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Assoro, sottosuolo le miniere di zolfo, salgemma, tufi, alabastro e gesso

Assoro occupa il dosso del Monte Stella sul versante Sud-Ovest, a 906 m. s.l.m. Essa è ricordata dagli storici dell’antichità come Città grande e nobile, come si evince dagli scritti di Aretino “Fuit ampla Civitas” e di Cluverio “ Vetustissima Assorinorum Memoria ” entrambi del XX secolo.
A conferma di tali affermazioni troviamo anche le testimonianze di Diodoro, Tolomeo e Plinio che hanno tramandato notizie sull’antica celebrità di Assoro, dove sorgeva il tempio del dio Crisa, visitato e ammirato anche da Cicerone che nelle Verrine chiamò gli Assorini “Viri fortes et fideles”.
Plinio, sotto l’impero Vespasiano, ricorda Assoro come città tributaria di Roma; e ritroviamo Assoro anche sotto l’impero di Costantino il grande, verso l’anno 350 a.C.
La città fu feudo dal 1336 del toscano Scaloro degli Uberti( discendente di Farinata degli Uberti), ma gli assorini, insofferenti della sua tirannia, gli si ribellarono e lo uccisero.
Fu anche feudo di diverse famiglie nobili, quali i Polizzi, gli Aragona, i Montecateno e i Valguarnera che, il 20 Gennaio 1393, la ebbero concessa in baronia dandole splendore e magnificenza mediante la costruzione di alcune opere quali ad esempio il Palazzo Valguarnera e il Castello di cui però oggi restano poche testimonianze.

CARTA D’IDENTITA’ DI ASSORO
NOME: ASAR-os: Si crede che l’origine del toponimo Asar-os (che significa luce divina) derivi dal re Siculo che gli avrebbe poi dato il nome attuale, come è testimoniato da antichi autori tra i quali Diodoro, Tolomeo, Cicerone e Plinio il Vecchio.
NASCITA: Verso il 1450 a.C. ad opera dei Siculi, federazione di tre popoli Sicani, Elimi e Sikeli, che la costruirono al centro del fertile territorio attraversato dal fiume Crisa, che gli arabi chiamarono poi Dittaino, “fiume di fango ”.
ETA’: III millennio a.C., anche se i primissimi abitatori, i Sicani, furono più antichi.
SUPERFICIE: Kmq 111,50. Nell’800 comprendeva 26 feudi : Capobianco, Cuticchi, Mandre Rotonde, Dainammare, Rape, Milocca, Piano Comune, Ogliastro, Ogliastrello, Pozzo, Pietra Maggiore, Giangagliano, Zimbalio, Rassuara, Murra, Sparacio, Serre, Cugno di Galera, Boffa e i sette feudi della baronia Bozzetta, Montagna di Mezzo, Erbavusa, Fiegotto, Catarinella, Carale, Mandra di Piano.
SORGENTI: Acque “mintina” (solforosa) e acque potabili.
FIUME: Crysas o Dittaino che nasce dall’Altesina-Travi e sfocia nel Simeto.
LATITUDINE (nord) : fra 37° 39’ 30’’e 37° 29’ 20’’(10’ e 10’’).
LONGITUDINE (est di Roma) : fra 1,57 e 2,05.
ALTIMETRIA: Dittaino è a 254 m. slm; S. Caterina è a 850 m. e il castello raggiunge i 901 metri.
PRODOTTI DEL SUOLO: Cereali, mandorle, legumi, olive, uva, agrumi, frutta.
PRODOTTI DEL SOTTOSUOLO: Zolfo, salgemma, tufi, alabastro, gesso.

SGUARDO GEOFISICO
Secondo alcune ricerche geologiche la formazione gesso-solfifera della Sicilia appartiene al Miocene Superiore, ne ricopre una vasta area estendendosi in direzione NE-SW ed occupa gran parte della provincia di Agrigento, Enna e Caltanissetta così da costituire uno dei bacini minerari più importanti d’Europa.
L’Italia infatti, dall’Emilia Romagna alla Sicilia, è ricca di depositi evaporatici (sedimenti dovuti all’evaporazione di un bacino marino che rimane isolato e sul cui fondo si depositano i sali contenuti in acqua) che si trovano in quasi tutti i paesi che circondano il Mediterraneo.
Geologicamente questi depositi sono compresi tra le marne (argille con elevato contenuto di carbonato di calcio), le argille del Tortoniano superiore (periodo caratterizzato dalla deposizione di sedimenti fini di mare profondo) e la formazione dei Trubi del Pliocene inferiore depositatisi in corrispondenza di una crisi di salinità del bacino mediterraneo.
La loro genesi è spiegata con la temporanea chiusura dello Stretto di Gibilterra in seguito all’avvicinamento della Spagna all’Africa infatti, circa 5 milioni di anni fa lo stretto di Gibilterra separava le acque dell’oceano Atlantico da quelle del bacino Mediterraneo, ma il clima estremamente arido e la mancanza di adeguati apporti idrici determinò condizioni di ipersalinità e la tendenza al suo prosciugamento.
Queste condizioni consentirono il proliferare delle Diatomee, alghe unicellulari dotate di un rivestimento duro e resistente costituito da silice idrata.

Le parti silicee di questi organismi (tra le quali dominano la Navicula westii, la Fragilaria virescens, lo Actimoptychus undulatus) si accumularono sul fondo dove costituirono la “Farina di Tripoli”.

Il fenomeno ebbe una ciclicità tale da formare più di quindici depositi gessosi alti fino a 20 metri, alternati a fini sedimenti di argille bituminose. Nel Pliocene inferiore (ca. 6,5 milioni di anni fa ), un ulteriore evento tettonico abbassò il livello della soglia, generando la riapertura dello stretto di Gibilterra, così da ristabilire le iniziali condizioni di mare profondo e da rimettere il Mediterraneo in comunicazione con l’oceano Atlantico. In tale contesto si depositarono i Trubi, le acque evaporarono dagli ambienti lagunari mentre le sostanze presenti nelle acque stagnanti, sia per il raggiungimento del grado di saturazione che per il proprio grado di solubilità, precipitarono sul fondo dello stesso. In tal modo la serie evaporitica risulta costituita da un insieme di livelli salini che si susseguono in base alle leggi chimico–fisiche di precipitazione dal basso erso l’alto:
• Tripoli
• Calcare di base
• Gessi
• Trubi
Il Tripoli è una roccia stratificata, friabile e leggerissima composta da resti silicei di gusci di organismi unicellulari : Diatomee e Radiolari, a cui si aggiungono resti di pesci. Al momento del prelievo per la presenza di sostanza organica in putrefazione è scuro ma successivamente per l’esposizione all’aria si ossida così da assumere un colore chiaro.

Il Calcare di base si presenta di colore bianco o grigio molto chiaro, di aspetto spugnoso con vuoti interni irregolari contenenti sali cristallizzati.

Il Gesso presente in natura può essere di quattro tipi:
• Alabastrino: di colore bianco, costituito da cristalli di piccole dimensioni in masse compatte.
• Balatino: gesso primario microcristallino dove si può distinguere l’alternanza annuale tra due tipi di varve (sottili laminazioni a ciclicità stagionale): chiare e gessose se dovute a precipitazione chimica tipica del periodo estivo; scure, di natura marno-argillosa, se dovute ad apporti detritici tipici del periodo autunnale.

• Sericolitico: gesso organizzato in aggregati cristallini finemente fibrosi.

• Selenitico: costituito da cristalli vitrei, spesso geminati a “coda di rondine”, lunghi da pochi microns fino a qualche metro. Se il moncone di gesso non ha subito rimaneggiamenti, l’angolo rientrante dei geminati sarà rivolto verso il tetto e l’apice verso il letto degli strati.

I Trubi sono marne di colore biancastro ricche di foraminiferi prevalentemente globigerinidae e di numerose microfratture e diaclasi (fenditura che interrompe per lungo tratto gli strati di una roccia).

All’interno di questi termini della serie solfifera, in bacini più isolati di altri, per le condizioni di forte evaporazione, si sono formati enormi accumuli di sali detti domi salini che, dal punto di vista chimico, sono rappresentati da sali di sodio e potassio.

Essi si sono sedimentati contemporaneamente ai gessi secondo le leggi
della solubilità.
In particolare dal basso verso l’alto abbiamo:
• Salgemma
• Kainite
• Silvite
• Carnallite
• Bischofite
• Sali di bromo ed iodio.
Un altro elemento importante della serie gessoso-solfifera è lo zolfo che si trova abbondante sui calcari di base e sulla cui genesi esistono teorie contrastanti tra le quali le più accreditate sono due :
1. trasformazione dei gessi (solfato di calcio CaSO4 ) che, privandolo dell’ossigeno lo trasformano in solfuro di calcio (CaS). Questo composto ottenuto, successivamente, viene trasformato in idrogeno solforato (H2 S) e idrossido di calcio Ca (OH)2. L’idrogeno solforato quindi attaccato dai solfobatteri e diventa zolfo puro ed acqua. Questo processo dipende dai batteri estremofili come ad esempio Desulphovibrio desulphuricans.
2. presenza di idrocarburi molto ricchi di zolfo, che sfuggiti alle rocce magazzino migrano verso l’alto. Questi idrocarburi nella risalita subiscono un processo di semifiltrazione da parte dei gessi e delle argille che permettono il loro passaggio e trattengono lo zolfo. In ogni caso qualunque sia stata l’origine dello zolfo, è certo che le cause sono da ricercarsi in alcuni centri dove lo zolfo si è formato e si trova in estensioni limitate come un accessorio della formazione gessosa dove si presenta in forma arborescente, con piccole cristallizzazioni sulle rocce che lo contengono. Per questo motivo i minatori erano costretti a picconare e portare all’esterno tonnellate di materiali grezzi per pochi chilogrammi di zolfo puro.


SUDDIVISIONE DEL MIOCENE:
• MESSINIANO
• TORTONIANO
SERRAVALLIANO
• LANGHIANO
• BURDIGAGLIANO
• AQUITANIANO

 

 

 

LO ZOLFO

Lo zolfo è un elemento chimico appartenente al VI gruppo del sistema periodico degli elementi, ha simbolo chimico S, numero atomico 16 e numero di massa 32,06.
E’ un non metallo di colore giallo, inodore (anche se quando si lega con l’idrogeno presenta il caratteristico odore di uova marce), insapore, con durezza 2, densità 1960 Kg/m3, insolubile in acqua e capace di fondere ad una temperatura di 115,21° C.
Brucia con una fiamma bluastra emanando un odore soffocante dovuto all’anidride solforosa ( SO2 ) che si forma come prodotto di combustione.

Esso è presente nei tre stati di aggregazione: solido, liquido e aeriforme ed ha tre forme allotropiche:
• Zolfo rombico
• Zolfo monoclino
• Zolfo amorfo
Delle suddette forme però in natura è presente solo la prima, che è stabile a temperatura ordinaria. Questa forma di colore giallo e fragile si presenta con molecole cicliche costituite da 8 atomi di zolfo (S8), atomi che non sono disposti tutti sullo stesso piano, ma che si alternano su due piani diversi. Essa si può preparare per cristallizzazione da una soluzione di zolfo in disolfuro di carbonio (CS2) ed è stabile al di sotto di 96° C, infatti se la temperatura sale sopra questo valore, lo zolfo si trasforma in zolfo monoclino.

In esso i cristalli sono a forma di ago, cerosi, fragili e gialli. Entrambe le forme fondono ad una temperatura di 119°C dando origine a zolfo liquido di color paglia costituito sempre da molecole ottoatomiche. Quando lo zolfo fuso viene messo bruscamente in acqua fredda diventa una massa gommosa e in questo caso si parla di zolfo plastico o amorfo. Esso risulta privo di cristalli e costituito da lunghe catene intrecciate derivanti dall’apertura dell’anello ottoatomico. In questa forma lo zolfo è però instabile tanto che lentamente si ritrasforma in zolfo rombico.
Lo zolfo si usa:
• in molti processi industriali per la produzione di acido solforico (H2
SO4 ), perle batterie, i saponi e i detergenti;
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• in agricoltura come fertilizzante, fungicida e insetticida;
• come elemento essenziale per la polvere da sparo;
• per sbiancare la carta;
• nei giochi d’artificio;
• in fotografia come fissante per le stampe fotografiche;
• come conservante nella frutta secca.
In Sicilia lo zolfo si trova libero in natura in giacimenti profondi della serie gessoso-solfifera (solfare) e in depositi superficiali di origine vulcanica (solfatare) disposte attorno ai crateri o alle fumarole. Nell’età romana la Sicilia era già un centro dell’industria dello zolfo infatti si ha notizia che esistevano “ publicae sulphuris fodinae ”come dimostrato dal ritrovamento di una Tabula sulphuris a Montedoro con l’iscrizione“ EX PREDIS M. AURELI COMMODIAN” risalente al periodo che va dal180 al 191 d.c.

Anche ad Assoro erano presenti numerose zolfare fra le quali: Zimbalio, Giangagliano, Bambinello, Vodi , Piliere, Tramontana, Serracampagna. Lo sfruttamento sistematico dello zolfo però si ebbe solo con la rivoluzione industriale per produrre l’acido solforico necessario all’industria chimica, quindi, poiché ben presto i giacimenti esterni si saurirono, fu necessario scavare lo zolfo in profondità.

I ZOLFATAI
PIRRIATURA: picconieri che estirpavano lo zolfo con il piccone.
SPISALORA: alle dipendenze dei picconieri, lavoravano alla ricerca di nuovi strati.
ACQUALORA: liberavano gli strati di zolfo dalle acque quando la miniera non era fornita di acquedotto. Il loro lavoro si compiva con le sguarre e i quartari o lanceddi (recipienti di creta cotta).
SCARCARATURA o CARCARUNARA o INCHITURA: riempivano di zolfo i calcheroni per la fusione.
ARDITURA : ricevevano lo zolfo fuso nelle gàvite. Alcuni erano per il giorno altri per la notte.
CARUSI: ragazzi di 8-10 anni che trasportavano all’esterno lo zolfo estirpato dai picconieri.
CARRITTERA: conducevano fuori lo zolfo mediante vagoncini.
Alcuni: (pirriatura, spisalora, carrittera, carusi) lavoravano all’interno della miniera; altri: (scarcaratura, arditura), invece, lavoravano all’esterno. Questi ultimi si sedevano attorno o vicino al calcarone, facevano colazione e dopo essersi fatto il segno della croce si mettevano al lavoro; mangiavano a mezzogiorno per poi tornare a lavorare fino al tramonto. Gli arditura restavano da soli presso il proprio calcarone e nessuno lasciava il posto se non veniva l’altro a sostituirlo per la notte. Così l’arditura che una settimana faceva la notte in quella successiva lavorava di giorno.

SANTA BARBARA
I minatori erano devoti a Santa Barbara, loro protettrice, a cui dedicavano edicole votive lungo i percorsi per le miniere. Essi erano soliti onorare la santa con feste ludiche, in cui si lasciava spazio al vino, al ballo, alla musica e ai giochi di società e anche se le pratiche religiose non erano molto coltivate, il minatore era solito accompagnare la prima forma di zolfo raffreddata ed estratta dalla gàvite con una locuzione rituale atta a propiziare il buon esito della lavorazione: nnom di Dieu, è una ( nel nome di Dio, è una). Allo stesso modo, era diffusa l’usanza di onorare la prima colata di zolfo successiva alla foratura del calcherone, con un banchetto che prevedeva il consumo di un capretto cotto nello zolfo fuso. L’animale, infatti, veniva avvolto con carta bagnata e immerso nel minerale liquido la cui temperatura alta provvedeva ad una cottura rapida, conservandone il sapore integro. Tale piatto veniva poi distribuito a tutti i partecipanti per cui la festa serviva anche a rafforzare il senso di solidarietà tra minatori.

LA CULTURA MINERARIA
Le difficili condizioni di vita che si crearono in Sicilia nel corso dell’Evo Moderno provocarono una massiccia emigrazione verso le città costiere e le località a coltivazione intensiva (agrumeti, frutteti, orti). I fertili terreni di pianura, bagnati dal Dittaino, rimasti abbandonati e incolti, diventarono prati naturali e pascolo per greggi e armenti e le acque piovane, non potendo essere assorbite dai terreni inselvatichiti, provocarono alluvioni, creando stagni ed acquitrini, dove cominciò a regnare la malaria, che faceva vittime tra la gente che frequentava quei luoghi paludosi. Questa precaria situazione socio-economica e il conseguente spopolamento, che si verificò in tutti i comuni siciliani, non risparmiò Assoro. Nella prima metà del XIX secolo, lo sviluppo dell’industria chimica dell’acido solforico e la sua grande richiesta per la produzione della soda determinarono lo sfruttamento del sottosuolo da cui ricavare lo zolfo. La Sicilia quindi, avendo numerose miniere solfifere, divenne la più grande produttrice mondiale di zolfo, anche se i benefici di tale sfruttamento andarono prevalentemente alle compagnie inglesi e francesi, che ne avevano il monopolio, e dei baroni locali. E’ da ricordare che dalla produzione solfifera, tra tutti i comuni siciliani ne trasse maggiormente vantaggio Assoro in quanto una decima parte delle miniere dell’isola si trovavano nel suo territorio. I centri solfiferi, precedentemente abbandonati e spopolati servirono a richiamare enormi masse di contadini in cerca di lavoro che per bisogno andarono a lavorare nelle viscere della terra cosicchè Assoro, vide raddoppiare la sua popolazione. Nello stesso secolo una ventina di ditte inglesi e francesi tra cui la “Societè du suphre Lampas” si contesero il monopolio degli zolfi siciliani e operando nel territorio assorino realizzarono ingenti guadagni. La società francese, però, pur migliorando il sistema di lavorazione con l’utilizzazione di nuovi macchinari e progettando la costruzione di una teleferica che doveva collegare la miniera Vodi con la zona Carmine, venne boicottata tanto che decise di smontare i macchinari e di abbandonare le miniere assorine. Da allora e durante il fascismo, antiche famiglie nobili si appropriarono dello zolfo della miniera Vodi nonostante questa fosse di proprietà del Comune. Fu in questo periodo che la classe degli zolfatai divenne la classe portante dell’economia assorina.

La prima miniera assorina che entrò in attività fu quella di Zimbalio (6/1/1823) , a cui seguirono nello stesso anno le miniere degli ex feudi Ogliastrello e Pozzo (26/6/1823). Quest’ultima era gestita dal monastero di S. Chiara. Oltre a queste le più importanti miniere assorine erano: Capobianco, Rassuara, Piliere, Pietramaggiore, Donna Carlotta, Giangagliano, Bambinello e Vodi. Gli zolfatai che lavoravano nelle vicine miniere di Vodi, Bambinello, Cavalcatore, Rassuara, Zimbalio e Gangagliano la sera facevano ritorno a casa mentre quelli provenienti dai paesi circostanti, non esistendo mezzi di trasporto, vi facevano ritorno ogni quindici giorni. Il lunedì mattina, per raggiungere la miniera e riprendere in orario il lavoro, si alzavano alle tre di notte e, anche se stanchi per la lunga strada percorsa, scendevano immediatamente nel sottosuolo. Nei primi anni dell’800 la domanda di zolfo da parte delle industrie inglesi divenne notevole per cui il 18 Ottobre 1808 Ferdinando IV di Borbone accordò la facoltà di aprire nuove zolfare previo il pagamento di 10 onze al fisco ed ancora il 24 Settembre 1816 il governo di Napoli e quello di Londra firmarono un trattato di commercio, con il quale assicuravano, ai mercanti inglesi il monopolio nell’esportazione degli zolfi della Sicilia. Dal periodo borbonico in poi le miniere più grandi vennero tenute da tecnici che riuscirono a progettare dei veri e propri piani di coltivazione. Ma nonostante i progressi, nei primi anni del XX secolo, i numerosi incidenti e lutti, le condizioni disumane dei lavoratori, portarono i minatori a scioperare. Fra tutti gli scioperi è da ricordare quello del 1952 che iniziato come una grande manifestazione durò 63 giorni consecutivi e vide coinvolti tutti i minatori ennesi tra cui anche quelli di Assoro. Questi, prima di partire per raggiungere Enna, punto d’incontro di tutti i minatori, passarono dalle miniere di Zimbalio e Giangagliano per unirsi ai compagni che avevano fatto il turno di notte. Ma, arrivati al bivio Kamut, furono costretti a fermarsi perché, proprio lì, la polizia aveva messo un posto di blocco. I minatori assorini però non tornarono indietro ma rimasero presso il bivio fino a quando la polizia si ritirò e i minatori ennesi non procurarono loro un mezzo per tornare a casa. Lo sciopero determinò l’arresto e il ferimento di numerosi minatori ma portò anche dei miglioramenti salariali. Nel 1963 le miniere vennero acquisite dallo stato e quindi dalla Regione Sicilia prima come Ente Zolfi e poi come Ente Minerario Siciliano. In molti impianti la produzione divenne industriale e si ebbero interventi di sicurezza e agevolazioni quali i soccorsi INAIL e i trasporti su mezzi. L’industrializzazione però determinò anche l’inizio dell’abbandono infatti, subito dopo la seconda guerra mondiale, in America fu messo a punto il metodo Frasch, che permetteva l’estrazione del minerale mediante l’introduzione nel terreno di una trivella costituita da tre tubi concentrici. Nel primo tubo veniva immesso un vapore di 170°C e una pressione di 6 atmosfere sufficienti a fare fondere lo zolfo, in quello centrale veniva immessa aria calda a pressione elevata che manteneva liquido lo zolfo e lo faceva risalire attraverso il terzo ormai fuso e puro. Questo tipo di estrazione, pur richiedendo un’abbondanza di acqua e combustibile, eliminava totalmente le spese di coltivazione, il pericolo di crollo delle gallerie, il rischio di inquinamento atmosferico per l’immissione di anidride solforosa e le esalazioni di grisou. In Sicilia però non fu possibile applicare tale processo in quanto le masse di zolfo siciliane erano arborescenti, di conseguenza le zolfare siciliane si avviarono al declino, stroncate dalla concorrenza americana. Nel 1975 la legge n° 42 determinò la chiusura di molte miniere dell’isola tra cui Zimbalio, Musala, Baccarato, Gaspa La Torre mentre le miniere di Giangagliano e Floristella, per opposizione delle forze sindacali, rimasero attive finchè la legge n°27 del 1988 non decretò anche la loro chiusura entro il 1990. Per circa un periodo di oltre centocinquant’anni, le miniere di zolfo costituirono una delle principali fonti di reddito per tanti comuni siciliani offrendo lavoro a molte famiglie tradizionalmente contadine infatti accanto al contadino, al pastore, all’artigianato si affiancò la figura del minatore con una caratterizzazione del tutto diversa sia in senso culturale che sociale. E’ da sottolineare che la vita in miniera ha scritto sicuramente un capitolo di storia siciliana tra i più importanti, che, anche se ha portato cambiamenti culturali, condizioni lavorative disumane, sfruttamento minorile ha determinato anche la nascita di una coscienza operaia diversa dal contadino siciliano. Oggi testimoni di questo contributo di vite e braccia consacrate alle miniere sono i diversi circoli di zolfatai presenti nei centri urbani di Assoro, Valguarnera, Piazza Armerina e Villarosa. Essi come gli altri circoli ricreativi di categoria, nel tardo pomeriggio si riempiono di anziani ex minatori sui cui volti è possibile leggere i segni delle dure esperienze vissute nel sottosuolo, tra pozze d’acqua, esalazioni di grisou, temperature infernali e condizioni igieniche molto precarie. In tali circoli e in particolare in quello di Assoro sono conservati elementi di orgoglio per il minatore come ad esempio vecchie foto, elmetti, citalene, attrezzi e strumenti di lavoro, e soprattutto pietre e minerali di zolfo nelle forme più varie. Il minatore infatti era solito, nei momenti di riposo, modellare statuine e oggetti facendo colare lo zolfo fuso su forme di gesso appositamente preparate o in bottiglie di vetro.

a cura IPSIA-IPSSAR di Enna

vedi pure:
Cenni storici sullo zolfo ennese

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