Robert Capa, uno dei più famosi fotografi di guerra, disse: «Se le tue foto non sono abbastanza buone, significa che non eri abbastanza vicino».
E lui vicino lo era di certo, accompagnando l’esercito americano in Europa dal 1943 al 1945.
Questi scatti della Seconda Guerra Mondiale, alcuni davvero rari, sono esposti da oggi al 10 maggio alla Daniel Blau Gallery di Londra.
Di Capa diceva lo scrittore John Steinbeck: «Sapeva che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino».
Ed ecco l’Italia del 1943, in particolare la Sicilia.
Da I Lestrigoni:
“Eravamo alla periferia di Palermo i tedeschi erano stati isolati e ciò che restava delle forze italiane non aveva intenzione di combattere. La jeep che mi ospitava, seguiva i primi carri della seconda divisione corazzata lungo il percorso verso il centro della città. La strada era fiancheggiata da decine di migliaia di siciliani in delirio che agitavano fazzoletti bianchi e bandiere americane fatte in casa con poche stelle e troppe strisce. Avevano tutti un cugino a “Brook-a-leen”. Ero stato all’unanimità riconosciuto come siciliano dalla folla in festa. Ogni rappresentante della popolazione maschile voleva stringermi la mano, le donne più anziane darmi un bacio e le più giovani riempivano la jeep di fiori e frutta. Nulla di tutto ciò mi fu di un qualche aiuto per scattare fotografie”.
C’è una storia che sfugge all’inchiostro delle penne e ai macchinari delle tipografie. Una storia vivida e animata, un percorso cronologico delineato non da parole, ma da immagini, un percorso lastricato di pellicola fotografica, di istantanee, con la tavolozza del bianco, del nero e delle loro gradazioni.
Robert Capa, dedicò la sua vita a questo tipo di narrazione, lasciandoci scorci di un secolo abbruttito dalle guerre.
I suoi reportage rendono testimonianza di cinque diversi conflitti bellici: la guerra civile spagnola, la seconda guerra sino-giapponese, la seconda guerra mondiale, la guerra arabo-israeliana del 1948 e la prima guerra d’Indocina. Nelle sue foto voleva cogliere l’attimo per eccellenza, quel singolo istante nella folle frenesia della guerra, era la sua missione la sua ambizione più grande che controbilanciava il forte rischio a cui in prima persona si esponeva. Era solito ripetere ai suoi colleghi: “Amate la gente e fateglielo capire” e “Se le vostre foto non sono sufficientemente buone, vuol dire che non siete andati abbastanza vicino”.
Capa seguiva le battaglie così vicino da sentire il terreno ballare e possedeva una straordinaria capacità di documentare le sofferenze dei civili innocenti, specialmente bambini. Fotografò raramente la morte e i feriti gravi. Si concentrò invece sui sopravvissuti che continuavano la propria vita nonostante le morti dei familiari, le difficoltà e le distruzioni.
L’orribile tendenza della guerra moderna è di de-umanizzare. L’obiettivo di Capa era di ridare un senso umano e personale alla guerra fotografando in genere un singolo individuo mentre è in azione, facendo strette inquadrature sulle espressioni facciali. Come scrisse il suo amico John Steinbeck, “Capa sapeva che non si può fotografare la guerra, poiché è essenzialmente un sentimento. Ma lui fotografò questo sentimento, riuscendo ad immortalare ciò che vi è dietro. Fece vedere il terrore di un intero popolo nel volto di un bambino.”
Il celebre fotografo, il cui vero nome era Endre Ernò Friednam, nacque a Budapest il 22 ottobre 1913, ma nel 1931 dovette abbandonare l’Ungheria, perché l’adesione ad alcune attività studentesche di sinistra gli costò l’esilio. Trasferitosi a Berlino, inseguendo le sue velleità di scrittore, si iscrisse al corso di giornalismo della Deutsche Hochschule fur Politik, ma dopo pochi mesi, fu costretto a lasciare gli studi a causa delle difficoltà economiche dei genitori.
Trova lavoro alla Dephot, la principale agenzia fotogiornalistica tedesca. La sua carriera di fotografo si può dire che ha inizio nel 1932 quando riesce a fotografare, fra molte difficoltà, Lev Trotzky (rivoluzionario russo costretto all’esilio da Stalin, dopo la rivoluzione Bolscevica) durante un comizio a Copenaghen.
Lasciata Berlino subito dopo l’incendio del Reichstag del 1933, riuscì ad ottenere il permesso di ritornare a Budapest, dove il suo soggiorno fu però breve, perché il suo spirito d’avventura, lo spinse alla volta di Parigi. Lì incontrò Gerda Taro, una profuga tedesca destinata a diventare sua compagna nonché collega.
Anche Gerda era fuggita dalla Germania nazista. Oltre ad essere ebrea, infatti, la futura fotografa era stata anche membro attivo di alcune organizzazioni comuniste. E’ la stessa Gerda, in verità, che vende ai redattori le fotografie di Edward sotto “mentite spoglie”. Ben presto il trucco viene scoperto, allora cambia il proprio nome con quello di Robert Capa. “Avevo un nome che non andava troppo bene. Allora ero altrettanto incosciente, soltanto un po’ più giovane. Non riuscivo ad ottenere un incarico. Avevo assolutamente bisogno di un nome nuovo”.
Fotografa i tumulti di Parigi nell’ambito delle elezioni della coalizione governativa di sinistra nota come Fronte Popolare. In agosto si reca in Spagna con Gerda Taro, per fotografare la guerra civile scoppiata in luglio. Effettua un secondo viaggio in Spagna in novembre per fotografare la resistenza di Madrid. E’ presente su vari fronti spagnoli, da solo e con Gerda, diventata nel frattempo una fotogiornalista indipendente.
Capa utilizza una Leica, formato 24×36, Gerda una Rollei 6×6 che le impone un’inquadratura bilanciata. Come in letteratura esiste una tradizione letteraria contemporanea del racconto di guerra così sono Gerda e Robert a inventare, in fotografia, il racconto per immagini. I due costruiscono le foto in modo diverso, l’uno reinventando l’uso del mosso, a volte dello sfuocato, usando la sequenza per rappresentare un racconto; l’altra cerca di comporre un’inquadratura attenta creando, ugualmente, immagini dense di storia.
Nel luglio del ’37, mentre egli si trovava a Parigi per lavoro, Gerda va a fotografare la battaglia di Brunete a ovest di Madrid. Durante una ritirata, nella confusione, muore schiacciata da un carro armato del governo spagnolo. Capa, che sperava di sposarla non si risolleverà mai dal dolore.
L’anno dopo trascorre sei mesi in Cina in compagnia del cineasta Joris Ivens per documentare la resistenza contro l’invasione giapponese ma, tornato in Spagna nel ’39, fa in tempo a fotografare la capitolazione di Barcellona. Dopo la fine della guerra civile spagnola, in marzo, ritrae i soldati lealisti sconfitti ed esiliati nei campi d’internamento in Francia. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, in settembre, raggiunge New York, dove incomincia a lavorare per la celebre rivista “Life”, la quale gli affida incarichi che lo portarono, ad esempio, fino in Messico per fotografare la campagna presidenziale e le elezioni. Non contento, attraversa l’Atlantico con un convoglio di trasporto di aerei americani in Inghilterra, realizzando numerosi servizi sulle attività belliche degli alleati in Gran Bretagna. Da marzo a maggio del ’43, realizza un reportage fotografico sulle vittorie degli alleati in Nord Africa.
Nel luglio del 1943 a bordo di un piccolo aereo con pochi soldati Capa arriva in Sicilia: di notte si lancia col suo paracadute, atterra su un albero, dove rimane sino all’indomani, quando gli altri tre paracadutisti che erano con lui lo trovano e lo aiutano a scendere. Quando arrivano i militari della prima divisione americana, si unisce a loro e avanza verso gli importanti obiettivi militari della campagna di Sicilia.
“…Aveva allestito una camera oscura in una piccola tenda. Sotto i teli neri il calore era soffocante. Per impedire allo sviluppo di bollire, Chris aveva fatto requisire due enormi blocchi di ghiaccio alla mensa dei sottoufficiali che protestarono subito perché quel ghiaccio doveva servire l’indomani per fare il gelato. Ci spogliammo e andammo a lavorare. Il sudore colava addirittura nell’acido di sviluppo. Le nostre prima copie, ancora bagnate, furono stampate appena in tempo prima che il ghiaccio si sciogliesse. Strappammo un lembo della tenda e respirammo la brezza del deserto, cosi fresca all’aurora .…Mentre Chris si concentrava sulla strada dissestata dalle buche delle bombe, scrutando nella semi-oscurità, diedi un occhiata alle mie foto. Erano Leggermente fuori fuoco, un po’ sottoesposte e la composizione della foto non era certamente un opera d’arte. Ma erano le uniche fino quel momento disponibili dell’invasione della Sicilia….”
Dopo tre settimane dallo sbarco, gli americani si avvicinano al capoluogo dell’isola. Giunto a Palermo e sentito che la 1ª Divisione di Fanteria (USA) stava combattendo da qualche parte in mezzo alla Sicilia, si avvia alla ricerca della nuova battaglia da fissare sulla pellicola. Gli americani stavano combattendo a Troina nell’interno dell’isola e avevano notevoli difficoltà ad espugnare il paese difeso da soldati italiani e tedeschi che opponevano una strenua resistenza. I combattimenti durarono sette giorni. La ritirata e la resa avvennero solo dopo feroci bombardamenti aerei che distrussero gran parte del centro abitato della piccola cittadina.
Furono giorni di intenso lavoro per Capa che realizzò su quelle isolate montagne alcune foto che diventeranno tra le più famose della sua carriera, ma anche di profondo risentimento per tutto quello che gli accadeva intorno: “Era la prima volta che seguivo un attacco dall’inizio alla fine ma fu anche l’occasione per scattare ottime foto. Erano immagini molto semplici. Mostravano quanto noiosa e poco spettacolare fosse in verità la guerra. Il piccolo, bel paesetto di montagna, era completamente in rovina. I tedeschi che lo avevano difeso si erano ritirati durante la notte abbandonando alle loro spalle molti civili italiani, feriti o morti. Ci eravamo distesi per terra nella piccola piazza del paese, di fronte alla chiesa, stanchi e disgustati.”
Durante la parte rimanente dell’anno documenta i combattimenti nell’Italia continentale, compresa la liberazione di Napoli.
Il 1944 è un anno molto intenso, partecipa allo sbarco alleato ad Anzio, a quello con il primo contingente delle forze americane a Omaha-Beach in Normandia, alla campagna che si conclude con la liberazione di Parigi e la battaglia di Bulge. Paracadutato poi con le truppe americane in Germania, fotografa l’invasione degli alleati a Lipsia, Norimberga e Berlino. In giugno incontra Ingrid Bergman a Parigi e inizia una storia che durerà due anni.
Terminato il conflitto mondiale, diventa cittadino americano. Trascorre alcuni mesi a Hollywood, scrivendo le sue memorie di guerra (che intendeva adattare in un copione ), preparandosi a diventare produttore-regista. Infine, decide che il mondo del cinema non gli piace e parte da Hollywood. Alla fine dell’anno, trascorre due mesi in Turchia per le riprese di un documentario.
Nel 1947 fonda, insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger, l’agenzia fotografica Magnum Photos dove assume il ruolo di presidente. La sua opera di testimone del secolo è instancabile: Nei due anni che vanno dal 1948 al ’50 effettua tre viaggi in Israele. Purtroppo, quelli sono anche gli anni del maccartismo, della caccia alle streghe scatenata in America. A causa di false accuse di comunismo, dunque, il governo degli Stati Uniti gli ritira il passaporto per alcuni mesi impedendogli di viaggiare per lavorare. Lo stesso anno è affetto da un grave mal di schiena che lo costringe a ricoverarsi.
Nel 1954 inviato da “Life” accompagna una missione militare francese in Indocina. Il 25 Maggio durante una sosta del convoglio a Thai Binh, Capa si allontana in un campo insieme con un drappello di militari dove calpesta inavvertitamente una mina anti-uomo, rimanendo ucciso.
L’anno dopo, “Life” e Overseas Press Club istituiscono il Premio annuale Robert Capa “per la fotografia di altissima qualità sostenuta da eccezionale coraggio e spirito d’iniziativa all’estero”.
Così lo ricorda Henri Cartier-Bresson: “Per me, Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria”.