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Ricorre spesso nei commenti sulla situazione politica attuale il richiamo alla Repubblica di Weimar

Ricorre spesso nei commenti sulla situazione politica attuale il richiamo alla Repubblica di Weimar. L’ultimo che ho letto è nell’articolo di Massimo Cacciari comparso sul settimanale l’Espresso dell’11 aprile. “Per fortuna nessun Hitler è alle porte, né lo sarà mai più – scrive Cacciari, ma la figura che i nostri eroi fanno è del tutto paragonabile a quella di comunisti, socialisti, partiti conservatori e partiti cattolici della sventurata Repubblica di Weimar”. Tra i tanti episodi della storia della Germania dell’immediato primo dopoguerra ce ne sono due che suscitano stupore ed ilarità per l’ingenuità e la goffaggine dei protagonisti.
Voglio raccontare questi due episodi a quei lettori che mi seguono leggendo i miei articoli.
Entrambi si svolsero a Berlino subito dopo la fine della Prima guerra mondiale 1914-1918. Il 2 novembre 1918 si riunì a Berlino il comitato esecutivo dei delegati rivoluzionari berlinesi per discutere della data per l’azione rivoluzionaria. L’ala sinistra dei socialdemocratici indipendenti, la lega di Spartaco e l’estrema sinistra socialista erano convinte che la Germania fosse matura per una rivoluzione socialista secondo il modello della rivoluzione russa dell’ottobre 1917. In un primo momento i delegati scelsero la data del 4 novembre per l’insurrezione. Durante il dibattito, però, uno degli intervenuti manifestò qualche perplessità sostenendo che i lavoratori non erano ancora preparati. La data fu spostata all’11 novembre. La richiesta di Karl Liebknecht di fare subito fu respinta dai presidenti dei consigli rivoluzionari con la prosaica motivazione che si dovessero attendere i giorni di corresponsione dei salari agli operai. Grazie al rinvio della data dell’insurrezione, il partito socialdemocratico riprese in pugno la situazione e cambiò la rotta degli eventi. L’altro episodio, un mese dopo, accadde anche a Berlino dove, in un castello, aveva trovato alloggio la divisione popolare di marina. A questo gruppo di marinai era stata affidata la protezione della cancelleria del Reich. Ma non dovevano essere dei galantuomini quei marinai, se un militante della lega di Spartaco disse di loro che, quando agivano verso l’esterno, davano l’impressione di serietà, ma in realtà erano dei mercenari per i quali l’interesse contava assai più delle idee politiche. Infatti, dopo il loro ingresso nel castello, cominciarono a sparire i tesori artistici. Quando seppe dei furti delle opere e degli oggetti d’arte conservati nel castello, il ministro delle finanze si rivolse al consiglio dei commissari del popolo perché si ponesse fine al traffico dei marinai. Il consiglio dei commissari del popolo ordinò ai marinai di lasciare il castello. I marinai promisero di farlo a condizione che i loro crediti fossero saldati. Il comandante della città di Berlino contestò la legittimità di tale pretesa. Per tutta risposta, i marinai lo sequestrarono e si rifiutarono di lasciare il castello. La mattina del 24 dicembre le truppe fedeli al governo spararono contro il castello, ma si rifiutarono di obbedire all’ordine di assaltarlo. Si giunse ad un compromesso: i marinai liberarono il comandante della città di Berlino ed uscirono dal castello, per contro le truppe governative si allontanarono da Berlino. Fu un miracolo se, in queste condizioni, il governo non venne buttato fuori della cancelleria e fatto prigioniero. Se questo non accade, lo si deve ad uno dei capi dell’ala sinistra dell’Uspd, Ernst Dauming, secondo il quale il giorno di Natale non si poteva abbattere il governo e magari spargere sangue perché il popolo tedesco non l’avrebbe capito. E così i rivoluzionari se n’andarono a casa a festeggiare il Natale.

Silvano Privitera

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