domenica , Maggio 19 2024

Un weekend ricco di appuntamenti per la rassegna Teatri di Pietra

le Rane 02Domani al Museo Pepoli di Trapani va in scena “Carmen duo” ideazione e coreografia Giovanna Velardi

con Giovanna Velardi e Filippo Luna. Domenica nell’isola di Mothia, Marsala va in scena invece “Le Rane. Malincommedia sull’orlo del mondo” da Aristofane, regia e drammaturgia Cinzia Maccagnano. Con Luna Marongiu, Cinzia Maccagnano, Cristina Putignano, Rita Salonia, Oriana Cardaci. Lunedì, invece, nel Giardino della Kolymbetra, Agrigento ecco “Eros e Thanathos” da “Antonio e Cleopatra” di Shakspeare

ideazione e regia Mario Pupella. Con Mario Pupella, Gabriella Cassarino, Davide Ruggiano, Alessandro Palmigiano e Giulia Cancemi.

La rassegna, ideata da Capua Antica Festival e diretta da Aurelio Gatti, quest’anno è promossa direttamente dai Comuni coinvolti con il sostegno dall’Associazione Teatri di Pietra Sicilia e Capua Antica Festival, in collaborazione con numerosi enti e organismi culturali di pregio come la Fondazione Whitaker, il FAI di Agrigento e il Polo Museale Pepoli di Trapani.

“Carmen duo”

Sabato 10 agosto al Museo Pepoli di Trapani

“Le Rane”

Domenica 11 agosto, isola di Mothia, Marsala

Lunedì 12 agosto Teatro antico di Morgantina, Aidone, Enna

Martedì 13 agosto Area archeologica Vassallaggi a San Cataldo, Caltanissetta

Mercoledì 14 agosto Area archeologica Eraclea Minoa di Cattolica Eraclea, Agrigento.

“Eros e Thanathos”

Lunedì 12 agosto, Giardino della Kolymbetra, Agrigento

Ore 21.15 (eccetto Mothia 19,30) – Biglietto 10-14 euro

SINOSSI CARMEN Carmen da sempre il personaggio femminile che più di ogni altro rappresenta la seduzione, che testimonia la pulsionalità, che porta in scena il Dionisiaco come carattere primo, assimilato solo al Don Giovanni come potenza seducente, come continua ricerca che sensuale e fascinatrice diviene carnale. Nella morte accetta la propria finitezza come orizzonte di vita. Il coraggio di Carmen è un coraggio non epico, è un coraggio a-morale, un coraggio ancestrale e terreno, un coraggio di matrice biologica che nasce dalla sola consapevolezza d’essere un “corpo”. L’attualizzazione e la rilettura della Carmen segue proprio questa linea che rende vivo il personaggio e ne fa l’emblema di una rivoluzione costante; ne fa simbolo di una determinatezza esistenziale che vuole fino a scegliere la morte. L’esigenza della rappresentazione ad oggi parte dal voler indagare la profonda dignità dell’individuo in quanto tale, di una figura che trova in una umanità fatta di carne la propria ragione d’essere.

SINOSSI LE RANE

Una parodia della decadenza politica e culturale dell’Atene dell’epoca del 405 a.C., ma soprattutto una riflessione sul teatro e sulla vita morale e sociale, all’indomani della morte di Euripide e Sofocle, ultime guide intellettuali della polis. Protagonista è Dioniso, il dio del teatro, ma che qui non è più il seducente straniero delle Baccanti, bensì un patetico personaggio in cerca d’autore, un attore senza ruolo al quale avanzano battute tragiche che, fuori contesto, risultano penose e grottesche. Aristofane guarda con nostalgia al passato perché sia evidente il vuoto presente. Ma noi nel vuoto ci stiamo da un po’, non stiamo assistendo alla fine di un mondo virtuoso, siamo già oltre la degenerazione e lo sgretolamento della nostra società. Il finto cambiamento si è svelato in tutta la sua volgarità lasciando solo smarrimento, vuoto, macerie. La cultura non si mangia, l’arte non produce, la gente vuole ridere. Così siamo pieni di cimiteri senza lapidi ove regna silenzio e oblio. In scena uno di questi cimiteri, con obsoleti pezzi di scenografia, attrezzeria teatrale in disuso, personaggi-relitto, burattini rotti. Due servizievoli “becchini” coprono con rituale cura il gruppo di oggetti e uomini e, di tanto in tanto, aggiungono qualcosa o qualcuno. Inaspettati giungono sulla scena Dioniso e il suo servo Xantia, ovvero un sognatore ottuso e goffo guidato dal più furbo e lucido dei Sancho Panza, pronto a far “ricreare” il suo padrone, forse per affetto, forse per rigetto di quella cruda e desolante realtà che, altrimenti, lo circonderebbe. Entrambi mettono in moto l’arrugginito teatro, ridestano gli eterni personaggi che così ripopolano la scena. La scusa è ritrovare un autore degno di essere recitato, ma invece è tutto lì, in quell’Armata Brancaleone che si inventa le avventure, il senso di tale ricerca. Basta uno che sogni e altri che lo assecondino affinché si possa udire il canto delle Rane. E già, le Rane, chi sono? Le creature che stanno tra la vita e la morte, tra il sogno e l’incubo, tra la realtà e la finzione, tra il chiaro e l’oscuro, sullo Stige in attesa del trapasso, in attesa di poter cantare per essere zittite o ascoltate da chi, in bilico, sta inseguendo una chimera. Le Rane sono la poesia, che non si vede, ma è ovunque la si voglia evocare; sono la natura altra del mondo.

SINOSSI EROS E THANATHOS

“E’ questa la tragedia della passione. Ogni qual volta Shakespeare tratta delle forti passioni umane, mette a nudo l’anima di ognuno di noi, per ricordarci senza mezzi termini come le acque impetuose delle passioni possano facilmente spegnere il lume dell’intelletto, e come esse riescano a creare un caos totale che porta inevitabilmente alla tragedia. Da un altro punto di vista, la passione è un “vino ubriacante che acceca la vista, un fuoco, una sete divorante che nemmeno le acque dell’oceano riescono a placare…”

Nel prologo della tragedia così dice Filone di Antonio: …”Il suo cuore di capitano…rifiuta ogni moderazione…s’è ridotto a mantice e ventaglio per rinfrescare la lussuria di una zingara”

E lo stesso Antonio, rivolge a Cleopatra queste parole: “Non un minuto delle vite deve fuggirsene via senza qualche piacere. Che divertimento, stanotte?” .

Questo è il clima in cui matureranno i suicidi finali…Tutto avviene entro il recinto dei sensi ed alla luce opaca della luna. I due infelici e smoderati amanti sono due esseri privi di volontà: ognuno è prigioniero dell’altro. A volte Antonio sembra essere consapevole del suo stato di “schiavo” e sembra pure essere in possesso delle chiavi della “prigione”, ma è come paralizzato, stregato più che da Cleopatra da ciò che lega entrambi. Questa è anche la tragedia dei suicidi: Eros, Antonio, Enobarbo, Cleopatra e tutte le sue ancelle. A ognuno è rimasto se stesso per por fine a se stesso. A quel punto solo la mortale ferita può guarire tutti. E quando Antonio è appena morto, Cleopatra dirà “Tutto non è che nulla”: regni, troni, ori e imperi non sono più nulla, come niente è anche la travolgente passione che ha legato i due sventurati amanti.

La morte che Cleopatra si dà è emblematica. Essa sceglie di farsi mordere il seno da un aspide, come a nutrire la morte: “Taci, taci! non vedi il mio bambino al seno, che addormenta la nutrice succhiando?” .

Cleopatra genitrice di morte, e non poteva che finire così, perché sia lei che Antonio avevano buttato via la loro vita rinunciando alla propria volontà. In Antonio e Cleopatra il rapporto tra passione e potere, giocato tra gelosie, complicità, strumentalizzazione dell’altro, conduce a un tragico epilogo: eros e thanatos sono indissolubilmente legati; l’unione definitiva non può essere data in vita, in terra. Solo quando si spegne la passione, quando si decide di “essere se stessi per por fine a se stessi”, può nascere un rapporto libero dagli intrighi della passione. Soltanto attraverso e dopo la morte i due saranno inseparabilmente uniti.

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