Il percorso della mostra si sviluppa in quattro sezioni, ognuna legata ad un aspetto che caratterizza la dimensione quotidiana della vita delle persone omosessuali.
Il titolo, qui usato come metafora, rimanda appunto a questa condizione legata alla dichiarata volontà di non riconoscimento e quindi di necessario silenzio, necessario occultamento della propria individualità ma anche, per riflesso, di necessaria rivendicazione, di orgoglio, di richiesta di un pieno riconoscimento.
FEAR / LA PRESENZA RIMOSSA
Dean Sameshima: Figures of lust, furtively encountered in the nights, (2004).
I lavori di Sameshima sono spesso legati alle tematiche omosessuali, sia come immaginario erotico che come riflessione politica. In Figures of lust, furtively encountered in the nights, l’artista restituisce la dimensione dei rapporti “furtivi” delle chat. Sono corpi sessuali il cui viso è oscurato dal flash della macchia fotografica. Nessun volto, nessuno sguardo, solo corpi, furtivi.
Esiste un paradosso illuminante che la fotografia ricostruisce: il contrasto tra l’esibizione estrema del corpo, fino allo svelamento di ogni possibile intimità, e l’ occultamento del volto in quanto pericolosa rivelazione della personalità. La genitalità ostentata in un corpo acefalo è un cerchio che non si chiude; una vita irrisolta e una libertà repressa: la manifestazione della paura del giudizio sociale; della sessualità vissuta come colpa. Sono atto sessuale e non persona; sono sesso spersonalizzato quasi che non volessi bruciarmi la strada del ritorno: sono omosessuale o bisessuale ma solo nella penombra e nel recinto di un umwelt virtuale, protetto da una maschera o da un nascondiglio. (Paolo Patanè, testo in mostra).
IDENTITY / L’ESISTENZA E LA VISIBILITA’
L’assunzione di Identità è un atto politicamente responsabile e rivoluzionario solo quando insieme all’identità si assume la sua “dissoluzione”, la sua potenzialità di atto costantemente in divenire e mai definitivo. Ed il Pride trova il suo senso proprio in quanto espressione di questo divenire e di questo “gioco” sulle/delle identità. Metterci non la faccia, ma LE facce: per giocarci e non per indossarle. (Luigi Carollo, testo in mostra).
Stefania Galegati Shines, con la serie Palermo Libera tutta, realizzata come campagna di comunicazione per il Palermo Pride del 2012, mostra la vita dei quartieri popolari della città cogliendo la quotidianità più vera, in cui essere normali significa anche sopravvivere. La ricerca della normalità è al centro di queste immagini, dove i soggetti ritratti, sullo sfondo di una Palermo di luoghi marginali che necessitano di essere liberati, sono tutti attivisti lgbt che rivendicano anch’essi la stessa libertà di quei luoghi occultati.
Ferdinando Scianna, maestro della fotografia, in USA, New York: gay parade. (Forme del Caos) ci regala due scatti che ritraggono alcuni partecipanti alla gay parade di New York del 2001. Con il suo inconfondibile sguardo poetico e raffinato coglie con estremo pudore, nelle forme del Caos, frammenti di emozioni che restituisce cristallizzate alla nostra attenzione.
Andrew Mania e Benny Chirco reinterpretando in chiave contemporanea la gloriosa tradizione raffigurativa della ritrattistica ci offrono una serie di disegni (pastelli e carboncino) ispirati alla iconografia maschile omosessuale.
RIGHT / ORGOGLIO VS PREGIUDIZIO
Negli ultimi anni, in tutto il mondo, un innegabile e insopprimibile bisogno di diritti si manifesta ovunque, sfida ogni repressione, sperimenta nuova definizioni e nuove pratiche, contamina la politica e l’arte, crea nuove reti ed allarga gli orizzonti di milioni di persone. Sempre più donne e uomini acquistano consapevolezza, si ribellano a regimi politici autoritari, denunciano le diseguaglianze, si organizzano su Internet, sfidano convenzioni e regole. Si fa largo una nuova idea di cittadinanza, di un patrimonio di diritti che accompagna la persona in ogni luogo del mondo.
A questo processo globale corrisponde una altrettanto diffusa mancanza di rispetto per i diritti di tutti e di ciascuno, sempre sacrificabili per una ragion di Stato o di mercato. (Daniela Tomasino, testo in mostra)
Loredana Longo, con la sua consueta cifra stilistica intrisa di forza e determinazione, imprime su un tappeto, come memento, Don’t ask, don’t tell (2013), ribadendo in forma di monito la legge non scritta a cui attenersi in nome di un quieto, ma inautentico, vivere.
Di Domenico Mangano è lo striscione finemente ricamato che oltre al classico Rainbow simbolo LGBT reca lo slogan volutamente in siciliano CU AVI LINGUA PASSA U MARI (2012), rappresentativo del gruppo di supporter, da lui stesso ideato, del Palermo Calcio. Mangano crea un cortocircuito inserendo in un contesto “machista” come quello del calcio una dichiarazione d’amore per la squadra del cuore da parte di un gruppo di supporter omosessuali. La sua è un’opera fortemente relazionale, che cerca di stabilire un contatto con la squadra rivendicando l’autonomia e la forza di un legame affettivo. L’intuizione di Mangano si basa sulla potenza dell’aggregazione sociale come espediente per creare un legame, un’appartenenza, un’abitudine politica.
Alice Guareschi I colori sono miei / The colours are mine (2004). E’ uno dei suoi primi lavori, di piccole dimensioni, silenziosamente “politico”, nell’affermare quello che suona come un paradosso
(i colori sono miei), rivendica allo stesso tempo con forza uno spazio di libertà, di visione,
di azione personale. Mappamondo (2009), di nuovo, “politica” silenziosa degli oggetti: le 195 bandiere degli stati del mondo sono ordinate alfabeticamente e cucite insieme fino a formare un’unica lunga striscia di quasi 30 metri, un gesto semplice capace di sospendere ogni differenza, a fronte della incontrovertibile democrazia dell’alfabeto.
Adalberto Abbate con FOR VLADIMIR PUTIN ONLY (2013), appartenente alla serie Rivolta (2009/20013), ci offre una riflessione netta e senza censure rispetto alle attuali prese di posizioni assai dure e censorie del governo Putin nei confronti della comunità Lgbt russa.
Liliana Moro, coniuga in chiave Pride un precedente lavoro del 2011, Assalto ad un tempo
devastato e vile; un semplice carrellino, elemento costante nelle ultime opere dell’artista, ricorda
la strada come passaggio, come precarietà, la strada che apre un varco lasciando penetrare
nelle viscere della città flussi di umanità invisibile, che sta ai margini. I carellini che sono tutto il mondo dei clochard, degli artisti di strada e di tutti coloro che sono pellegrini, sono lo strumento simbolico con cui la Moro da’ voce a questa umanità. Restituisce dignità al loro modo nomade di vivere la quotidianità. Sublima con la sua arte “alta” l’esistenza inconsistente della gente invisibile per la società, illuminandola con la poesia, regala la luce.
LOVE / LE POSSIBILITA’ DELL’AMORE
La strada è ancora tanto lunga .
In troppi luoghi del mondo l ‘amore ancora proibito, imprigionato, ucciso. Ma il cammino ormai segnato. L’amore liberato contagia e nessuno può fermarlo. L’ unica vera rivoluzione possibile senza armi. La gioia dell’amore ritrovato. I nostri corpi finalmente risorti e felici atterriscono chi vuole continuare a nutrirsi di angoscia, morte e psicofarmaci.
L’AMORE E’ LA CURA!
“Cambiate partner , fate la corte alla gioia “! Cantava Nino,
e insieme a lui tutti noi non possiamo e non vogliamo più essere complici, vogliamo essere felici. (Massimo Milani, testo in mostra)
Con Stefano Arienti abbiamo rintracciato in un suo lavoro “storico” l’idea originale di orgoglio,
Bacio in piscina (2000) è una riflessione sull’uso del corpo. Uso che è politico, legato ad una
rappresentazione spesso falsata, che deve tener conto dell’atavica contaminazione delle religioni
o degli stereotipi sociali. Dunque un corpo che, se vogliamo, è una prigione laddove non è libero di esprimersi. Arienti annulla il peso di un così grave concetto utilizzando un leggerissimo ed impalpabile medium: una carta traslucida che racchiude due figure abbracciate immerse in un calore caldo, rassicurante.
Adrian Hermanides. Serie Macho in Andromenda (2009). Un opera enigmatica, un efebico fanciullo come un novello San Sebastiano sul cui corpo si irradiano punti luminosi che tracciano una mappa interiore, segno evidente di pensieri e sentimenti nascosti.
Di Vedovamazzei vengono presentati due lavori, il video One too many 15 years later 1996/2011, e Lesbians (2012). Quest’ultimo è un lavoro poetico e anche straordinariamente anticipatore. Due donne, due compagne, due soldatesse, che non hanno paura di mostrarsi, che non si lasciano intimidire dal contesto e dal tempo riuscendo ad affermare se stesse. L’immagine originale è tratta da una fotografia dei primi del Novecento, due figure di donna con la tuta da lavoro in tessuto jeans, simbolo per antonomasia del lavoro pesante, sembrano voler dimostrare un coraggio che va oltre ogni apparenza. Con le loro tute sporche di grasso, con le loro impronte ancora fresche sul corpo, non hanno paura di “sporcarsi”, di mettere la faccia per ciò in cui credono. Pioniere di una consapevolezza che rende liberi.
Felix Gonzales Torres, Untitled (Aparicion), (1991). Il lavoro di Torres è autobiografico, raccontando il suo amore per il compagno morto nel 1991. Come dichiara lo stesso artista in un’intervista “L’amore ti dà una ragione di vita, ma è anche un motivo di panico, si ha sempre paura di perdere quell’amore.(…) Freud ha detto che mettiamo in scena le nostre paure per diminuirle. In un certo senso questa generosità -il rifiuto di una forma statica, della scultura monolitica, a vantaggio di una forma fragile, instabile- era un modo per mettere in scena la mia paura di perdere Ross, che scompariva a poco a poco davanti ai miei occhi.”
Goldiechiari, Cosmic Love prosegue la ricerca avviata con Enjoy mettendo in relazione l’immaginario erotico dei sex toys femminili con l’iconografia della conquista dello spazio. Una metafora che evidenzia la faticosa conquista della dimensione autentica e gioiosa della propria sessualità.
Il video Cosmic Love è un viaggio intergalattico che simula una cosmogonia immaginaria, composta da pianeti dai colori brillanti, costellazioni e stelle dall’aria surreale. È un lento viaggio esplorativo di avvicinamento ai pianeti che nella carrellata finale consente una visione complessiva del sistema planetario svelando la natura degli oggetti: colorati sex toys.
Lovett/Codagnone, I Didn’t Do It, (1995). Raccontano i due artisti: “Per noi questa serie di foto rappresenta in modo molto chiaro lo sviluppo della nostra pratica degli anni successivi dove la performance diventerà la nostra principale forma espressiva ma che al tempo non avevamo ancora individuato. E’ la serie di foto del nostro lavoro fotografico che amiamo di più. In questa mise en scene barocca e comica si riassumono tutti i temi importanti della nostra ricerca di allora: l’identità’ sessuale, i rapporti di potere, il sovvertimento dei rigidi ruoli sessuali (top/bottom), le aspettative sul gender che viene presentato come una forma di masquerade e l’ironia sulla pornografia e l’immaginario erotico omosessuale.”
La seria venne presentata parzialmente nella prima mostra personale di Lovett/Codagnone nel 1995/96 a White Columns, New York. Fu prodotta interamente nel 1998 in occasione di una mostra collettiva a Madrid curata da Octavio Zaya, ma la serie non venne esposta perchè censurata e sostituita da un altro lavoro. Solo nel 1999 venne esibita per intero per la prima volta in Svizzera e poi nella galleria milanese di Emi Fontana.
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