffinata e pregiata ebanisteria. E’ di legno massiccio, finemente scolpito e laminato in oro zecchino. Agli angoli, quattro angeli con le grandi ali spiegate vegliano il corpo di Gesù composto all’interno e visibile attraverso i vetri che lo racchiudono. Il corpo del Cristo è naturalmente adagiato su un materassino di raso e sul cuscino posa delicatamente il capo insanguinato dalla rude corona di spine; i capelli e la barba incolti, gli occhi e la bocca lievemente socchiusi. Le braccia sono distese con le palme delle mani aperte e poggianti sul dorso. Il perizoma bianco avvolge la parte mediana del corpo, con le gambe non rigide ma leggermente piegate. La parte superiore dell’urna è chiusa da vetri triangolari che formano una base dalla forma estremamente originale, sormontata da quattro semiarchi ben intagliati che convergono al centro dove c’è un artistico fregio su cui s’innalza una croce. Prima di questa urna, che risale al 1935, ne esisteva una molto più piccola e leggera. Era portata nelle processioni del Venerdì Santo da quattro confrati del SS. Salvatore, vestiti da ebrei, chiamati in dialetto ]udii, che erano di aspetto veramente terrificante. Essi rappresentavano Giuseppe d’Arimatea che indossava una lunga veste viola e su di essa c’era un mantello nero, mentre sul capo portava un turbante; Nicodemo, vestito con gli stessi abiti di Giuseppe d’Arimatea e che portava una fluente barba; S. Giovanni, con un camice bianco, una stola a tracolla e un mantello nero. La barba e i capelli erano biondi e su di essi c’era un diadema. La Maddalena, infine, vestita di nero con le trecce brune e scomposte. Le varie confraternite si sono intanto disposte fuori dalla Chiesa Madre secondo l’ordine delle precedenze. La prima è la Compagnia della Passione che con i “Misteri” apre la processione, preceduta da una banda musicale e dal coro dei ‘mbriachi (ubriachi) che cantano i lamintanzi, che rievocano la passione di Gesù. Seguono poi, in ordine di fondazione più recente, la Confraternita del SS. Crocifisso di Pergusa, il Collegio di Valverde, la Compagnia del SS. Sacramento, la Confraternita di Maria SS. delle Grazie, il Collegio di S. Giuseppe, la Compagnia del Rosario, la Confraternita di Maria SS. Addolorata, la Confraternita di Maria SS. della Visitazione, la Confraternita del Sacro Cuore, la Confraternita dello Spirito Santo, la Compagnia di Maria SS. Immacolata, l’Arciconfraternita delle Anime Sante del Purgatorio, la Confraternita di Maria SS. la Donna Nuova e infine la Confraternita del SS. Salvatore. Numerose divergenze sono sorte nei decenni scorsi sull’ordine delle precedenze. Una vertenza sorta tra le Confraternite di Maria SS. Addolorata e della Donna Nuova fu addirittura risolta dalla Congregazione dei Riti che nel 1941 decretò ai confrati dell’Addolorata la legittimità di precedere il loro fercolo nella breve processione che parte dalla chiesa del Mercato S. Antonio per giungere in Duomo. I confrati della Donna Nuova sostenevano invece che spettava a loro questo privilegio in quanto la loro Confraternita era la più antica tra quelle che accompagnano in Duomo il fercolo dell’Addolorata.
Alla processione del Venerdì Santo partecipa anche il clero al completo mentre, sotto il baldacchino, viene portata la Croce reliquiario che, secondo la tradizione, contiene al centro, in una casella di vetro, un pezzetto della croce e della spina della corona di Gesù. Questa croce è in argento ed è un pregevole prodotto dell’oreficeria siciliana del XVI secolo. Fu donata al tesoro del duomo il 13 marzo 1733 dalla nobildonna Emilia Grimaldi, principessa di S. Caterina, che vi fece sistemare la reliquia donata dai frati Cappuccini, impegnando la Collegiata della Chiesa Madre a far giungere sino al cimitero la processione del Venerdì Santo. La croce porta incisi nei bracci ramoscelli e fiori che girano leggiadramente alternandosi a festoni dorati. La parte inferiore, che è a punta di spada, viene innestata in un candeliere che ripete gli stessi motivi della croce. La base del candeliere, lavorata a bulino, presenta, cesellate, arpie dalle grandi ali e dagli artigli marcati. La Croce reliquiario precede nella processione l’urna del Cristo morto e il fercolo dell’Addolorata che avanzano ondeggianti sulle ali della folla che assiste silenziosa, e chiudono la processione che si snoda per oltre due chilometri. Tutti i confrati, con le loro mantellette multicolori, sono con le visiere abbassate, dai cui fori si intravedono appena gli occhi.
Nel silenzio della sera si ode chiaramente lo stropiccio dei piedi dei confrati che portano in mano torce a vento accese. Accompagnati dalle marce funebri e dal rullo dei tamburi, i portatori del fercolo dell’Addolorata avanzano a passi cadenzati, come avessero la preoccupazione di rendere più lieve alla Vergine questo triste e doloroso percorso dietro l’urna del Figlio morto. La processione che si snoda lungo l’intera via Roma e la via Libertà, per alcuni anni è giunta presso il santuario di Papardura dove veniva impartita una solenne benedizione con la croce reliquiario. Questa benedizione è avvenuta, sino al 1969, presso la chiesa di S. Paolino, al cimitero. Anticamente si giungeva a questa chiesa percorrendo la via Roma, via Vulturo, via S. Agata, via Kamuth, piazza Tremogli e via Vittorio Emanuele. Accade spesso che, la sera del Venerdì Santo, il tempo è poco clemente: vento, nebbia e pioggerellina accompagnano quasi sempre l’intera cerimonia. Ciò non impedisce, però, la sentita partecipazione dei confrati e della gente. Alcune vecchie cronache riferiscono che nel 1782 la neve era tanto alta che nessuna processione esterna potè effettuarsi. Nel 1798 durante la processione del Venerdì Santo si levo un vento cosi forte da sembrare un ciclone, tanto che la processione fu interrotta e tutti dovettero rifugiarsi nella chiesa di S. Cataldo; al vento segui una tempesta di grandine per cui nessuno potè andare a casa sino al mattino seguente. Nel 1831, mentre era in corso la processione, fuggirono dalle prigioni del Castello di Lombardia cinque detenuti a pene gravi, mentre, nel 1812, per cause imprecisate, scoppiò una fabbrica di petardi e si ebbero parecchi feriti e due morti. Al ritorno, tutti i confrati alzano la visiera. Questa tradizione risale al 1860, anno in cui la polizia borbonica si vendicò del più eclatante smacco dei patrioti ennesi. La processione dopo aver percorso il viale Diaz, giunge al cimitero, nella cui chiesa viene impartita la benedizione con la Croce reliquiario. I portatori dell’urna del Cristo morto e del fercolo dell’Addolorata, entrati i due simulacri nella stessa chiesa, si riposano soffermandosi nel piazzale antistante. Dopo questa breve sosta, la processione riprende seguitando per la via S. Francesco d’Assisi e la via Vittorio Emanuele. In quest’ultima via, stretta ma tanto caratteristica, si può vedere quanto sia veramente sentita la partecipazione degli ennesi a questa tradizione. I balconi che si affacciano in via Vittorio Emanuele sono tutti illuminati con apposite lampadine, la gente vi sta in ginocchio, e non pochi di quanti vedono passare il fercolo dell’Addolorata, cercano di sfiorarne il tetto, quasi per una loro particolare devozione. Superata la chiesa di S. Cataldo, i portatori si avvicendano nei cambi per favorire l’incedere della processione: è così che i più alti di statura passano per ultimi e i più bassi passano nei primi posti delle aste dei simulacri. Risalendo per la via Roma, nonostante la tarda ora, una folla resta a veder ritornare la processione. La processione arriva così in duomo dopo esser passata dalla via Mercato S. Antonio ancora illuminata dalle abbaglianti luci delle botteghe addobbate con fiori. Poi, l’urna del Cristo morto viene riaccompagnata nella propria chiesa, mentre il fercolo dell’Addolorata, preceduto da tutte le confraternite, come i parenti e gli amici dopo il funerale, fa ritorno per la via Roma alla chiesetta del Mercato S. Antonio, dove praticamente finisce la processione del Venerdì Santo. Ai portatori vengono offerti biscotti, vino e fave bollite.
Tra il XVII e il XVIII secolo erano due le processioni del Venerdì Santo
Non una, ma due erano le processioni che si effettuavano il Venerdì Santo ad Enna. A partire dal 1643, si ritiene si svolgesse una cerimonia religiosa la mattina del giorno dedicato alla sepoltura di Gesù, denominata “La discesa della Croce”, che prevedeva un “offizio innanzi a Pilato”. Ce ne dà notizia Rocco Lombardo a seguito di ricerche i cui risultati confluiscono nel volume “La Chiesa di S. Cataldo” (ed. Il lunario, Enna, 1994). Si trattava di una vera e propria rappresentazione teatrale itinerante “con una grandiosa e scenografica festa” organizzata dai Rettori della chiesa di San Cataldo. La cerimonia si svolgeva lungo la strada del Popolo (l’attuale via Vittorio Emanuele), con partenza dalla chiesa parrocchiale, “situata al piano della Balata”, con sosta nella chiesa di Santa Maria del Popolo dove veniva celebrato il citato “offizio”; la processione si concludeva a Santa Maria delle Grazie, nella chiesa del convento dei frati Cappuccini, dedicata anche a San Paolino, presso l’attuale cimitero. Si apprende da fonti storiche che grande era la partecipazione di popolo a questa scenografica “festa” che precedeva quella pomeridiana del Cristo morto e dell’Addolorata con partenza dal Duomo lo stesso giorno del Venerdì Santo. Si hanno notizie certe dello svolgimento annuale di questa sacra rappresentazione allorquando, nel 1674, “le invidie e le gelosie dei rettori della Chiesa Madre […], soliti a frequenti liti” sfociarono “a vere e proprie dispute”. Don Vincenzo Spina, in quel tempo parroco e rettore di S. Cataldo, fu indotto “ad inviare una ‘esposizione’ al Vicario di Castrogiovanni” per dissuaderlo – con motivazioni circostanziate – “dall’ impedire, su istigazione del priore della Matrice, detta funzione”, dallo “spogliare detta chiesa parrocchiale della sua quieta e pacifica processione”, pena il ricorso “all’illustrissimo monsignore Vescovo di Catania”. Il tentativo del Vicario e del Priore della Matrice fallì, tant’è che nel 1753 si hanno ancora tracce dello svolgimento di quella Sacra Funzione che sopravvisse per oltre un secolo. Una cosa è certa: la chiesa di S. Cataldo, in quel tempo, quasi gareggiava in sfarzo con la Chiesa Madre, suscitando così l’invidia dei Rettori del Duomo. Tante sono state le controversie intercorse tra le Confraternite in quei secoli passati. Le processioni costituivano, allora, la rappresentazione civile e religiosa della città e “la composizione dello stesso sacro corteo indicava alla comunità l’allegoria della struttura gerarchica della società”. L’ordine delle precedenze nelle processioni sono state, da sempre, oggetto di dispute. Una vertenza sorta tra le confraternite dell’Addolorata e della Donna Nuova fu addirittura risolta dalla Congregazione dei Riti che nel 1941 decretò ai confrati dell’Addolorata la legittimità di precedere il Fercolo della Madonna nella breve processione, che parte dall’omonima chiesa per giungere al Duomo, nel giorno del Venerdì Santo. Di tale vertenza ci dà notizia Rino Realmuto nel suo libro “ La storia della Settimana Santa e delle Confraternite di Enna” edito nel 1975 con i tipi della Tea Mazzone, Palermo.
Ad ogni stazione la processione si soffermava in preghiera e si recitava il formulario della Via Crucis ai piedi delle steli raffiguranti la Passione di Gesù. Adesso si pensa di ripristinare la processione che in questi ultimi anni non si è più svolta. Infatti, oltre ad essere una manifestazione religiosa, completa la Settimana Santa dal punto di vista rievocativo (presso il santuario di Papardura è stato ricavata in una grotta lo spaccato simile a quello esistente in Palestina, nel cui sepolcro fu sepolto Gesù Cristo).
La sera del Sabato Santo, a mezzanotte in tutte le chiese si celebra la messa di Resurrezione.
In duomo, dopo la benedizione del fuoco e dell’acqua per i fonti battesimali, si celebra una messa solenne. Al Gloria viene fatta cadere la grande tela che sovrasta l’abside dell’altare maggiore, lasciando così vedere la statua del Cristo risorto.
Ogni anno per la Settimana Santa si rinnovano ad Enna tradizioni e costumanze che trovano le loro radici profonde in ritualità risalenti a diversi secoli fa. Sicuramente è il momento più suggestivo per visitare Enna.
Le confraternite convergono da ogni punto della città, le strade accolgono la toccante e suggestiva rappresentazione della Passione di Cristo.
Suggestive sono le sfilate variopinte dei confrati che dalla Domenica delle Palme al Mercoledì Santo si recano al Duomo cittadino per la rituale ora di adorazione così sentita da connotare la vita delle confraternite nella stessa denominazione di “Ore” loro popolonamente attribuite.
L’emozione che accompagna i cortei dei confrati, dalla variopinta divisa di spagnolesca memoria, raggiunge il culmine il Venerdì Santo in occasione della Processione del Cristo Morto e dell’Addolorata che avanzano nei loro fercoli dorati risplendenti dei riverberi di mille luci.
Il silenzio raccolto e corale è sublimato dalle commoventi note di cadenzate marce mentre quasi tremila confrati ripercorrono mestamente antichi tragitti rischiarate dalle tremole fiammelle di migliaia di candele.
Anche se sono cadute in disuso l’accorato canto delle “lamentanze”, la “Discesa della Croce”, l’allestimento delle luminose “piramidi” e la mostra di scene evangeliche legate alla Passione artisticamente delineate, la Processione del Venerdì Santo ennese mantiene intatto il suo fascino di totale adesione, mistica e coinvolgente, a cerimonie ispirate da una fede profonda e devozione sincera.
Le processioni della Settimana Santa a Enna con le confraternite degli incappucciati che sfilano in un’atmosfera di pietà popolare e suggestione spirituale, crea momenti di grande religiosità che puntuale annualmente si ripete.
E’ impossibile risalire con esattezza all’anno in cui ebbe inizio la prima processione. Quasi certamente furono gli spagnoli, nel XVI secolo, a importare dalla madrepatria i costumi, l’atmosfera e la ritualità.
I confrati, tutti incappucciati creano una particolare atmosfera. Il corteo passa attraverso la gente, cala un silenzio attonito, i passi lenti, esaltano una scenografia di dolore. Collettivamente viene vissuto un profondo senso del sacro, solo il lamento doloroso delle musiche processionali, scritte da musicisti locali, rompe il raggelante silenzio.
Dalla Domenica delle Palme al Mercoledì Santo le Confraternite si recano in processione al Duomo, ognuna nel giorno e nell’ora stabilita, secondo le tradizioni che si tramandano ormai da oltre quattro secoli, per compiere il momento di adorazione Eucaristica.
La confraternita, intesa come istituzione civile e religiosa, ognuna era un organo di potere che partecipava all’amministrazione dei beni pubblici con specifici compiti e determinati privilegi. Alcune di esse si fregiavano dei titoli di Venerabile, Regale, Nobile, che Papi e Sovrani elargivano con munificenza regale. Nel 1860 furono emanate dal regno d’Italia delle leggi con le quali venivano sciolte le confraternite; furono in seguito trasformate in associazioni esclusivamente religiose.
Particolare attenzione viene rivolta il giorno del Venerdì Santo a chi assiste alla processione ai Misteri, che contribuiscono ad imprimere nella memoria momenti così intensi che solo il Venerdì Santo sa suscitare. Dalla chiesa di S.Leonardo la Confraternita della Passione porta, secondo un ordine ben preciso lungo le due file, dei vassoi con i simboli che fanno rivivere il sacrificio di Gesù. Sul lato sinistro: la lanterna che guidò i soldati ai Getsemani, la spada con cui S.Pietro taglio l’orecchio di uno dei soldati, un guanto che vuole significare le mani di Ponzio Pilato, la corona di spine poste sul capo di Gesù, i flagelli con i quali fu frustato, il tamburo che segnò il tragitto dell’ascesa al Calvario, il velo della Veronica che servì per asciugare il volto insanguinato del Cristo morto, i chiodi con i quali fu crocifisso, la scritta INRI posta sulla sommità della croce, i dadi che furono usati dai soldati romani per tirare a sorte le vesti da contendersi, la lancia (in piccola dimensione) con la quale fu squarciato il torace e la scala, anch’essa in miniatura, con la quale fu deposto dalla croce.
Sul lato destro: il calice con cui Gesù accetto nell’orto degli ulivi, la borsa con i trenta denari per i quali Giuda tradì il suo maestro, le funi con cui fu legato, il mantello rosso che coprì Gesù nel pretorio, una miniatura di una colonna di marmo che ricorda dove fu frustato, la canna che gli fu messa tra le mani, la bacinella e la brocca con cui Ponzio Pilato si lavò le mani, la croce (in dimensione ridotta) che fu caricata nelle spalle di Gesù, la veste inconsuntile (tessuta da cima a fondo senza cuciture), il martello che servì per conficcare i chiodi, la tenaglia che servì per togliere i chiodi, la spugna imbevuta di aceto e fiele che gli fu data per dissetarsi e il sudario nel quale fu avvolto rima di essere deposto nel sepolcro.
Ma fra tutti i MISTERI uno attira l’attenzione più di tutti: il gallo, narcotizzato leggermente con del vino, ma vivo e vegeto, ornato con nastri multicolori, che ricorda quando canto due volte dopo che S.Pietro rinnegò per tre volte di conoscere Gesù.
Le processioni delle Confraternite
DOMENICA DELLE PALME
L’orario ed il giorno della Settimana si riferisce alla partenza dalla Chiesa omonima per l’Ora di adorazione al Duomo
ore 16,00 Collegio dei Rettori
ore 17,00 Maria SS. del Rosario (S.Giovanni)
ore 18,00 SS. Passione SS.Crocifisso di Pergusa
ore 19,00 SS. Salvatore
COLLEGIO DEI RETTORI
Documento di costituzione: decreto del 1714 del Viceré di Sicilia Conte Annibale Maffei.
Insegna: labaro in stoffa su cui sono rappresentate le quindici Confraternite.
Cenni storici: alla sua fondazione venne chiamato. “Consiglio Economico delle Corporazione Religiose”. Fu sospeso nel 1783 dal Viceré Domenico Caracciolo, il quale era preoccupato per l’eccessiva ingerenza del Collegio negli affari pubblici.
In quegli anni il Collegio si recava a fare l’Ora di adorazione in Duomo la domenica mattina; preceduta dai mazzieri, la processione muoveva dalla Chiesa di S. Antonio “de la Plaza” che si trovava di fronte al Monastero delle Ree Pentite al Piano delle Case Grandi.
Il rettore della Confraternita dei ‘Cordigeri’ sosteneva un maestoso Crocifisso con un Cristo in legno a rilievo e a grandezza naturale. Alle mani di Gesù erano legati molti nastri di seta di diversi colori, corrispondenti a quelli delle mantelline delle Confraternite che venivano retti da tutti i partecipanti alla processione.
Era una raggiera multicolore che univa alla Croce i vari componenti del Collegio. Il Collegio dei rettori riprese l’attività il 26 giugno 1944 con lo scopo di tutelare gli interessi comuni delle Confraternite, di collaborare, decidere ed approvare le innovazioni che di anno in anno vengono deliberate in materia di attività religiose che investono tutte le Confraternite.
Oggi, ogni ‘Terziglia’, formata da un Rettore con i relativi assistenti di tutte le Confraternite, rispettando un ordine ben preciso, si reca con la propria insegna al Duomo per l’Ora di adorazione al SS.Sacramento.
COMPAGNIA DI MARIA SS. DEL ROSARIO
Nata nel 1552 come Compagnia dei Bianchi, si unisce nel 1732 a quella del SS. Sacramento del quale assume l’ abito. Solamente i confrati appartenenti ad un ceto nobiliare potevano assistere i condannati a morte durante il trapasso e curarne la sepoltura. Le due Compagnie si divisero nel 1754 e si riunificarono nello stesso anno. A causa di nuovi dissidi sorti tra lw due Congreghe, avvenne una nuova scissione il 9 maggio 1763. La Compagnia dei Bianchi fu sciolta nel 1782, anno in cui fu abolito il “Santo Uffizio”.
Ricomparve tre anni dopo con l’ attuale denominazione ed ebbe sede presso la Chiesa di S. Domenico, attuale parrocchia di S. Giovanni Battista. Nuovamente sciolta nei primi anni del 1900, è stata ricostituita nel 1932. La Compagnia di Maria SS. del Rosario è la prima congrega a compiere l’ ora di adorazione.
COMPAGNIA DELLA SS. PASSIONE
Fu fondata come Compagnia dell’ Acerba e Sacrosanta Passione di Nostro Signore Gesù Cristo nel 1660, con bolla del viceré di Sicilia. Inizialmente i suoi membri erano trentatre, quanti gli anni di Gesù, e ciascuno di essi svolgeva un preciso compito istituzionale all’ interno della Congrega. Il primo Rettore fu Carlo Gallina e i primi due Assistenti Angelo Di Gangi e Tommaso Cammarata, mentre l’ Assistente Ecclesiastico fu don Francesco Seminatore, parroco di S. Leonardo. Poteva far parte della Compagnia chi, essendo cattolico e di buona morale, era capace di aiutare i poveri da vivi e seppellirli da morti. Nel corso dei secoli la confraternita non ha mutato i propri fini statutari ma ha acquisito privilegi quali precedere le altre confraternite nelle processioni, scortare l’ Urna del Cristo Morto, reggere le aste del baldacchino ed infine portare durante la processione del Venerdì Santo i ventiquattro Misteri.
CONFRATERNITA DEL SS. CROCIFISSO DI PERGUSA
La Confraternita del SS. Crocifisso di Pergusa (Enna), fu fondata nel 1973 dai “Lacari”, figli di coloro che diedero origine all’ antica festa “do’ Signuruzzu du lacu”, spinti dal desiderio di partecipare ai riti della Settimana Santa Ennese, di continuare a tramandare la tradizione dell’ antica festa con la suggestiva traversata del Crocifisso sulle acque del lago e la loro benedizione. La Confraternita ha un proprio statuto che tutti i confrati devono rispettare dopo aver fatto la professione solenne. Quest’ultima avviene al compimento del 18° anno di età, (requisito richiesto dallo statuto) e viene proclamata pubblicamente durante la messa mattutina della prima domenica di maggio (festa “do’ Signuruzzu do lacu”).
CONFRATERNITA DEL SS. SALVATORE
E’ la più antica fra tutte le confraternite; la sua fondazione risale infatti al 1261 e a costituirla furono i frati Basiliani che adunarono prima gli agricoltori e i contadini e successivamente ebbero tra gli affiliati dazieri e doganieri allora in servizio a Portosalvo, vecchio ingresso del paese. La Confraternita traeva a quel tempo il proprio sostegno dalle offerte spontanee dei confrati più facoltosi e lo destinava alla stipulazione di atti e soprattutto in beneficenza dei confrati poveri ed ammalati. Nel 1600 venne intrapresa l’ usanza sancita, con Ordinanza Vescovile il 16 settembre 1613, di celebrare la processione della “Paci” il giorno di Pasqua. Nel 1672 fu concesso ai confrati l’ onere di portare a spalla l’Urna del Cristo Morto nella processione del Venerdì Santo, come attesta la “Giuliana”, antico manoscritto sulla storia della Chiesa e della Confraternita.
LUNEDI’ SANTO
ore 10,00 Sant’Anna
ore 11,00 Maria SS. della Visitazione
ore 16,00 Maria SS. delle Grazie (S.Agostino)
ore 17,00 Santissimo Sacramento (S.Tommaso)
ore 18,00 Donna Nuova
CONFRATERNITA DI S.ANNA
E’ la confraternita più giovane, costituita per la prima volta nell’anno 1985 con sede originaria presso la vecchia chiesa S. Anna di Enna Bassa, è stata definitivamente ricostituita nel 2011. Il suo statuto approvato in data 15 marzo 2011 da un gruppo di venticinque confrati, viene riconosciuto dal Vescovo della Diocesi S.E. Mons. Michele Pennisi quattro giorni dopo in occasione della Festività in onore di S. Giuseppe. L’abito sacro indossato dai confrati è composto da camice bianco, visiera bianca, pettina di colore giallo oro, cingolo intrecciato bianco e giallo, mantella di colore marrone recante sul lato sinistro l’effige di S. Anna, guanti bianchi, corona in vimini intrecciata, pantaloni calze e scarpe nere. Ai confrati è concesso il diritto di portare a spalla il Fercolo di S.Anna il 26 luglio giorno della festa. La confraternita muove dalla chiesa di S.Cataldo per l’ora di adorazione lunedì santo alle ore 10,00.
CONFRATERNITA DI MARIA SS. DELLA VISITAZIONE
La confraternita fu fondata il 20 aprile 1874 dal parroco priore don Carmelo Savoca per rendere giuridicamente valida l’ altra congregazione che riuniva i portatori della “Nave d’ Oro” durante la processione del 2 luglio col simulacro della Patrona. Papa Pio IX il 25 aprile del 1875, con una sua bolla aggregò la confraternita alla Pia Unione del Sacro ed Immacolato Cuore di Maria Vergine SS., che ha sede presso la Chiesa di S. Lorenzo in Lucina a Roma. Il 4 febbraio 1935 fu fondata dal Vicario Generale della Curia Foranea Mons. angelo Termine, inteso “U Ciantru”, la Pia Unione Figli di Maria SS. della Visitazione, con lo scopo di divulgare il culto della Patrona e di suffragare i defunti. I confrati della Visitazione un tempo avevano appena un perizoma a coprire le loro nudità e per questo venivano appellati “gli Ignudi”. Gli “Ignudi”, titolari del posto tramandato per eredità o per cessione, sono 128 così suddivisi: 100 Portatori, 24 Anellieri, 1 Porta bandiera, 1 Navettiere, 2 Turiferai. Ogni “Ignudo” ha di proprietà il medaglione in argento con retroscritto il numero del posto da occupare.
CONFRATERNITA DI MARIA SS. DELLE GRAZIE
Sorta nel 1835 grazie all’ unificazione di tre diverse congreghe, tutte di spiritualità agostiniana, che si trovavano a quel tempo ad operare nello stesso quartiere. Esse erano il Collegio di S. Nicola di Bari che risale al 1608 e che curava la sepoltura dei poveri, la Congregazione di S. Monica degli Agostiniani fondata nel 1616 e in ultimo la Compagnia di Maria SS. della Cintura. Sciolta più volte, la Confraternita fu ricostituita una prima volta nel 1934 e successivamente decadde per la scarsa cura degli amministratori. Fu ricostituita definitivamente nel 1970, riavendo un nuovo statuto ed una nuova organizzazione.
COMPAGNIA DEL SS. SACRAMENTO
Nata come Compagnia dei Bianchi nel 1687, aveva la propria sede presso la Chiesa del Sacramento che si trovava dietro l’ abside del Duomo, prima della demolizione. Trasferitasi in seguito presso l’ oratorio della Madonna di Loreto, che aveva sede dove ora sorge la Chiesa di S. Francesco da Paola, si univa alla Confraternita di Maria SS. del Rito fondata nel 1600, scegliendo come sede comune la Chiesa di S. Giovanni. Fondata dai confrati di ceto nobiliare, la Compagnia esercitò per oltre un secolo i suoi compiti assistendo i bisognosi ma soprattutto gli ammalati terminali fino alla loro sepoltura. Unitamente a molte altre confraternite, fu sciolta dopo l’ Unità d’ Italia per effetto di una legge del nuovo Stato e solo dopo i Patti Lateranensi venne ricostituita nella parrocchia di S. Tommaso Apostolo, secondo principi e regole approvate dalla Curia di Piazza Armerina.
COLLEGIO DI S. MARIA LA NUOVA
Il Collegio di S. Maria la Nuova nacque subito dopo la soppressione dei Templari (3 Aprile 1312). Di questa presenza dell’ Ordine nella Chiesa parla un manoscritto esistente nell’ Archivio, nel quale si dice testualmente: “Titolo primissimo dato alla Vergine purissima, che secondo una effigie in uno scudo si vuole essere coltivato dai Templari, i quali tennero dimora in questa Chiesa della Confratia”. I confrati continuarono le opere di assistenza ospedaliera iniziate dai Templari e nel 1348 funzionava già il lazzaretto. Nel 1396 i confrati accorsero fra i primi a dare ristoro ai profughi provenienti dai Feudi della Gatta, di Fundrò e di Rossomanno. Nel 1525, in seguito a un’ altra atroce pestilenza, il Collegio, che aveva amorevolmente assistito anche gli esuli dei feudi, si prodigò per l’ abrogazione di ogni distinzione e far considerare tutti uguali e liberi. Il Collegio di S. Maria La Nuova ebbe un ruolo particolare nella storia degli avvenimenti sociali di Enna tra la fine del XIV secolo e tutto il XVI. Per tutti questi meriti il Collegio ebbe privilegi ed attestati di benemerenza dati dai Re di Spagna, come quello di fregiarsi del titolo di Venerabile ed il Rettore essere denominato Procuratore; purtroppo questi attestati furono distrutti durante il bombardamento alleato del 13 Luglio 1943.
MARTEDI’ SANTO
ore 16,00 Spirito Santo
ore 17,00 Anime Sante
ore 18,00 San Giuseppe
CONFRATERNITA DELLO SPIRITO SANTO
La Venerabile Confraternita dello Spirito Santo è stata eretta e fondata a Enna nel periodo tra il 1700 ed il 1800, ma tutti i documenti che potevano attestare legalmente la sua costituzione furono distrutti da un incendio che si sviluppò all’ interno della Chiesa di San Bartolomeo Apostolo. Alcuni manoscritti ritrovati, riguardanti il rinnovo delle cariche del consiglio di amministrazione, risalgono al 1876. Lo statuto attuale è stato approvato in data 10/04/2008 dalla Curia Vescovile della Diocesi di Piazza Armerina e sostituisce i precedenti. Dopo la fondazione, la Confraternita si è trasferita per circa un secolo presso la Chiesa dello Spirito Santo, curando con la parrocchia la festività di Maria SS. Assunta. Essa riuniva i più ricchi agricoltori e massari dell’ antica ed importante zona di Fundrisi, fondata dagli esuli del feudo di Fundrò. La Confraternita, per i sui elevati meriti dimostrati in ambito cittadino, nel 1805 ha ottenuto il privilegio di solennizzare la “Spartenza” e la benedizione dei campi la domenica in Albis; inoltre da più di due secoli, ha l’ onore di aprire i riti della Settimana Santa. Infatti, è la prima a giungere la mattina della Domenica delle Palme nella Chiesa di San Leonardo, sede dell’ Ecce Homo.
ARCICONFRATERNITA DELLE ANIME SANTE DEL PURGATORIO
Istituita il 9 ottobre 1615 dal parroco della Chiesa di San Bartolomeo Don Giacomo Pregadio, che proprio in quell’ anno fece costruire una cappella dedicata al culto delle Anime del Purgatorio. Il 22 agosto 1616, con una Bolla, la Congrega ottenne da Papa Paolo V la aggregazione alla Compagnia della Morte che ha sede in Roma. Fu denominata anche Confraternita della Buona Morte in quanto Carlo IV Re di Spagna la investì dei poteri di assistere i condannati alla pena capitale e di liberarne tre il 2 novembre di ogni anno. In virtù dei titoli di “Venerabile” e “Lata” che le furono attribuiti dal viceré di Sicilia nel 1712, fu chiamata “Arciconfraternita”. Ai nostri giorni, come recita l’ art. 4 dello Statuto, approvato il 12 marzo 1988, possono far parte dell’ Arciconfraternita tutti i cittadini di sesso maschile che professano la religione cattolica e che hanno compiuto il quindicesimo anno di età. L’ Arciconfraternita ha lo scopo di divulgare la fede cristiana e di tenere vivo il culto dei morti, operando nel rispetto delle tradizioni e del dettato delle Sacre Scritture; mira a promuovere ogni azione rivolta all’ incremento del patrimonio morale e religioso dei confrati, per una vita socialmente tendente ad opere di solidarietà cristiana.
COLLEGIO DI S. GIUSEPPE
La Confraternita di San Giuseppe ha origini antichissime; infatti venne fondata nel 1539 nella piccola Chiesa di San Giuseppe sita al centro di Enna, della quale oggi rimangono i resti della facciata e del campanile. Le Confraternite vennero fondate come associazioni di arti e mestieri e la Confraternita di S. Giuseppe riuniva i nobili della Città. Iniziò la sua attività con profonda devozione al Santo Patriarca, ma negli anni successivi al 1820, fino a quando gestì la piccola Chiesa di S. Giuseppe, per cause ignote, venne soppressa e attraverso un atto pubblico della Provincia di Caltanissetta la Chiesetta venne affidata ad un privato che gestiva l’ orfanotrofio di San Michele. I confrati di S. Giuseppe hanno il privilegio di portare la Madonna che nel giorno di Pasqua si incontra con il Cristo Risorto nella ricorrenza della tradizionale “Paci” per poi dividersi sette giorni dopo durante la “Spartenza”.
MERCOLEDI’ SANTO
ore 9,30 Valverde
ore 10,30 Sacro Cuore di Gesù
ore 11,30 Addolorata
ore 12,30 Immacolata
ore 13,30 Benedizione e processione al Duomo
COLLEGIO DI MARIA SS. DI VALVERDE
Il Collegio di Maria SS. di Valverde fu fondato nel 1799 da alcuni agricoltori, rivivendo l’antica società dei Cavalieri della Torre, ed ancora oggi si fregia dello stemma turrito della città nell’ insegna del Rettore. In un primo momento ebbe scopi patriottici e folcloristici. Furono gli agricoltori del luogo a dare vita alla Confraternita, anche se si ricostituì soltanto nel 1939. A Valverde nacque la prima chiesa di Enna dedicata a Maria, in seguito al miracolo della pioggia, che dopo un lungo periodo di siccità e carestia diede respiro all’agricoltura locale. Gli abitanti per questo evento si convertirono al cattolicesimo. Infatti la Madonna di Valverde fino al 1412 fu la prima Patrona di Enna. Ricostituita nel 1935 ha oggi come fine principale: (vedi Articolo 2 dello Statuto) “Vivere come aggregazione ecclesiale che aiuta i confrati a realizzare pienamente la propria vocazione cristiana mediante un’ intensa vita spirituale, operare nel sociale promuovendo opere di carità cristiana e solidarietà tra fratelli, partecipare a tutte le manifestazioni di culto pubblico”.
CONFRATERNITA DEL SACRO CUORE DI GESU’
La Confraternita del Sacro Cuore di Gesù fu fondata dal Signor Calcedonio Termine nel 1839 nella Chiesa di S. Paolino dei Frati Cappuccini; nella parte occidentale della zona monte di Enna, la Confraternita riuniva le categorie dei Minatori e Zolfatai. Alterne vicende si sono succedute dal 1839 ad oggi; intorno al 1851 morì prematuramente il fondatore e le redini della confraternita passarono ai figli Giovanni e Melchiorre i quali, dopo anni di peripezie e con il rischio di scioglimento della stessa, il 5 Giugno del 1898 fecero approvare lo “Statuto e Regolamento della Congregazione del Santissimo Cuore di Gesù in Castrogiovanni nella Chiesa dei Padri Cappuccini”, dal Vescovo Diocesano Mons. Mariano Palermo.
La prima Statua del Sacro Cuore fu acquistata e donata alla Confraternita dal confratello Giovanni Termine; la Statua, in cartone romano, fu realizzataca Napoli e non se ne sconosce la data di fabbricazione. Attualmente si trova in buone condizioni nei locali attuali della Confraternita. Una nuova statua fu fatta fare nel 1897 dallo scultore Vincenzo Piscitello, in legno massiccio e alta circa due metri.Dello stesso anno il fercolo “Vara” che recentemente restaurato, ha confermato la data di costruzione e la firma dell’ artista che la fabbricò “Sebastiano Sberna fecit 1897” ebanista ennese.
CONFRATERNITA DI MARIA SS. ADDOLORATA
La Confraternita di Maria SS. Addolorata fu fondata dal Canonico Don Gaetano Cristadoro detto Patri Cartuni. Riuniva la categoria degli artigiani, i muratori ed eccezionalmente i bottegai del mercato S. Antonio, che portavano in processione il Venerdì Santo il fercolo di Maria SS. Addolorata ancor prima che fosse costituita la confraternita. Il 14 ottobre 1882 la Confraternita fu aggregata al Terzo Ordine dei Pii Servi di Maria che ha sede a Roma. Scopo della Congrega è quello di tenere desto ed incrementare il culto di Maria SS. Addolorata, avvicinare gli iscritti alla Eucarestia e celebrare Messe in suffragio dei confrati defunti. La Confraternita ha il privilegio di portare a spalla, durante la processione del Venerdì Santo, il simulacro in cartapesta della “Madonna dei Sette Dolori”, eseguita dall’ artista ennese Luigi Felici sul finire del XVII secolo, su di un fercolo in stile spagnolo.
COMPAGNIA DI MARIA SS. IMMACOLATA
La Compagnia di Maria SS. Immacolata venne fondata nel 1754 da artigiani e commercianti; sorse dalla fusione della confraternita di S. Orsola e dei Cordigeri. Fu approvata nel 1785. Le sue finalità erano l’ assistenza ai malati e ai bigognosi. Scioltasi dopo l’ Unità di Italia a seguito di leggi reali, come tutte le altre confraternite ennesi, venne ricostutita nei primi anni del 900 grazie anche all’appoggio dei frati minori conventuali; oggi infatti, la confraternita ha sede presso la chiesa di S. Francesco di Assisi. I membri della Compagnia di Maria SS. Immacolata hanno l’ onore, ogni 8 dicembre, di portare a spalle per le vie della città di Enna, il simulacro di Maria SS. Immacolata; inoltre la confraternita partecipa a tutte i riti religiosi cittadini, in particolare ai riti della Settimana Santa allorchè il Mercoledì Santo alle 12,30 la Confraternita si reca al duomo per l’ ora di adorazione al SS. Sacramento.
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A Castrogiovanni (Enna), centro della Sicilia, le Confraternite vantano origini antichissime ed una tradizione notevole di forma e prestigio: Le confraternite ennesi si intensificano notevolmente durante il 1600, sia a causa della Controriforma Cattolica che, scaturita dal Concilio di Trento, mentre pronunciava la condanna di Lutero e Calvino, provvedeva alla riforma della chiesa, tanto nei costumi quanto nella disciplina; sia per l’influenza della lunga denominazione spagnola, che fa sentire i suoi effetti ancor oggi sulla parlata siciliana, sugli usi e costumi, sul tipo di religiosità degli isolani, amanti del fasto e delle espressioni di misticismo esteriore.
La Spagna infatti dominò in Sicilia per oltre 300 anni, dagli inizi del XV° secolo alla pace di Utrecht avvenuta nel 1713. Durante questo dominio, in Sicilia si ebbe il fiorire di numerose ‘confradias’ da cui il nome di confraternite, ad esso si devono anche i numerosi privilegi conferiti dai sovrani spagnoli e di norme talvolta minuziose anche sul vestiario o sul posto da occupare in determinate processioni, affare questo di grande importanza in un periodo in cui religione e politica, vita e fede si intrecciavano mirabilmente e non avevano affatto quel grande distacco di oggi. Non a caso infatti gli archivi vicereali e reali di Palermo, Napoli e Madrid, annoverano imponenti carteggi relativi a controversie fra le molteplici confraternite, molte delle quali, in seguito ai privilegi regali, si fregiavano dei titoli di Venerabile, Lata, Regale, Nobile. Anche il vestiario dei confrati deriva dal costume spagnolo. Esso è formato da un camice bianco, da un cingolo ai fianchi, da uno scapolare, da una mantelletta (in dialetto mantiglia, dal temine spagnolo ‘mantillas’), dai guanti bianchi e da un cappuccio con la visiera abbassata e da una corona di vimini in testa. Completano l’arredo dei confrati le croci, le insegne, i lunghi lampioni, chiamati in dialetto ‘blannuna’, dal vocabolo spagnolo ‘blandon’, cioè ceroni, che vengono portati in processione e disposti secondo un ordine tradizionale. A capo delle singole confraternite veniva eletto il più anziano, egli presiedeva le assemblee, occupava la carica di Rettore, ottenendo così i titoli di Monsignore, Procuratore, Governatore e facendo parte di diritto del Civico Senato. Nel giorno del Santo Patrono della confraternita il Rettore aveva il privilegio di concedere la grazia a tre condannati a qualsiasi pena, anche a quella capitale. Nell’amministrazione dei beni, egli era coadiuvato da due assistenti, da un cassiere e da un segretario. Un pò tutte le confraternite possedevano beni patrimoniali avuti come lasciti, che venivano dati in affitto: annualmente, veniva presentata alla Regia Prefettura, la dichiarazione dei redditi con le relative entrate e uscite. Nel XVII° e XVIII° secolo le confraternite si limitavano prevalentemente a compiti assistenziali, prestando la propria attività presso ospedali e ricoveri. Il 27 febbraio 1641, con atto del notaio Vincenzo Battaleonti, furono donati ai Padri Fate Beni Fratelli tutti i diritti delle confraternite, per trovare i mezzi necessari a tenere in funzione il vecchio ospedale per le cure dei poveri e, per dare sviluppo ed ampiezza, al servizio di ricezione ed assistenza ai bisognosi. Nel 1740 c’erano a Castrogiovanni otto collegi, otto compagnie, diciassette confraternite ed un’arciconfraternita. Nel periodo risorgimentale molte confraternite parteggiarono per i liberali, che potevano così adunarsi sotto il parvento delle riunioni religiose. Alcune confraternite furono delle vere e proprie sette segrete, costituite con lo scopo di combattere con attentati ed attività sovversive, lo strapotere dei Borboni che da Castrogiovanni godeva della particolare protezione della curia foranea. Nel 1859 i liberali ennesi in gran fervento e gli inviati del Nord, recavano ordini e notizie per preparare l’isola all’arrivo di Giuseppe Garibaldi. C’era un inviato dalla Società Nazionale di Genova, un emigrato siciliano, il barone Carini che si intratteneva con diversi nobil uomini, di notte, nel palazzo Varisano. La riunione plenaria dei liberali fu fissata per il Venerdì Santo e i congiurati furono avvertiti che la riunione avrebbe avuto luogo presso il ‘mulino a vento’. Questo mulino era di proprietà dei frati Cappuccini ed era unito al convento, che si trovava presso il cimitero, per mezzo di un sottopassaggio che conduceva dietro l’orto del convento stesso. Custode ed esattore delle quote era frate Antonio da Mazzarino che, prima di indossare il saio, era stato al servizio del Barone Varisano. Nel pomeriggio del Venerdì Santo la processione uscì dal Duomo con i confrati incappucciati. I liberali indossavano le divise dell’Arciconfraternita del Purgatorio, così alla fine della riunione, attraverso il sottopassaggio, avrebbero raggiunto la Chiesa dove si sarebbero uniti alla processione senza dare sospetti. Purtroppo un confidente della polizia, un tale Esposito, informò il Cav.Pettinato, capo di essa, della riunione, e questi, con i suoi gendarmi, piombò sul mulino, sicuro di cogliere sul fatto i patrioti ennesi. Frate Antonio, che era stato posto a guardia della porta, fece in tempo a dare l’allarme e a far scappare per il sotterraneo i liberali, che giungendo in chiesa, si unirono alla processione che intanto era arrivata nella zona del cimitero. Così, durante il ritorno, protetti dalla visiera abbassata, poterono stare al sicuro da possibili riconoscimenti e ritornare, insieme all’Arcinconfraternita, al Duomo e da qui passare nel palazzo Varisano. Il barone Carini ebbe il tempo di scappare da Castrogiovanni prima che si chiudesse il passo di Porto Salvo, gli altri scomparvero attraverso l’uscita del palazzo e si andarono a nascondere. La notizia dello smacco subito dalla polizia si diffuse presto in città e fu allora che il Rettore dell’Arciconfraternita delle Anime Sante del Purgatorio comprese perchè le file della sua congrega si erano ingrossate al cimitero per poi assottigliarsi in Duomo, dal momento che i congiurati si erano nascosti fra i confrati di detta congrea. Al Cav.Pettinato non restò che rafforzare la sorveglianza per l’anno successivo e prendere ogni precauzione durante la Settimana Santa, a tal proposito egli dispose davanti e dietro la processione uno squadrone di soldati, i cui fucili avevano al posto delle baionette, dei ramoscelli d’ulivo e ordino che, al ritorno della processione dall a chiesa del cimitero si procedesse con la visiera alzata.
Tutti furono dispiaciuti, perchè alzando la visiera del cappuccio veniva menomato il significato di questa rispettosa forma di lutto. L’unica soddisfazione che alcuni liberali poterono prendersi fu quella di inchiodare alla porta del palazzo comunale un cappuccio a visiera con un ramoscello d’ulivo e la seguente scritta dedicata al Cav.Pettinato: “Come l’ulivo nella foresta, siamo sicuri che Lei a Castrogiovanni non resta”. Infatti il maggio successivo, Garibaldi, sbarcando in Sicilia, liberò la città dai Borboni. Nel 1860, dopo la cacciata dei Borboni, furono emanate dal Regno d’Italia, al quale era stata annessa la Sicilia, le famose leggi di soppressione, con le quali furono sciolte diverse istituzioni religiose e molte confraternite. Esse infatti non ebbero più alcuna ufficialità e poichè ebbero annullati del tutto quei privilegi e quei poteri residui che le avevano rese “stato nello stato”, finirono di esistere come istituzioni di governo e conservarono soltanto il carattere religioso che esternano tutt’ora, intervenendo principalmente nelle processioni con propri vessilli e distinte insegne. Con i Patti Lateranensi del 1929 venne riconosciuto lo stato giuridico delle confraternite. Fu quindi stabilito che le istituzioni religiose laicali, civilmente riconosciute, con compiti esclusivamente laicali, dovevano essere regolate da propri statuti e dipendere dalle Diocesi di appartenenza. Oggi le confraternite, perduti i privilegi giuridici, si limitano a partecipare alla Settimana Santa, le cui origini risalgono al XVII secolo, durante la dominazione spagnola, infatti la celebre processione del Venerdì Santo ennese richiama alla mente quella della Macarena di Siviglia in Spagna. In dialetto ennese le confraternite sono richiamate ancor oggi “ure”, perchè essendo esse in passato molto numerose, le sfilate dei confrati incappucciati, recantisi al Duomo per l’adorazione del SS.Sacramento, si succedevano ad intervalli di un’ora.
Un tempo le confraternite erano 77
Molto è stato scritto sulle 16 confraternite esistenti, ma a cimentarsi con la storia delle congreghe di Enna, in occasione della Settimana Santa, con la passione che da sempre lo contradistingue è Gaetano Vicari. “In questa settimana – dice Vicari – rievocare la storia delle confraternite è come immergersi in una delle pagine più vive, autentiche, genuine della vita della nostra città”. Quindi, ricorda che in origine, “secondo quanto scrive padre Giovanni dei cappuccini nella sua storia di Enna, con le sue 133 chiese esistenti, c’erano a Castrogiovanni 77 confraternite e 18 compagnie.
“Confraternite –sottolinea- che al tempo della dominazione spagnola (XV secolo) erano collegate alle “Corporazioni di mestieri” chiamate in dialetto ‘confratrìe’. Alcune delle confraternite scomparse sono: Collegio di Maria 1630; Congregazione della Misericordia 1610; Confraternita di Sant’Eligio 1670; Collegio di San Sebastiano 1630; i collegi di Sant’Onofrio, Sant’Agata, Santa Teresa, San Nicolò, Sant’Antonio del cretario o critazzo, di San Vito, Santa Maria di Loreto, Sant’Orsola, Sant’Agrippina, San Pietro e San Pietro e Paolo. Oltre alle confraternite, a Castrogiovanni – aggiunge Vicari – vi erano quattro istituzioni religiose: l’Opera del Turno della sera del 1626, l’Opera degli agonizzanti del 1703, l’Opera della 40 ore del 1690 e la Congregazione di carità.
Fra le sedici confraternite esistenti –spiega ancora Vicari- l’Arciconfraternita delle Anime sante del Purgatorio, istituita il 9 ottobre del 1615 dal parroco della chiesa di San Bartolomeo, don Giacomo Pregadio, il 22 agosto del 1616 con la bolla papale del pontefice Paolo V venne aggregata alla Compagnia della morte di Roma. Infatti, la confraternita ennese ha lo stesso emblema di quella romana: il teschio con due ossa incrociate. Inoltre, tra i privilegi concessi con la bolla papale vi erano intercessioni e indulgenze e persino la possibilità al rettore della confraternita di liberare il 2 novembre di ogni anno da ogni pena 3 condannati. Un tempo -conclude Vicari- durante la Settimana Santa, oltre alle confraternite, si recavano al Duomo in processione associazioni e congregazioni maschili e femminili di ogni singola parrocchia”.
I Riti e una Pasqua d’altri tempi
I riti iniziano la mattina della Domenica delle Palme dalle pendici della città. Da Papardura i confrati della Passione rievocano l’entrata di Gesù a Gerusalemme. Tra gli osanna viene celebrato il rito della benedizione delle palme, nel pomeriggio il Collegio dei Rettori, che fu istituito nel 1714 per decreto del viceré di Sicilia, composto da tre rappresentanti di tutte le confraternite, muove dalla chiesa di Montesalvo (a pochi metri dal centro geografico della Sicilia) e rispettando l’ordine delle precedenze, si reca in duomo per l’ora di adorazione. Subito dopo inizia la tradizionale processione delle quindici confraternite, che da Domenica sino a Mercoledì si recano in duomo, ad intervalli di un’ora l’una dall’altra.
La confraternita, che nella parlata ennese viene chiamata “ura”, appunto per il predisposto orario in cui ognuna di esse giunge in duomo, procede con le insegne abbrunate, con il vestiario tramandato dal costume spagnolo: un camice bianco, un cingolo ai fianchi, uno scapolare, la mantellina colorata (in dialetto mantiglia dallo spagnolo mantillas), i guanti bianchi, il cappuccio con la visiera abbassata e una corona di vimini in testa. Le croci, le insegne, i lunghi lampioni, chiamati blannuna (dallo spagnolo blandon), cioè cerone, sono portati in processione e disposti secondo un ordine che è tradizionale. Dalla chiesa di S.Giovanni parte la prima Confraternita della Compagnia Maria SS. del Rosario. Fondata intorno al 1687, sciolta nel 1782 e ricostituita nel 1787, nuovamente sciolta nei primi anni del 1900 fu ancora una volta ricostituita nel 1932, ha la mantellina bianca. Sempre domenica segue la Confraternita del SS. Crocifisso di Pergusa, fondata nel 1973, ha l’antico costume spagnolo, è l’unica che non usa la mantellina, utilizza un cappuccio a punta rigida e muove dalla Chiesa di S. Leonardo. Continua la Compagnia della Passione, fondata nel 1660, i primi confrati erano 33 come gli anni di Cristo. E’ loro privilegio portare i ‘Misteri’ simbolo della passione e la loro mantellina è di colore rosso scarlatto. I ‘Misteri’ disposti su vassoi seguono un ordine preciso, ventiquattro sono di numero. Chiude la giornata di domenica dalla chiesa del SS. Salvatore, l’omonima confraternita istituita nel 1261 sotto la denominazione sveva, è la più antica confraternita, la loro mantellina è di colore giallo intenso. I riti della prima giornata si chiudono con il rientro della processione dell’Ecce Homo nella chiesa di S.Leonardo. La mattina del Lunedì Santo dalla chiesa di Montesalvo la Confraternita di Maria SS. della Visitazione, meglio conosciuta con il nome di ‘Nudi’ o ‘Ignudi’. Fondata nel 1874 il vestiario avuto nel 1600, da cui risale, è composto dalla ‘cammisa’ e dalla ‘vistina’ bianca e da una mantellina di colore azzurro. Nel pomeriggio, dalla chiesa di S.Agostino, la Confraternita Maria SS. delle Grazie, istituita nel 1835 dalla fusione di tre congregazioni: il Collegio di San Nicola di Bari del 1608, la Congregazione di Santa Monica degli Agostiniani del 1660, e la Compagnia di Maria SS. della Cintura. La loro mantellina è di colore rosa pallido. Dalla chiesa di S.Tommaso è la volta della Confraternita della Compagnia del SS. Sacramento, ricostruita nel 1935 ma già esistente nel 1687 come compagnia dei ‘Bianchi’, la loro mantellina è bianca. Chiude il giorno di lunedì dalla chiesa della Donna Nuova l’omonima Confraternita, fondata nel 1531 ebbe numerosi privilegi dai Re di Spagna e attestati che andarono perduti durante il bombardamento del luglio 43, la mantellina è di colore celeste; sotto di essa uno scapolare e una fascia dello stesso colore, con due risvolti a nappe che pendono dal lato sinistro. Martedì inizia la Confraternita dello Spirito Santo, fondata nel 1800 ha la mantellina di colore amaranto, sul camice una fascia verde, e verdi pure i guanti. Segue l’Arciconfraternita delle Anime Sante del Purgatorio, istituita nel 1615, nel 1712 fu onorata dal viceré di Sicilia dei titoli di Venerabile, dal 1789 ha il privilegio di portare le ‘mazze d’argento’ con gli stemmi simbolo della città. Muove dalla chiesa delle Anime Sante, la mantellina e i guanti sono di colore nero con a sinistra lo stemma del teschio con due ossa incrociate. Dal Santuario di S. Giuseppe parte la processione del collegio di questa chiesa, fondato nel 1580 dall’unione di tre collegi: la Passione di S. Giuseppe del 1509, S. Apollonia del 1557 e S. Girolomo del 1516, la mantellina è di colore verde oliva.
Il Mercoledì Santo è l’ultimo giorno in cui le confraternite si recano in duomo per l’ora di adorazione, la prima a muoversi è la Confraternita di Maria SS. di Valverde, fondata alla fine del 1700 e ricostituita nel 1935, si presuppone che sia stata la prima comunità cristiana ennese, la mantellina è di colore verde intenso. Dalla chiesa di S.Maria del Popolo muove la Confraternita del Sacro Cuore, fondata nel 1839, il vestiario comprende una mantella in pregiato tessuto rosso damascato. Originariamente il camice dei confrati del Sacro Cuore di Gesù aveva la coda. Dalla chiesa dell’Addolorata la sfilata dell’omonima confraternita, con le code dei camici che strisciano per terra, la mantella di colore viola, fu fondata nel 1875. L’ultima confraternita è la Compagnia di Maria SS. Immacolata, muove dalla chiesa di S.Francesco. Fondata nel 1754 e approvata nel 1785, riuniva due confraternite: ‘delli Cordigeri’ del 1400 e di ‘S.Orsola’ del 1613, la mantellina è color latte. In Duomo dopo l’arrivo dell’ultima confraternita si svolge la messa e la benedizione sotto il portale di S.Martino, in seguito l’ostensorio viene portato in processione. Giovedì Santo nelle chiese parrocchiali la consueta lavanda dei piedi, la serata è interamente dedicata ai ‘sepolcri’, ogni chiesa, grande o piccola che sia, ha il suo sepolcro, che viene visitato dai fedeli fino a tarda notte. Venerdì Santo la banda, che ha preceduto nei giorni precedenti ogni confraternita, al suono sommesso di struggenti marce funebri, dalla chiesa di S.Leonardo rileva la Confraternita della Passione che muove fino alla chiesa dell’Addolorata, dove nel contempo si sono riunite tutte le altre confraternite, il fercolo dell’Addolorata viene portato in processione fino al Duomo, lo stesso dalla chiesa del SS. Salvatore l’urna di Cristo Morto.
Dal Duomo inizia la solenne processione, che in un’aura di commosso silenzio e raccolto misticismo fra riverberi di luci tremolanti e sfavillio di fercoli dorati, si snoda, sulle basole consunte di antichi percorsi, in un variopinto corteo con le confraternite disposte secondo l’ordine delle precedenze con le visiere abbassate percorrono la città, partecipa il clero, sotto il baldacchino, viene portata la Croce reliquario che, secondo la tradizione, contiene un pezzetto della croce e una spina della corona di Gesù. La processione ritorna al Duomo, poi l’urna del Cristo morto viene riaccompagnata nella propria chiesa, mentre il fercolo dell’Addolorata, preceduto da tutte le confraternite fa ritorno nella chiesa di Via Mercato S. Antonio.
Le manifestazioni della Settimana Santa ennese si concludono la Domenica di Pasqua con la ‘Festa della Resurrezione’ nella chiesa del SS.Salvatore, nel pomeriggio la processione della ‘Paci’, le statue della Madonna e del Cristo Risorto, portate a spalla dai confrati, si incontrano nella Piazza del Duomo. Nel momento in cui, nell’alto della piazza, appare Cristo Risorto il velo nero che ha ricoperto l’Addolorata cade, e dal quel momento i due fercoli corrono l’uno verso l’altro, appena accanto vengono portati all’interno del Duomo dove rimangono per una settimana.
Il sabato successivo la ‘Festa della Donna Nuova’ e l’indomani la tradizionale funzione della ‘Spartenza’, i due simulacri ritornano nelle loro chiese di appartenenza.
A mezzogiorno del Sabato Santo in tutte le chiese di Enna venivano sciolte le corde delle campane, rimaste legate per tutta la Quaresima. Dai campanili il festoso suono si diffondeva in tutti i quartieri, nelle pendici e nelle valli, annunciando il Cristo risorto. Le strade si animavano, i ragazzi – giulivi e vocianti – si rincorrevano per i vicoli, lungo le strade e le piazze. Il calzolaio usciva sulla soglia della sua bottega il suo deschetto di lavoro, martellando sulla suola con più lena. Al termine della Quaresima, le ragazze aprivano le persiane canticchiando la canzonetta più in voga. Tutto diventava più gioioso.
Tutte le Parrocchie avevano la propria “tileddra”; la più imponente era quella del Duomo, dove la “caduta” generava l’effetto “boato”, oltre a un gran polverone. Dentro le chiese, le campane poste sull’architrave delle sagrestie venivano suonate a festa dai chierichetti prima dell’inizio del rito Pasquale. Il gioire nel sentire le campane suonare a festa, la felice partecipazione della gente nelle case, nelle strade, nelle botteghe, nei circoli, a scambiarsi voti augurali di buona Pasqua, nel ricordo della Trasfigurazione del Signore, aveva una valenza particolare che oggi riesce difficile immaginare se non si è vissuto quel periodo. La celebrazione della Risurrezione a mezzogiorno del Sabato Santo durò pochi anni (tutto il periodo bellico e post bellico).
Scaturì da una disposizione delle autorità civili ed ecclesiastiche per motivi di ordine pubblico dovuti al coprifuoco e al conseguente oscuramento della città e dei borghi, decisione che ebbe un largo consenso nella popolazione, specie in quella giovanile. Poi, sul finire degli anni quaranta, si tornò alla “normalità”: la Risurrezione ritornò ad essere solennizzata allo scoccare della mezzanotte tra il sabato e la domenica di Pasqua. Da molti anni ormai non si alzano più le “tele” nelle chiese di Enna né si nascondono i Crocifissi con veli neri o panni color viola. Nelle case degli ennesi non si nasconde alla vista Gesù in croce né si velano gli specchi, così come la tradizione suggeriva. I tempi cambiano e le antiche credenze si sono via via affievolite. In quegli anni, a cavallo della seconda guerra mondiale, durante la Quaresima, la partecipazione dei fedeli ai riti penitenziali era molto sentita. Molti uomini e donne si recavano nelle chiese ad ascoltare i predicatori. I riti della settimana santa erano e sono ancora curati dai confrati appartenenti alle varie confraternite.
Difficile dire quanti sono i partecipanti alle processioni, comunque tanti, tantissimi, si dice che siano oltre tremila gli “incappucciati”. Non sempre però nelle confraternite si sono avute tante adesioni come negli ultimi decenni. Nell’immediato dopoguerra e fino agli inizi degli anni ’60 accadeva che qualche confraternita effettuava l’ “Ora” di adorazione al SS. Sacramento “vestendosi” direttamente al Duomo. Due i motivi: o perché erano in pochi, o perché non avevano la possibilità di pagare il cachet alla Banda Municipale che di solito accompagnava (e accompagna ancora oggi) le confraternite al Duomo. Quando il Comune, nel 1963, si accollò l’onere finanziario della Banda per tutte le confraternite, nessuna esclusa, le stesse incominciarono ad incrementarsi numericamente, cosicché oggi molte oltrepassano i duecentocinquanta iscritti, tra professati e novizi. Se si pensa che fino alla metà degli anni ’50 la Vara dell’Addolorata era portata a spalla da appena sedici confrati, più quattro anellieri, si ha l’esatta percezione delle poche adesioni alle congreghe in quegli anni. Moltissimi sono gli ennesi e tanti i turisti che assistono, oggi come allora, ai riti della settimana santa e in special modo alla processione del Venerdì, caratterizzata da un’atmosfera colma di mestizia e di dolore.
Ad Enna il maggior numero di Confraternite sono state istituite nell’arco di tempo che va dal 1531 (Maria SS. La Donna Nuova) al 1875 (Maria SS. Addolorata). Quella del Santissimo Salvatore, fra tutte la più antica, è stata fondata nel 1261, mentre regnava in Sicilia Manfredi, l’ultimo re svevo. La più recente è quella che porta il nome di S.Anna, che si aggiunge alle 15 Confraternite esistenti, fondata nel mese di aprile del 2011, voluta dal parroco dell’ omonima parrocchia di Enna Bassa. In passato le confraternite erano ben radicate nel tessuto sociale; erano piccole comunità di fedeli organizzate su base corporativa, poi divenute, dal tardo Seicento, associazioni religiose che, con la dominazione spagnola, presero gli usi e i costumi della “Semana Santa” della Regione Andalusa e di Siviglia in particolare. Fu dopo il concilio di Trento (1542 -1563) che si ebbe la maggiore espansione di questa forma di “associazionismo”. Enna (allora Castrogiovanni) non si sottrasse a questa “spinta”, tanto che nel 1740 se ne contavano ben 34 tra collegi, compagnie, confraternite, arciconfratenite e congreghe”. Meno della metà, quindi, sono giunte fino ai nostri giorni. Molte le confraternite, quindi, che nel tempo si sono sciolte o si sono aggregate tra loro. Tra quelle scomparse: la Compagnia dei Bianchi, istituita nel 1542 come organo del sant’Uffizio spagnolo; il Collegio di San Vito del 1612, fondato con lo scopo di elargire elemosine e la Compagnia del Carmelo, nata nel 1644, che ebbe la sua prima sede presso l’oratorio della chiesa di S.Lucia, demolita negli anni ’30. Si aggregarono, invece, alla Confraternita di Maria SS. delle Grazie in S. Agostino (costituita nel 1835) il soppresso Collegio di S. Nicola di Bari, fondato nel 1608, che curava la sepoltura dei poveri, e le disciolte Congregazioni di Santa Monica degli Agostiniani e di Maria SS. della Cintura. Nel 1580 confluirono nel Collegio di San Giuseppe in S. Benedetto il Collegio di Santa Apollonia e le Confraternite di S.Girolamo e di S.Apollonio istituite nei primi decenni del XVI secolo. Affluirono infine nel Collegio dell’Immacolata, fondato nel 1754, la quattrocentesca Confraternita “Delli Cordigeri” e il Collegio di S. Orsola, sorto nel 1613, la cui chiesa si trovava nei pressi del convento dei francescani e sul cui sito venne edificato l’Albergo Belvedere.
Nella prima metà del Seicento nacquero la Confraternita di Maria SS. del Rito e il Collegio di San Pietro la cui sede era nella chiesa dei santi Pietro e Paolo che si trova dietro l’abside del Duomo, ora dissacrata, ristrutturata e riadattata a locale di fruizione pubblica per incontri e conferenze. Inoltre, la Congregazione della Misericordia (1610) ebbe sede nella chiesa di S.Antonio de la Plaza che sorgeva nei pressi di via Mercato S.Antonio (tra gli scopi della congrega, il trasporto degli ammalati nei luoghi di cura), mentre quella di S. Maria di Loreto trovò ‘ospitalità’ nella chiesa conventuale di S. Francesco di Paola, dove si conserva una pregevole statua marmorea del Gagini raffigurante, appunto, la Madonna di Loreto. Significativi gli scopi di alcune di loro: il Collegio di S. Sebastiano, fondato nel 1630, istituì, con atto notarile, “una dote annuale di maritaggio” per le ragazze povere; il Collegio di Maria Maddalena, fondato nello stesso anno, aveva lo scopo di rifocillare e accogliere i pellegrini in una locanda che si trovava nei pressi della loro omonima chiesa sita tra il Belvedere Marconi e la via Grimaldi, abbandonata e diroccata sin dai primi decenni del secolo scorso. Su quell’area venne edificato, alla fine degli anni ’50, un edificio di civile abitazione. Infine, i confrati di Sant’ Eligio, la cui chiesetta sorgeva in fondo la via Vittorio Emanuele, nei pressi dell’attuale Istituto d’arte, partecipavano alle processione a cavallo. Si hanno inoltre notizie di altre Confraternite da tempo non più esistenti: di S. Onofrio, di Sant’Agata, di S. Nicolò, di S. Maria d’Itria, di Santa Agrippina, di S.Giuliano, di Santa Sofia, della SS. Trinità, di S. Antonio del Cretario o Critazzu e di Santa Teresa che fece la prima uscita nel 1937 per volere del rettore Giuseppe Fiorenza, poi definitivamente sciolta nel 1964. Altre quattro istituzioni, sorti tra il XVII secolo e il XVIII, furono: l’opera “Turno della sera” (1626), l’opera “Delle 40 ore” (1690), l’opera “Degli agonizzanti” (1703) e la “Congregazione della carità” (1710), che svolsero prevalentemente un’attività a carattere religioso.
Settimana Santa. Enna: I canti popolari nella processione del Venerdì Santo
Il repertorio dei canti religiosi della Settimana Santa, da quanto è emerso dalla ricerca, utilizza maggiormente testi dialettali. I contesti esecutivi di essi riguardano sia l’area pubblica sia quella domestica. Per area pubblica s’intendano le strade, le chiese; esecutori sono sia gli uomini che le donne. L’area domestica è la casa, dove principalmente le donne eseguono i canti dialettali da sole o in coro destinandoli all’ascolto dei familiari e amici e spesso ha forma prettamente privata. Il repertorio maschile è costituito da brani polivocali ad una, a due o tre voci con accompagnamento ad accordo. Monodici sono invece i canti eseguiti dalle donne ed assumono anche forme di orazioni recitate nell’ambiente domestico. Gli argomenti religiosi contenuti nei canti provengono dai Vangeli della Chiesa ufficiale e da quelli apocrifi e sono ispirati ai temi della Passione e morte di Gesù e del lamento della Vergine Maria. I lamenti appartengono alle forme delle “storie”. Essi sono in ottave o in terzine di endecasillabi, il cui tema ricorrente, anche nella stragrande maggioranza dei lamenti rilevati nel nostro territorio, ha questa sequenza:
a) il distacco della Madonna dal figlio che è catturato dai Giudei;
b) la cerca di Maria, il suo incontro con San Giovanni, il contrasto con il fabbro che prepara gli strumenti della crocifissione;
c) il pianto inconsolabile della Vergine ai piedi della croce.
La forma dei brani è spesso dialogata ed il linguaggio poetico esprime immagini, aspirazioni e sentimenti tipici dell’anima popolare. In alcuni casi, (vedi “Li Vintiquattrura” di Aidone, Piazza Armerina e Barrafranca), sono narrati ora per ora. I testi dialettali che narrano ora per ora la sequenza degli eventi che portano alla morte e resurrezione di Gesù. Suggestiva è l’espressione gestuale che accompagna i lamenti.
I testi latini adottati dal popolo nel periodo quaresimale, erano molto ricorrenti nel nostro territorio (l’uso del verbo al passato è d’obbligo dal momento che oggi solo pochi di essi vengono utilizzati).
Il popule meus è il canto più in uso, sia nella versione in latino corrotta da forme dialettali, che in italiano, vedi “Popolo mio”di Valguarnera. Denominato in gergo populo mei, populo me, o populo meo, proviene dal repertorio ufficiale della Chiesa, così pure lo Stabat Mater, il Salve Regina, Vexilla Regis, il Miserere. Era eseguito durante il periodo della Quaresima ed in particolare il Venerdì Santo.
Fa parte degli Improperia, quei lamenti, cioè, che il Cristo rivolge al popolo Giudaico per avergli inflitto le sofferenze della flagellazione e l’agonia sulla croce, irriconoscenti dei suoi benefici.
Riguardo la provenienza del testo, gli studiosi sono concordi nell’affermare che esso derivi dall’apocrifo di Esdra, composto intorno al sesto secolo, fattoci pervenire dalla chiesa di Gerusalemme. Di solito i cantori ricorrono ai testi latini come il Popule meus e lo Stabat Mater, soprattutto nei momenti più importanti dei rituali della Settimana Santa, perché ritenuti più adatti alla solennità richiesta. Del popule meus, si eseguono i primi trequattro versi che sono riproposti più volte, ad eccezione del canto rilevato a Valguarnera, interpretato in forma più completa nella traduzione “italiana”.
Peculiarità della cultura popolare tradizionale è la tendenza a manipolare, reinterpretare, apportare delle varianti ai testi originali. Ecco due significativi esempi: Il Miserere (salmo 50) registrato a Nicosia negli anni 70 è un esempio di reinterpretazione e manipolazione del testo originale. Presentiamo qui le trascrizioni del lamento interpretato da due gruppi di cantori diversi:
MISERERE
Esecuzione vocale maschile:prima voce solista, Michele Gentile (1898), denominatto ciappitta, seconda voce, Carmelo Cardella, denominato u rizzu; coro, Pietro Gentile (1892), denominato ciappitta, Brex Sigismondo (1908), denominato ruvulu.(Mancano i nominativi degli altri coristi).
Registrazione: Sigismondo Castrogiovanni. Il testo è riportato così come lo ha trascritto Michele Gentile.
Miserere madeo secondo magno misericordia
in tua.
Alompiaso lava me boniquitate mea
e di peccato mica sempre
ama niquitate di mio
condognosco di peccato mica sempre
tibe solo peccato mala quaranta fece
iuste vicendo e ti salvare vistui
vita scognodicare in tua
e di concetta sua
e di concetta sua somata emea.
O cene veritate delle siste
certo separche sapienziam tua
manifestate emite
specie miedabolo Giuseppe bandabolo
che di navbolo sopra di lavabolo
odito mio dabolo gaude di Michele Tizio
che ti saltavi in tuo somaliate
averte faci in tua pecana mea
caro mondo che aviti in adeo
spirito re de nobrisces meo.
Spirito santo nanfaroso meo
de la beata convertente
mia degna a benigno d’ogni bona volontate
tu sia
inconcitabile sacrificio iustizia
orazione sopra l’altare confitoloso.
Miserere
Miserere madeo secondo magno di misericordia
tua
Secondo molti tua della misericordia tua
e della iniquitate mea alampiusa
lampa mea bonifestate meco
e di peccato mea,
caro mundo criavono deo
o mia iniquitate meo concognosco
e di peccato contro Michele
e tubi sole peccato mei,
caromundo creavono deo
spirito ciriesumeo
salvare vistui e vita scognodicare
o cene mia veritate e di concetta sua
e di concetta non sua e somatre mea,
oceneveritate donde l’esiste
certo sepolca sapienza tua
bonifestate amico sperci
mia domine Giuseppe
bondabile che dell’avabile
sopra lavabile odita mia,
dabile gao di Michele tizio
e di solteventua semoliate iniquitate mea
e di caro mundo, creavano deo e spirito re.
Ciriunsumea alampiusa lampa mea
e facin tua spirito santo manfaroso meo,
re di Michele Tizio soltevintua semuliato.
Spirito principale conferma
o dolce misericordia sua
e della beata convertente libera madeo.
Sanguinoso salute mea
di lingua mea e di giustizia tua.
Domine lampiusa lampa mea
dell’annunziata laudantora o mio sarvoista
Salute quel collocaste non delle taberi,
sacrificio spirito santo.
Cari contribulanti cari contributo
sumiliato non delle visceri.
Benigna di chi domine,
ogni buona volontate tutta sia insufficiendo.
Maria, Gerusalemme dunque
abolì ingiustizia tua con l’azione sopra
L’altare non fitta loso.
Miserere – Testo ufficiale
1. Miserére, mei Déus, secùndum màgnam
misericòrdiam tùam.
2. Et secùndum multitùdinem miseratiònum
tuarùm, déle iniquitàtem meam.
3. Amplius làva me ab iniquitàtem méa: et a
peccàto méo munda me.
4. Quòniam iniquitàtem méam égo cognosco:
et peccàtum meum contra me est
sémper.
5. Tibi soli peccavi, et malum coram te féci:
ut justificéris in sermonibus tuis, et vincas
cum judicaris.
6. Ecce enim in iniquitatibus conceptus
sum: et in peccatis concépit me mater
mea…..
BATTI MATRI – Stabat Mater
Rilevamento:Assoro 23.01.1994 – Esecuzione vocale: prima voce solista, Nunzio Rondinella (1924), seconda voce solista, Armenio Giuseppe (1927), coro, Santo Piro (1949), Mario Di Marco (1930) Giovanni Bruno (1929), Angelo la Blunda (1926), Salvatore Childo (1930), Angelo Mazza (1929), basso, Sebastiano Sofia (1950). Lo Stabat Mater, rilevato ad Assoro, proviene dalla liturgia ufficiale della Chiesa. Il testo poetico, attribuito a Jacopone da Todi, rievoca il dolore struggente della Madonna ai piedi della croce.
Stava Batti Matri dolorosa
Iuxta Crocella lacrimòsa
comu pentébbati filiu
comu pentébbati filiu.
U cami tristi edi afflìtta
Matre mi Cristo benedétta
Co Matre donnigenito.
Cui settimo cui nonbleo Matre Criste
Di fidéli com tandu suppliziòne?
Cui non pote contristàre Cristo
Sedi Matre contemplàre doilenio eccomu
Filiu?
Quantu corpu muritùra, fache undi anima
Condinitura paradìsu e gloria am.
Se ne stava la Madre addolorata in lacrime vicino alla croce, da cui pendeva il Figlio. O quando era triste e afflitta la Madre benedetta dell’unico suo Figlio! Chi non piangerebbe al vedere la Madre di Cristo in tanto dolore? Chi non sente pena al contemplare la Madre di Cristo che soffre con il Figlio?
Allorché se ne morrà il corpo, fa che all’anima sia donata la gloria del paradiso. Amen.
Il testo corrisponde ai seguenti versi liturgici:
Stabat Mater dolorosa
Iuxta Crucem lacrimosa,
dum pendébat Filius.
O quam tristis et afflicta
Fuit illa benedìcta
Mater Unigeniti!
Quis est homo, qui non fleret,
Matrem Christi si videret
in tanto supplicio?
Quis non posset contristari,
Christi Matrem contemplari
dolentem cum Fìlio?
Quando corpus morietur,
fac, ut animae donetur paradisi gloria.
Amen.
Nella cultura musicale di tradizione orale, la provincia di Enna si segnala come una delle aree più conservative e di maggiore interesse etnomusicologico, sia per l’importante polivocalità (sacra e profana), sia per l’esistenza in vita di bravi esecutori strumentali e vocali. Gli esiti della ricerca, condotta in quasi tutti i comuni della provincia, dimostrano come questo patrimonio musicale sia oggi solo in parte vitale. In questo lavoro si è cercato di documentare il più possibile le diverse formalizzazioni musicali in cui questo patrimonio si esprime, inquadrandone il contesto da un punto di vista etnoantropologico. Si è cercato, inoltre, di registrare ogni documento in situazioni funzionali. Nei casi in cui la disgregazione dei fattori socio-culturali del mondo contadino non ha permesso il perpetuarsi della tradizione, si è fatto ricorso a quello che è ancora vivo nella memoria degli anziani.
I canti religiosi adottati dal popolo, furono quasi sempre contrastati ed ostacolati dalla Chiesa perché non conformi all’ortodossia cattolica. Il modello esecutivo dei canti popolari sulla passione e morte di Gesù, ad esempio, alla chiarezza dei testi clericali predilige le escursioni virtuose dei solisti, con tendenza a distorcere marcatamente le parole, rendendole incomprensibili. In essi, inoltre, generalmente permangono concezioni religiose non condivise dalla Chiesa e ritenute oramai superate. La Chiesa non poté frenare il manifestarsi delle espressioni specificatamente popolari e alla fine li accettò in seno alla propria organizzazione. I canti, così pure i riti delle principali ricorrenze religiose (Natale, Pasqua, Santo Patrono ecc.), furono distinti in liturgici e paraliturgici: i primi furono definiti giuridicamente preghiera pubblica ufficiale della chiesa, i secondi manifestazioni altrettanto valide dei sentimenti del popolo ma non ufficiali.
Nel Concilio di Trento (1545-1563), la Chiesa si pronunciò anche sui canti, vietando l’utilizzo della stragrande maggioranza di essi, consentendone, nella liturgia ufficiale, solo cinque: il Dies irae per la messa dei defunti, lo Stabat Mater per il Venerdì Santo, Victimae Paschali laudes per il giorno di Pasqua, Veni sancte Spiritus per la Pentecoste e Lauda Sion per il Corpus Domini.
Il processo di crisi irreversibili che ha interessato i canti religiosi di tradizione orale, non ha risparmiato di certo i lamenti denominati lamintanza o lamianti o lamintéri, eseguiti durante i giorni della Settimana Santa e, in alcuni casi, nel corso della Quaresima.
La festa della Pasqua rappresenta il momento centrale e culminante del mistero della redenzione, mistero intorno al quale ruota tutta la vita della comunità dei cristiani. L’attesa di quest’importante evento aveva un carattere di penitenza. Quaranta giorni prima della Resurrezione (tempo della Quaresima), infatti, si mortificava la carne per partecipare al digiuno che Cristo patì nel deserto come
recitano i Vangeli. L’inizio dei rituali penitenziali era annunciato dal tocco a mortorio delle campane che, a mezzanotte del martedì grasso, ultimo giorno di carnevale, metteva a tacere le feste, gli scherzi e le baldorie. Le confraternite e gruppi di devoti, già allo scoccare della mezzanotte, portavano in processione un crocifisso e percuotendosi intonavano dei canti denominati lamenti.
Il rituale ricorda verosimilmente le processioni dei Flagellanti e dei Battuti. Essi in occasione della peste in Sicilia (1347-1350), percorsero per lungo e largo l’isola in atto di penitenza, cantando il Miserere, le lodi alla Madonna e ai santi, flagellandosi con cordoni, fruste e portando catene ai piedi.
Gli isolani assimilarono molto bene tali rituali e al verificarsi di episodi infausti come siccità, carestia, peste, terremoti, davano luogo a cortei penitenziali. Appresero anche i canti sulla passione e morte di Cristo che erano appartenuti al repertorio dei Laudensi e dei Disciplinanti e che eseguivano durante la Quaresima e, in particolare, durante la Settimana Santa.
I rilevamenti effettuati sul campo dal 1990 al 1999 hanno permesso di accertare la presenza di un ampio repertorio musicale orale monodico e a più voci che, se ancora funzionale nei contesti liturgici e paraliturgici, è agonizzante, ed in molti comuni dell’Ennese scomparso del tutto.
Riguardo i canti polivocali ad accordo ancora in uso, si segnalano: brani in cui un solo solista esegue la melodia principale (vedi repertorio di Barrafranca), o più solisti si alternano durante l’esecuzione (vedi repertori di Gagliano Castelferrato, Aidone, Pietraperzia, Regalbuto, Piazza Armerina), e canti denominati bivocali, in cui intervengono contemporaneamente due voci soliste (repertori di Assoro, Cerami). In genere la squatra di lamintatùri è costituita da più di un solista, denominato di prima, accompagnati da un coro. La tecnica esecutiva è caratterizzata dall’emissione della voce dei solisti in modo sforzato, quasi gridato, dal prolungamento d’alcune note, in particolare le ultime, e da escursioni virtuosistiche vocali. Il coro, composto da un numero variabile di cantori, interviene all’unisono a rafforzare la nota finale della voce principale, mantenendola lunga e quasi in sottofondo. Talora si interrompe, per lasciare libero sfogo al virtuosismo del solista. Le altre voci sono denominate secunni, e/o terze, quarte, e/o bassi; il falsetto, in gergo faziettu, è la voce acuta che si sovrappone alla fine delle strofe, a quella del solista. La trasmissione dei canti, avveniva per imitazione. Dato l’alto indice d’analfabetismo, non erano utilizzati testi scritti. Nel corso delle registrazioni molti dei cantori intervistati hanno mostrato difficoltà a riferire i testi dei canti, specialmente quelli latini di cui ignoravano anche i contenuti.
Al di fuori dei contesti dei riti della Settimana Santa i lamenti erano eseguiti anche nei campi di lavoro, durante la mietitura, la raccolta dell’uva e delle olive e durante il lavoro in miniera.
L’esecuzione di essi, oggi, è affidata alla generazione dei più anziani che sono i depositari del modo di cantare e raramente sono affiancati dai giovani. Questi ultimi, infatti, si sentono estranei ai profondi sentimenti religiosi legati ai lamenti, anzi li considerano facenti parte di una realtà passata, espressione di arretratezza e povertà.
I pregiudizi, il disgregarsi delle componenti socio culturali e non ultimo il rinnovamento liturgico del Concilio Vaticano II, hanno contribuito inesorabilmente alla defunzionalizzazione e scomparsa di gran parte del repertorio religioso della Settimana Santa. Le marce funebri eseguite da gruppi bandistici fanno parte integrante del repertorio musicale del Venerdì Santo. Le composizioni caratterizzate da un andamento lento e solenne eseguite durante la processione del venerdì, sono le medesime che accompagnano i feretri dei defunti. I titoli dei suddetti brani suggeriscono “atmosfere strazianti e lugubri immagini”: Tutti dobbiamo morire, Pianto eterno, Dolore, I beccamorti, Cuore inabissato, Gelido bacio, Strazio, Delirio, Lacrime, Una lacrima sulla tomba di mia madre”. Lodi a Cristo, registrato a Barrafranca, è un brano singolare nel suo genere, sia in quanto è cantato e suonato dal gruppo bandistico, sia per quanto riguarda i modelli escutivi che non è in uso in altri comuni della provincia.
I canti popolari – I testi dialettali: by Pino Biondo
Pasqua di tradizione: pasta casereccia, l’immancabile agnello e… tanti dolci!
La carne spadroneggia, grande la varietà di dolciumi pasquali.
“nella festività di Pasqua la gastronomia rispetta il senso religioso dei riti connessi: quaresimale e di magro, a base di ortaggi e verdure per tutta la Settimana Santa, mentre il Sabato e la Domenica di Pasqua, ci si riconcilia con una cucina ‘ricca’ e sostanziosa cui segue una infinita varietà di dolciumi”.
Nelle famiglie si ha ancora la gelosa preparazione della pasta ‘fatta in casa’, con farina di grano duro, quali: ‘cavateddi co sucu’, ‘maccarrùna tri dita’, ‘lasagni ricci’ ed i ‘tagghiarini che funci’.
La gastronomia dell’Ennese non si basa su specialità ricche o su piatti molto elaborati, ma non per questo è poco gustosa o poco adatta a pranzi di una certa importanza: è solo lo specchio di una provincia preminentemente agricola e dedita alla pastorizia. Nella festività della Pasqua la gastronomia rispetta il senso religioso dei riti connessi: quaresimale e di magro, a base di ortaggi e verdure per tutta la Settimana Santa, mentre il Sabato e la Domenica di Pasqua, ci si riconcilia con una cucina “ricca” e sostanziosa cui segue una infinita varietà di dolciumi. D’altra parte come si potrebbe essere lieti, e disposti a laute mense, dopo le meste cerimonie del Venerdì Santo che quasi ovunque si svolgono con grande commozione e sincera partecipazione. Così a Barrafranca ed a Piazza Armerina, dove i fedeli intonano le “lamentazioni”; ad Assoro dove i Nudi seguono la “vara” del Cristo a piedi nudi; alla triste Deposizione, detta “u mulimentu”, a Leonforte; od ancora a Pietraperzia, dove si svolge la spettacolare quanto emozionante processione “du Signori di li fasci”. E’ solo al Sabato, dopo la Resurrezione, e la Domenica di Pasqua, dopo l’incontro tra la Madre ed il Figlio (detti “U scuntru” a Nicosia; o “Giunta” ad Aidone e Barrafranca); o con la gioiosa ripresa delle 24 bocche della fontana di Leonforte, dalle quali ora sgorga acqua sorgiva, rimaste “silenziose” per il lutto: che i fedeli – quasi con atto liberatorio – si dedicheranno ad una ricca tavola con la degustazione dei piatti della tradizioni e festivi. Vediamole queste specialità, spesso uniche, originali e di grande spessore. Nelle famiglie si ha infatti ancora la gelosa preparazione della pasta “fatta in casa”, con farina di grano duro, quali: “cavateddi co sucu”‘, “maccarrùna tri dita ” (maccheroni grossi tre dita); “lasagni ricci” (lavagnette arricciate all’uovo con ragù aromatizzato alla cannella, piatto tipicamente devozionale); ed i rari quanto eccezionali “tagghiarini che funci”. Primi piatti della Vigilia (spesso penitenziali), sono il “panicuòttu” col pomodoro, caduto in disuso altrove; i maccheroni “busiàti” con la ricotta; la pasta con la lenticchia nera di Leonforte; la polenta chiamata “frascàtula ” di Villarosa, piatto antico che va scomparendo (così come sono scomparsi – stavolta fortunatamente – gli zolfatai locali che la inventarono); e l’altra polenta di Nicosia, detta “piciòcia”, preparata con farina di ceci, fave, ed ancora la polenta di cicerchie (rumanèdda) di Cerami. Le ricette a base di pesce si possono contare in una sola mano, essendo come già detto, una provincia che non possiede alcun mare; cioè stante troviamo specialità interessanti quali ‘anciovi a vapùri’; ‘sardi a grottè’; o qualche altra come il baccalà alla ghiotta, preparato però in maniera del tutto originale rispetto ad altre portanti lo stesso nome.Trote ed anguille si trovano ancora nel lago Pozzillo, vicino Regalbuto, dove ancora vengono preparate alla Vigilia. Le carni spadroneggiano la Domenica di Pasqua: agnelli e ciarbiddùzzi, ovvero i capretti, vengono preparati in ogni modo, riuscendo tra l’altro le abilissime cuoche ennesi, a cuocere anche ovini adulti togliendo loro afrore e durezza. Meritano citazione l’agnello al limone (detto anche a fricassè a Valguarnera); l’agnello in umido con piselli (a Villarosa); il ciarbiddùzzi farcito; ed al forno (ovunque), o cotto alla brace; e le insuperabili stigghiole di capretto di Piazza Armerina. Naturalmente si hanno anche ottime specialità a base di pollame, tra le quali si distinguono la ‘jaddina a Calascibbittisa’, il pollo a sanfasò; il papi chinu (tacchino farcito). Numerosissime le preparazioni a base di ortaggi e legumi, per come già detto, tipiche di una cucina contadina prevalentemente vegetariana; prevalgono quella a base di carciofi, cardi, melanzane, finocchietti, peperoni, fave (queste ultime raggiungono la palma a Troina e Leonforte), i quali spesso vengono anche utilizzati per condire primi piatti (pasta che favi freschi; che pisèddi; tagliarini ca muddica e finucchieddi; pasta che mazzareddi di Aidone), fave lenticchie e verdure di Assoro; la classica frittèdda, intingolo in cui guazzano, a pari peso, fave, piselli e carciofi, che si prepara ovunque, i càmoli (cicoria selvatica) di Sperlinga; la pitànza di Nicosia (peperoni, melanzane, cipolle, patate, pomodori). Tipici alcuni insaccati che, a fette, fanno da antipasto in attesa della immancabile pasta “fastiva ” che seguirà: la fellàta (grossi rocchi di carne di maiale, con lardo aromi e stagionatura di tre mesi), ed il bucchiulàru (specie di soppressata), entrambi tipici di Agira; il subissàta (insaccato di trito di maiale con lardo, pepe, e stagionato al vento freddo) di Troina; e l’originale salsiccia di Nicosia (carne mista di maiale e coniglio). I formaggi abbondano ovunque e sono di largo consumo ed uso comune, ma immancabili in questa occasione: in particolare primeggia il pecorino qui più noto col nome di piacintinu (eccellenti produzioni si hanno a Barrafranca, Enna, Piazza Armerina) che può essere considerato unico, essendo stato inserito nel caglio una presa di zafferano selvatico, donando così alla polpa un bei colore giallo ed un gusto più ricco. Poca frutta nel complesso, ma particolari produzioni meritano ricordo, come le arance di Centuripe; le castagne di Troina; gli splendidi fìchidindia di San Cono e Piazza Armerina; le mandorle di Agira, le nocciole di Piazza Armerina; le pesche tardive di Leonforte (anche se purtroppo queste non possono trovarsi sulla tavola a Pasqua); i pistacchi di Barrafranca, Calascibetta e Pietraperzia. Sono note per bontà le olive e l’olio di Leonforte e Regalbuto, che certamente hanno contribuito alla preparazione di tutti i piatti prima elencati. Incredibile la quantità, e soprattutto, l’originalità dei dolciumi di questa Provincia, la maggior parte dei quali furono inventati per cadenzare le feste dell’anno, e quindi rinnovati e ripetuti per le grandi occasioni, quali battesimi, cresima, matrimoni. Dolciumi poveri (relativamente) per materie prime, ma ricchi di inventiva e gusto: si assaggino ad esempio i masciatèddi nuziali di Agira, ed ancora di Agira i piscilina (biscotti da forno preparati con farina di Maiorca, uva passa, mandorle tostate e pistacchi); i mustazzola di meli; i pasti di Nàpuli a Troina; ancora i mustazzola di vinu cuottu (o ‘nfasciateddi), simili a quelli del ragusano; gli sgrinfiati di Calascibetta; una serie di dolciumi con nomi tanto curiosi quanto invitanti quali cannatèlle, chitellini, degerine, pittiddi, zìppuli; quindi la deliziosa suppa angelica; gli zuccarini di Nicosia (speciali savoiardi inzuccherati); il tortòne di Sperlinga (qui fanno addirittura una sagra -il 16 agosto- per celebrare questo dolce popolare il quale consiste in fette di pane fritto e poi zuccherato), ed infine dolciumi tipicamente pasquali. Tra questi da ricordare le cassatèddi di ricotta ravioloni a mezza-luna fritti (Troina); l’originale torrone di mandorle e nocciole (Piazza Armerina); il cuscus dolce, coperto di cioccolata, pistacchi, zucchero e cannella), ed i caratteristici biscotti farciti di cucuzzàta o con crema di pistacchi, a forma di agnellini (Aidone); ed ancora i viscòtta rizzi (Barrafranca); i biscotta ca liffia (Calascibetta); i panierini con l’uovo (detto ciucilia a Cerami); e le onnipresenti pecorelle di pasta reale.
Foto a cura di Luigi Nicotra
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Foto a cura di Elio Camerlingo
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Lo speciale di ViviEnna cartaceo sulla Settimana Santa di Enna