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Intreccio di vicende personali e politiche nella biografia di Emanuele Macaluso, stimato dirigente del Pci

Non c’è comune della Sicilia dove Emanuele Macaluso non sia mai stato. Da giovane dirigente della Cgil prima e da dirigente del Partito comunista italiano (Pci) dopo, nella seconda metà degli anni ’40 e negli ’50 e anche successivamente, la girò in lungo e in largo entrando in contatto umano e politico con zolfatari, contadini, militanti del Pci e compagni del sindacato. Quanti l’hanno conosciuto, compagni di partito e del sindacato e gente comune, hanno accolto la notizia della sua scomparsa all’età di 96 anni con sincera commozione come testimoniano i numerosi post che leggiamo sui social. Anche giornali e televisioni hanno giustamente dedicato grande spazio alla scomparsa di Macaluso, stimato dirigente di rilievo nazionale del Pci di cui in questi giorni ricorre il centenario della sua fondazione. Ha diretto il Pci a fianco di Togliatti, Longo e Berlinguer, che ne furono i segretari nazionali. L’inestricabile intreccio delle sue vicende personali e politiche sono il tratto distintivo della sua biografia. Nasce a Caltanissetta nel 1924 da una famiglia popolare, papà aiuto macchinista di locomotiva a vapore, mamma casalinga e due fratelli. Non potendo contare su una famiglia facoltosa, frequentò la scuola di avviamento al lavoro prima e poi, dopo aver superato l’esame di ammissione, l’istituto tecnico minerario. “Avrei voluto frequentare il ginnasio e il liceo, ma la mia famiglia non poteva mantenere agli studi tre figli”, racconta Macaluso nel libro “50 anni nel Pci”. All’Istituto tecnico minerario costituì un gruppo antifascista e genericamente socialista a cui aderirono studenti della sua stessa età e anche più grandi. Il contatto con il Pci non avviene a scuola, ma nel sanatorio di Babbaurra, una contrada della campagna nissena, dove venne ricoverato nel 1941 per curarsi dalla tubercolosi. Alcuni giorni prima di uscire dal sanatorio, andò a fargli visita Gino Giannone, di qualche anno più grande di età, che gli propose di entrare nel Partito comunista d’Italia (Pcdi). “Mi stupiì, perché sapevo bene che Gino era, come me antifascista, ma non comunista e militante. Il Partito comunista, mi disse, è l’unica forza organizzata, in tutta la provincia e in Sicilia, e c’è un collegamento con il centro interno, che fa avere informazioni e stampa”, ricorda Macaluso. Uscito dal sanatorio, Macaluso venne messo in contatto da Giannone con il capocellula del Pci nisseno, Calogero Boccadutri. Con la cellula nissena del Pci, entrò in contatto anche Leonardo Sciascia, che studiava al magistrale, ma non entrò nel Pci. Finita la guerra in Sicilia, dopo la sbarco degli angloamericani e la cacciata dei tedeschi nell’estate del 1943, il giovane comunista Macaluso guidava le lotte dei zolfatari e dei contadini nell’occupazione delle terre. L’altro incontro decisivo per la vita di Macaluso, che avvenne sempre subito l’uscita dal sanatorio tra il 1941 e il 1942, fu quello con Lina, una donna sposata, giovane bella. Lina aveva già due figli quando iniziò la relazione con Macaluso. Ala fine del 1943 decisero di rendere pubblica la loro relazione suscitando scalpore. Quella relazione non veniva vista bene dal Pci. Gli avversari politici, agrari e democristiani, fecero pressioni sul marito di Lina per denunciarli per adulterio. Furono processati e condannati a sei mesi di prigione. Dalla relazione di Macaluso con Lina nacquero nel 1950 due gemelli, Pompeo e Antonio che crebbero con i due figli che Lina aveva avuto dal primo marito. Macaluso volle molto bene a questi due figli della sua compagna. Ma fu con Pompeo che Macaluso ebbe un intenso e conflittuale rapporto. Pompeo, che morì all’età di 64 in Svizzera dove faceva di mestiere l’insegnante prima di iscriversi al Partito socialista ticinese, da giovane, fu militante dell’Unione dei comunisti italiani marxisti-leninisti, un gruppo della sinistra extraparlamentare noto anche con il nome “Servire il popolo”, che era in forte polemica con il Pci di cui suo padre era un dirigente nazionale. Si parla in questi giorni di Emanuele Macaluso politico, che a 23 anni nel 1947 Giuseppe Di Vittorio, il segretario generale della Cgil, lo chiamò a dirigere la Cgil siciliana, che nel 1951 fu eletto all’Assemblea regionale siciliana. Nel 1956, l’anno del XX Congresso del Pcus del rapporto segreto Nikita Kruscev sullo stalinismo, della rivoluzione ungherese repressa dall’Armata Rossa, dei sommovimenti in Polonia e dell’VIII Congresso del Pci, lasciava la Cgil per sostituire Paolo Bufalini alla guida dei comunisti siciliani. Quel trasferimento dalla Cgil al Pci non piacque a Di Vittorio, che protestò vivacemente perché pensava ad un incarico nella segreteria nazionale della Cgil per Macaluso. Negli anni 1958-1960 fu uno dei principali artefici dell’operazione Milazzo, che mise in seria difficoltà la Democrazia cristiana del segretario Amintore Fanfani. Nel 1960, Macaluso venne eletto, dopo il IX Congresso del Pci, nella direzione nazionale del partito. Nel 1962 lasciava la guida dei comunisti siciliani a Pio La Torre per andare a Roma dove nel 1963 entrava nella segreteria nazionale del Pci prima con Palmiro Togliatti e poi con Luigi Longo. Nelle elezioni politiche del 1963 fu eletto alla Camera dei deputati. Nel 1966, con Enrico Berlinguer, si occupò dell’organizzazione dell’XI Congresso Nazionale. Fu in quegli anni che Macaluso conobbe a Roma Erminia, la sorella di Eugenio Peggio, l’economista del Pci. La relazione con Lina era ormai alla fine. Macaluso strinse una relazione molto intensa con Erminia, ma quando nel 1966 questa gli chiese di rompere definitivamente i ponti con la Lina e i suoi figli e di mettersi insieme le disse di no. Erminia, che era una donna molto fragile, alcuni mesi dopo si suicidò. Racconta Macaluso: “A darmi la notizia del suicidio fu Natta…mi parve che mi cadesse il mondo addosso. Non credo di aver sentito un un’emozione e un dolore così lancinanti. Mi hanno segnato tutta la vita”. Del caso si occupò anche la Commissione di Controllo. Vicende personali e politiche sono strettamente intrecciate nella biografia di Macaluso. Nel 1967, Macaluso ritornava in Sicilia alla guida dei comunisti siciliani. Nelle elezioni del 1968 è confermato deputato. Quell’anno, quando con Lina era già tutto finito, Macaluso conobbe a Roma Ninni Monroy tramite Galvano Lanza Trabia. Monroy separata dal marito abitava a Roma con le due figlie, Ambra e Fiora. Macaluso e Monroy decisero di mettersi insieme. Monroy era sposata con Piero Pirri, l’editore e il direttore del “Giornale di Sicilia”. Nella relazione con la Monroy, riappare l’intreccio vita privata e Pci nella biografia di Macaluso. Fiora, sposata con Franco Piperno, il leader di Potere Operaio, era una militante del movimento “Autonomia Operaia” che nel 1978 fu accusata di terrorismo perché sospettata di aver partecipato al rapimento e all’uccisione del presidente della Dc, Aldo Moro. Nel 1971 lasciava la segreteria del Pci siciliano ad Achille Occhetto e nel 1972, rieletto alla Camera dei deputati, ritornava a Roma. Nelle elezioni politiche del 1976 venne eletto senatore e rieletto nel 1979, 1983 e 1987. Dal 1982 fino al 1986 diresse “l’Unità”, il quotidiano del Pci. Alla fine degli anni ’80 Macaluso e Monroj si separarono. Nel Pci Macaluso si schierò con Amendola nell’area riformista, che poi fu chiamata con il nome di “migliorista”, dove c’era anche Giorgio Napolitano, suo grande amico. Garantista in materia di giustizia, avvertì l’esigenza di una ricomposizione della frattura a sinistra che si era aperta con la scissione di Livorno del 1921. Appoggiò la svolta di Occhetto che nel 1991 pose fine al Pci e dalla quale nacque il Partito democratico della sinistra. Non condivise il modo come avvenne la svolta e la rinuncia ad un esplicito richiamo al socialismo. Non aderì al Pd perché in questo partito non ci vedeva alcuna ispirazione al socialismo. Ritiratosi alla vita politica attiva, fondò e diresse la rivista “Le ragioni del socialismo”. Collaborò al giornale “Il Riformista”, che diresse per alcuni anni, e scrisse per molti quotidiani nazionali. Per una singolare coincidenza, muore nei giorni in cui ricorre il centenario della scissione del Psi di Livorno dalla quale nacque il Partito comunista d’Italia. Emanuele Macaluso lascia il ricordo di un compagno di grande acume e di autonomia di giudizio e di pensiero, leale con tutti i compagni di partito e gli avversari politici, che nella lotta quotidiana per il miglioramento delle condizioni di vita della classi lavoratrici diede il meglio di sé.

Silvano Privitera

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