Quattro geni del sistema renina-angiotensina contribuiscono a provocare l’ipertensione arteriosa, non permettendo il regolare bilancio idrosalino dell’organismo umano. Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’Unità di epidemiologia e genetica delle popolazioni dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Cnr di Avellino in collaborazione con quelli del dipartimento Assistenziale di clinica medica dell’Università “Federico II” di Napoli.
Varianti genetiche che riducono l’eliminazione del sodio a livello renale, sono associate a un rischio tre volte maggiore di ipertensione arteriosa. E’ questa la conclusione della ricerca del gruppo di lavoro coordinato da Alfonso Siani del Cnr di Avellino. I ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione su quattro geni del sistema renina-angiotensina. Questo sistema è un regolatore fondamentale del bilancio idrosalino e della pressione arteriosa dell’organismo e i geni che codificano per i componenti del sistema sono ritenuti coinvolti in varia misura nello sviluppo della malattia. La ricerca, che è pubblicata sul numero di marzo di Hypertension, è stata eseguita nell’ambito dell’Olivetti prospective heart study, uno studio, di cui è responsabile Pasquale Strazzullo dell’Università di Napoli, che da oltre 25 anni coinvolge circa 1.000 dipendenti di sesso maschile dell’azienda una volta presente a Pozzuoli e a Marcianise. Questi soggetti sono stati sottoposti a una valutazione periodica per identificare i fattori metabolici, nutrizionali e genetici associabili al rischio cardiovascolare.
“Nel 3% della popolazione in esame”, spiega Alfonso Siani del Cnr, “abbiamo identificato una condizione di omozigosi per le quattro varianti genetiche che si associava a una significativa alterazione del riassorbimento renale del sodio e a un rischio più elevato di ipertensione. Mentre sono stati identificati molti fattori nutrizionali e ambientali che contribuiscono allo sviluppo di ipertensione arteriosa, tra cui ricordiamo l’eccessivo consumo di sale e l’obesità”, prosegue Siani, “gli studi di genetica e biologia molecolare hanno gettato nuova luce sui meccanismi molecolari di regolazione della pressione arteriosa”.
L’ipertensione (patologia che colpisce circa il 30% della popolazione adulta ed è associata a un rischio molto elevato di ictus cerebrale e infarto del miocardio) può infatti essere definita una malattia multifattoriale su base poligenica, dipendente cioè dalla complessa interazione tra fattori ambientali e l’attività di decine o forse centinaia di geni.
L’importanza di questa ricerca è la dimostrazione dell’esistenza di un rischio genetico con un effetto clinicamente misurabile su una patologia largamente diffusa quale l’ipertensione arteriosa. “In prospettiva”, conclude Siani, “l’identificazione di queste impronte genetiche potrà contribuire a intervenire con misure di prevenzione e/o terapie farmacologiche mirate sui soggetti a rischio più elevato”.