Il conflitto, o se vogliamo essere meno rudi, la competizione è il dato di realtà della politica. C’è il conflitto di classe per redistribuire la ricchezza prodotta in un paese. Per i populisti, che hanno una visione semplificata, ma molto semplificata, della società, il conflitto è tra l’élite e il popolo. C’è la competizione tra stati per imporre il dominio o l’egemonia su un continente e per impadronirsi di risorse indispensabili allo sviluppo della loro economia. C’è anche la competizione tra territori di uno stesso paese per accaparrarsi quote più grandi, se non tutte, le risorse di cui quel paese dispone. A vincerla, questa competizione, è quasi sempre quel territorio più forte socialmente e politicamente. Questo tipo di competizione tra territori la vedremo nell’utilizzo dei 209 miliardi del Recovery Fund, che è stato la variabile principale a determinare la fine del governo Conte II, sostenuto da Pd, M5S e LeU, e la nascita del governo Draghi sostenuto da un’ampia maggioranza che comprende tutti, da, Lega, FI, Pd, M5S a Leu, tranne Fratelli d’Italia. Ad aver colto questo dato di realtà è Adriano Giannola, il presidente della Svimez, quando dice che “il governo Draghi è un governo spostato sul centrodestra nordico”. Su 23 ministri, 13 sono lombardo-veneti. La Lombardia e il Veneto, come del resto anche l’Emilia-Romagna, sono le regioni italiane economicamente più forti. E non è esagerato definirle il vero motore dell’economia italiana. Nei territori di queste regioni c’è un robusto tessuto imprenditoriale e sociale e ci sono anche efficienti istituzioni di governo locale che sanno fare rete tra di loro per attuare politiche di sviluppo economico di un territorio intercomunale. Tutte cose che facilitano una spesa veloce delle risorse del Recovery Fund. Tutte cose che al Sud, purtroppo, non esistono. E allora non dobbiamo sorprenderci se il governo Draghi inizia a lavorare su quello che già c’è, che può camminare e su cui può contare per avviare la spesa del Recovery Fund. In questa competizione tra territori per l’utilizzo di queste risorse, il territorio dell’ennese con i suoi 20 comuni, che è una tipica area interna non omogenea, parte svantaggiato. Che cosa stiano facendo i sindaci di questi comuni, ai quali il Recovery Fund attribuisce un ruolo rilevante, non si sa. Molti di loro, quasi tutti, usano i social per comunicare cosa fanno e inondano di comunicati stampa apologetici i media vecchi e nuovi che a loro volta si limitano a riprodurli pari pari senza alcuna mediazione giornalistica. Ma in questa, a volte parossistica, produzione di post sui social e comunicati stampa nessun cenno a quello che intendono fare, se si sono messi in contatto per decidere cosa fare e creare coalizioni in vista dell’attuazione del Recovery Fund. Da qualche anno, e prima della pandemia da covid-19 e del Recovery Fund, a pensare cosa fare delle aree interne lo fanno le aree metropolitane forti del nord. Quello che stanno facendo le arre metropolitane ce lo spiega l’architetto Stefano Boeri che a tal proposito ha detto al Sole 24Ore: «Stiamo lavorando alla mappatura dei borghi con il Politecnico di Milano e stiamo aprendo una collaborazione con Touring club per capire se si possono fare progetti pilota. Ragioniamo su situazioni a massimo 60 chilometri da un centro urbano o da un aeroporto. Nel dettaglio stiamo studiando la situazione specifica in Val Trebbia, dove per piccoli centri in fase di abbandono si potrebbero siglare contratti di reciprocità con la vicina Milano. Un modo per delocalizzare la vita urbana per periodi più ampi del weekend e diluire le presenza negli uffici in città». Una roba del genere l’ha fatta l’area metropolitana di Brest, in Bretagna, dove da una parte i sindaci di piccoli borghi e dall’altra parte aziende, università e grande distribuzione si sono seduti attorno ad un tavolo per discutere come crescere insieme ed hanno firmato un contratto depositato alla Camera di Commercio. Alla scuola di ecologia politica sull’appenino bolognese si discute del ruolo strategico delle aree interne. Del libro “Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste”, pubblicato per i titoli della casa editrice Donzelli nel 2018, se ne parla molto al Nord, ma qui da noi se n’è accorto nessuno, forse alcuni, ma sempre pochi. Si parla anche dell’adozione da parte delle 14 aree metropolitane delle aree interne. Inquieta il solo pensiero che l’ennese in tutto o in parte, come area interna, possa essere adotta da un’area metropolitana siciliana.
Silvano Privitera
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